Il racconto di un’esperienza che da oltre quarant’anni, a Milano, sperimenta la vita comune tra laici e padri gesuiti
“Vale il post-getto, non il pro-getto, cioè andiamo a vivere insieme, sentiamo insieme che è una cosa buona, quindi iniziamo e sarà poi la vita a dirci quali sono i metodi giusti per viverla”. Questa citazione di p. Silvano Fausti apre la conversazione con Tullio Cottatellucci, medico di professione e membro con la sua famiglia della comunità di Villapizzone a Milano da quasi venticinque anni.
Bruno ed Enrica Volpi, rientrati dopo otto anni di Africa con la loro già numerosa famiglia (quattro figli naturali, uno adottato e molte accoglienze di vario genere) a fine anni ’70 hanno cercato insieme ad un gruppo di padri gesuiti (fra i quali p. Silvano Fausti e p. Filippo Clerici) un modo alternativo per vivere la vicinanza tra laici e religiosi anche come una nuova via per vivere il Vangelo. Poco dopo la famiglia di Massimo e Danila Nicolai si è unita trasferendosi nella cascina.
Tullio cita p. Silvano per raccontare la sua storia: “Siamo partiti senza aver ben chiaro come fare, ma con mia moglie sentivamo il desiderio di poter vivere secondo gli ideali riflettuti e amati negli anni vissuti come scout sebbene in gruppi diversi. P. Filippo era l’assistente del gruppo scout di mia moglie e, così, la frequentazione di questa nuova realtà è iniziata in modo molto naturale. Quando abbiamo deciso di farne parte, i coniugi Volpi stavano andando a vivere nella seconda comunità e noi abbiamo potuto entrare a far parte della di Villapizzone. Piano piano abbiamo compreso il nostro modo di vivere l’esperienza, alcune cose sono cambiate perché alcune realtà si sono modificate, ma anche le persone sono diverse e cambiano continuamente”.
Senza una carta d’intenti che definisse nei dettagli l’esperienza, la comunità di Villapizzone si è fidata delle intuizioni che lo Spirito ha suscitato quarant’anni fa e continua a suscitare oggi.
La questione economica non è mai stata marginale, ma fin dall’inizio l’intervento della Provvidenza è stato decisivo: i proprietari d’un tempo (ora lo è il comune di Milano) hanno acconsentito ad un contratto di comodato gratuito per ovviare alla concentrazione di disagio sociale che il disuso della villa permetteva.
Attualmente la comunità è composta da sei nuclei familiari e da quello dei padri gesuiti. Continuano a vivere nella cascina, antica villa nobiliare, oggi luogo di vita per tante persone, ma riferimento anche per il quartiere e molte altre persone più o meno lontane.
“Si tratta da sempre di una vicinanza rispettosa quella che viviamo tra noi famiglie e con i padri gesuiti. Nessuno di noi vanta diritti o è egemone verso l’altro. Le decisioni sono prese insieme. Dopo i primi dieci anni di vita comunitaria, un gesuita ha proposto la stesura della Carta di vita comunitaria, cioè per la prima volta si è esplicitato ciò che ci tiene insieme e che è irrinunciabile per noi”, spiega Tullio.
La dimensione del lavoro è una di quelle che hanno subito dei cambiamenti rispetto ai primi vent’anni. Chi entrava in comunità lasciava liberamente il proprio lavoro, metà del tempo era dedicato alla ristrutturazione iniziale fatta in economia dai membri della comunità e dalle persone accolte a quel tempo, l’altra metà del tempo era per un’attività di sgombero (da cui è originata la cooperativa “Di mano in mano”, con circa cento lavoratori) per raggranellare qualche soldo per la comunità. Oggi la maggioranza dei membri svolge lavori fuori dalla comunità.
Di quei primi anni sono rimasti lo stile di vicinanza e accoglienza che prevede la cura dei dettagli: “la differenza viene esaltata, non appiattita”, specifica Tullio. Uno stile che papa Francesco indica al n. 144 di Gaudete et exsultate nel capitolo dedicato alla santità comunitaria, un sentire che a Villapizzone c’è, abita, esiste da tempo in modo molto umile: “sentiamo di essere su una strada buona, ma ogni giorno riconosciamo le nostre povertà”, pur non mettendo al centro la fede: la fede cristiana non è infatti una prerogativa necessaria per far parte della comunità, perché l’accoglienza non ha colore o fede, ma è attenzione all’umano. Lì poi si trova Dio.
La voglia di una vita unitaria, nella quale famiglia, lavoro e volontariato potessero essere più armoniosi e il desiderio che la famiglia fosse centrale hanno sostenuto la scelta di Tullio e della moglie Elisabetta Sormani. Inoltre, il sogno di una vita autentica ha condotto tante famiglie ad affacciarsi alla stessa realtà, tanto che attualmente sono oltre 35 le comunità di famiglie in tutta Italia che fanno riferimento alla prima esperienza milanese e si sono organizzate nell’Associazione di promozione sociale Mondo di Comunità e di Famiglia.
Insieme hanno individuato cinque buone pratiche per continuare a tendere verso l’ideale:
- Con la porta aperta. Significa: porta di casa e del cuore aperta all’incontro dell’altro; niente barriere ideologiche o religiose; libertà di testa e di cuore; sobrietà di sentimenti.
- Il metodo della condivisione: l’equilibrio fra parola e silenzio. È la comunicazione profonda di sé, che va imparata, organizzata. Una volta al mese gli adulti si ritrovano e si raccontano a partire da un input diverso. A garanzia di quanto si condivide regna sovrano il “patto di discrezione”, cioè l’impegno preciso alla riservatezza.
3. Accoglienza in famiglia e tra famiglie. Una comunità non nasce sulle idee, ma sul bisogno profondo di relazione: accogliere l’altro è guarire la propria ferita. - Convivialità: il tempo della relazione quotidiana. Ogni giorno ci sono tempi e luoghi dedicati alla comunità, come il tempo del caffè al mattino o al pomeriggio: la comunità è quotidianamente alimentata da incontri, ascolto, dialoghi…
5. La cassa comune e l’economia di una comunità. I membri di Villapizzone condividono nella responsabilità quanto guadagnano nella cassa comune, dalla quale ogni famiglia attinge ciò che le serve per vivere e riconoscono il valore monetario di tutti i servizi che permettono un vero e proprio risparmio economico.
“E i vostri figli come hanno reagito?”, chiedo con una certa curiosità a Tullio. “Certo la nostra scelta, così come ogni scelta dei genitori ha influenzato e influisce sulla vita dei figli, noi abbiamo cercato di non far mancare loro le attenzioni di cui avevano bisogno. Indubbiamente la vita in comunità ha offerto anche a loro moltissimi stimoli per crescere. Oggi alcuni vivono in comunità come Villapizzone, altri stanno cercando forme analoghe, altri hanno una vita normalissima”.
Una comunità insomma che semina con abbondanza e larghezza di cuore, secondo l’indicazione del Vangelo, perché ciascuno scopra l’unica vera vocazione: quella ad una vita autentica e felice.
sr. Naike Monique Borgo