Una giovane racconta la sua esperienza alla Gmg di Panama e sui luoghi di san Oscar Romero, testimone di parresía
La Gmg di Panama è stata un’occasione speciale per vivere e conoscere un paese apparentemente molto caotico e confusionario, ma abitato da persone con un grande spirito di accoglienza e gratitudine. A Panama siamo stati fin da subito accolti e ospitati dalle famiglie come dei veri e propri figli. Non ci hanno mai fatto mancare un abbraccio, un sorriso, un comodo letto, e un buon frutto fresco! Era bello vedere l’entusiasmo con cui i nostri “genitori panamensi” ci raccontavano la storia del loro paese e la felicità che provavano nell’ospitare nella loro città un evento mondiale di tale portata. La sera, quando tornavamo a casa, erano curiosi di sapere come era andata la nostra giornata, che cosa avevamo fatto e visto, le emozioni provate.
Ogni Gmg ha i suoi “portavoce”, dei testimoni che danno il senso dell’evento. Quest’anno, tra i “patroni” della Gmg c’è stato anche “san Romero delle Americhe”. Oscar Romero fu arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador. Si era schierato apertamente contro chi agiva nella violenza e nella corruzione, difendendo i poveri e gli oppressi del suo Paese. Il suo appello alla pace e alla giustizia sociale, però, gli costò la vita: il 24 marzo 1980 fu ucciso da un colpo di pistola mentre celebrava la messa. Lo scorso ottobre papa Francesco lo ha proclamato santo.
La seconda settimana di viaggio, dopo aver calorosamente salutato e ringraziato Panama per la sua ospitalità e il suo affetto, ci siamo spostati proprio nella terra di El Salvador e siamo entrati in contatto con un popolo che ha molto da raccontare.
Il primo giorno abbiamo visitato la UCA (Università Centro America) dove sono stati martirizzati sei gesuiti e due donne. Nei giorni successivi abbiamo visitato i luoghi della vita di Oscar Romero e di altri importanti testimoni di fede come padre Rutilio Grande, gesuita, suo amico e collaboratore, e padre Octavio Ortiz. Persone che con coraggio hanno donato la loro vita per il Vangelo, affrontando la violenza e le ingiustizie di San Salvador, facendosi portavoce dei poveri e degli ultimi. Oscar Romero, nella sua battaglia contro un potere politico repressivo e violento, divenne una figura sempre più scomoda, che spiazzava gli ambienti più conservatori della curia: “Non vogliamo essere giocattoli dei potenti della terra”, diceva, “ma vogliamo essere la chiesa che porta il Vangelo autentico, coraggioso, di nostro Signore Gesù Cristo, anche quando fosse necessario morire come lui sulla croce”.
In queste parole riconosco l’audacia di cui parla Francesco in Gaudete et exsultate, e che associa all’atto del parlare con libertà e di una libertà che è esistenza aperta perché si trova disponibile per Dio e per i fratelli. Oscar Romero è stato proprio un uomo che ha dedicato la sua vita e la sua libertà per essere testimone del Vangelo. L’audacia è stata una caratteristica costituiva della sua missione di evangelizzazione nella chiesa locale. “Dio non ha paura!”, ci dice Francesco, “la chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita.
I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama ad uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante”, e noi siamo rimasti davvero spiazzati di fronte alla testimonianza di Romero.
Nella sua storia ritrovo anche il fervore del popolo salvadoregno che, ancora oggi, percepisce Romero come una guida. Questo senso di riconoscimento e devozione per la figura del santo l’abbiamo riconosciuto soprattutto nei volti delle persone che abbiamo incontrato durante una bellissima esperienza vissuta nella comunità di base di Nuevo Cuscatlan, guidati dalle Piccole sorelle del Vangelo ed in particolare da suor Annalisa di Torri di Quartesolo. Abbiamo avuto modo di conoscere e di fare esperienza di fede con questa comunità. Dopo un pomeriggio trascorso assieme a queste “hermanitas” che ci hanno raccontato il servizio che prestano in paese, aiutando le famiglie, gli ammalati ed i detenuti, abbiamo conosciuto il parroco e i giovani che prestano servizio nella parrocchia. Ci hanno raccontato che la loro comunità, nata da un paio di anni, si ritrova settimanalmente per condividere assieme un momento di riflessione sulla Parola. Quel giorno ci hanno resi partecipi di uno di questi loro incontri e per noi è stata una vera gioia. Abbiamo letto assieme un brano e, divisi a gruppetti, abbiamo condiviso i nostri pensieri in merito alle nostre esperienze di fede, sulla base della Parola appena letta. Abbiamo cantato, pregato, ci siamo scambiati abbracci, sorrisi e gesti di fede. Vedere bambini, giovani, adulti ed anziani riuniti assieme in questa piccola stanza a pregare in maniera gioiosa e coinvolgente ci ha fatto riflettere molto sul significato della parola “comunità”. Ci è venuto spontaneo paragonare ciò alle nostre esperienze di preghiera in parrocchia: meno coinvolgenti, più statiche e individualistiche. È stato bello rendersi conto di quanto loro, facendoci sentire parte della loro comunità, fossero stati una benedizione per noi. È stata una vera ricarica di fede.
L’ultimo giorno, prima di lasciare El Salvador, abbiamo partecipato alla messa nella cripta della cattedrale, proprio dove si trova la tomba di Oscar Romero. È stato toccante concludere quest’esperienza raccogliendosi in preghiera di fronte alle spoglie di questo grande uomo e testimone di fede, dopo la settimana appena trascorsa a conoscere e scoprire il valore che egli riveste per gli abitanti di questo paese.
Riconoscere nel paese di San Salvador, nelle persone incontrate, nei luoghi visitati, l’audacia di Oscar Romero ed il fervore del popolo salvadoregno sono stati per me come quella “spinta dello Spirito” di cui parla Francesco in Gaudete et exsultate, che deve portare a “non abituarsi a camminare entro confini sicuri”.
Francesca Pezzin