Venite e vedrete!

17
Dic

Cosa vuol dire pregare? La testimonianza di una giovane vicentina, tra dubbi, scoperte, relazioni e cammino

Cosa vuol dire pregare? Me lo sono chiesta tante volte.

Mi piace pensare di essere una cattolica abbastanza brava, una di quelle praticanti, che si mettono a servizio nel loro piccolo. Sono stata a campi-scuola diocesani, ho frequentato i campi-scuola parrocchiali prima da animata e ora come animatrice, vado ai weekend di spiritualità, faccio servizio in parrocchia, sono stata animatrice ACR e poi mi sono buttata nel catechismo, vado a messa quasi tutte le domeniche, eppure.

Eppure, diciamoci la verità, non prego più ogni giorno come quando ero piccola e fiduciosa. Eppure mi faccio tante domande sulla fede. Eppure mi chiedo il senso di parlare con Dio, che non risponde mai, perlomeno non per le mie orecchie abituate al frastuono della vita di tutti i giorni; che non si mostra, non ai miei occhi spalancati su mille input non sempre utili, non in mezzo ai miei impegni e alle mie relazioni. Sinceramente, negli ultimi dieci anni non sono riuscita a trovare una mia dimensione quotidiana di preghiera personale o comunitaria finché circa quattro anni fa mia sorella non ha insistito perché andassi con lei all’incontro mensile di Venite e vedrete. È stato lì che ho finalmente trovato una modalità più vicina a me, per avvicinarmi alla preghiera in modo più costante e profondo. Per chi non sa cosa sono, gli incontri Venite e vedrete si svolgono una volta al mese in Ora Decima, centro vocazionale della diocesi di Vicenza, sono organizzati dai ragazzi della comunità del Mandorlo e sono rivolti indiscriminatamente a chiunque, senza limite di età o di parrocchia di appartenenza.

Io sono sempre stata abbastanza incostante nella preghiera, dall’adolescenza in poi, credo di aver incarnato per anni quel tipo di giovanissima prima e giovane poi che crede, sì, ma non riesce a fidarsi completamente. Non riesco ad applicare quello che suggeriscono alcuni uomini di fede forte, non riesco a dialogare con Dio come se fosse un rapporto d’amicizia, perché la preghiera è “un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati”, per il semplice fatto che ho bisogno di azioni concrete, di testimonianze, di uno scambio vero, per non perdermi nei miei pensieri e nei miei problemi invece di stare nel silenzio e pregare davvero.

Un paio di anni fa mi sono avvicinata ancora di più alla comunità del Mandorlo, grazie al fatto che un amico del mio paese ha frequentato l’anno di discernimento vocazionale, e quest’anno, in modo quasi spontaneo, mi sono intrufolata in Ora Decima come se fosse un po’ anche casa mia. Grazie a ritrovi organizzati proprio là, in quello stanzone a cui tantissimi giovani della diocesi sono affezionati perché è luogo di legami e nuove scoperte, ho rincontrato don Andrea che mi ha chiesto di far parte del gruppetto di ragazzi che quest’anno organizza i momenti di preghiera Venite e vedrete. Il fatto di poter aiutare gli altri a pregare (questa è stata la definizione precisa di don Andrea) ha scatenato in me, quando ci ho pensato, emozione. Non saprei definire quell’emozione, perché era un miscuglio di non sentirsi all’altezza, consapevolezza della mia difficoltà nel pregare in modo costante e fiducioso, sapere di usare la scusa del poco tempo per non pregare, sensazione di non poter dare quel di più che ho sempre trovato io durante i venerdì degli anni scorsi. Al tempo stesso, però, mi sono sentita emozionata all’idea che ci sarebbe stato qualcuno, anche solo una persona, che avrebbe trovato conforto in una mia riflessione, in un gesto che avrei contribuito a pensare. Probabilmente per questo, la prima volta che ci siamo incontrati, dieci ragazzi tra quelli storici e quelli più nuovi, mi sono resa conto quanto probabilmente l’aiutare a pregare altri ragazzi servirà più a me e agli altri “organizzatori” che a chi viene il venerdì sera. Mi spiego: mi sembra spesso che una tendenza forte sia quella di tenere separata la preghiera, e più in generale la fede e i valori cattolici cristiani, dalla vita di tutti i giorni. Invece il modo in cui abbiamo impostato la preghiera, la cura con cui sono stati scelti i testi del Vangelo, le riflessioni fatte in modo spontaneo, le provocazioni che ci siamo lanciati gli uni gli altri, i collegamenti che ciascuno faceva alla propria vita di tutti i giorni, mi hanno aiutato a tornare a una preghiera che non separa dalla realtà, ma anzi aiuta a vedere la stessa con occhi meravigliati, puliti, nuovi.

Mi ha sempre stupito quanti giovani siano disposti ad investire un venerdì sera al mese per passarlo in preghiera al Mandorlo, ma i venerdì del Venite e vedrete hanno visto nei miei tre anni e mezzo di frequentazione una crescita di numeri. Credo che questo sia un segno di quanto oggi sia importante avere una guida, prestare una cura particolare per i momenti di preghiera, che ho sempre invidiato, nel mio essere incostante. Sto diventando consapevole che non posso farcela da sola, ma non perché sono improvvisamente diventata bravissima e assidua nel pregare, o perché ora aiuto a modo mio, un po’ impacciata e titubante, a preparare gli incontri di Venite e vedrete, o perché sono stata illuminata da una rivelazione. Mi viene da dire che sono le piccole cose che illuminano, sono quelle cose che a volte si danno per scontate, che aiutano davvero a capire che da solo non può farcela nessuno. E sto cominciando a pensare che se Dio non mi parla o non mi mostra segnali folgoranti per indicarmi la strada giusta, forse è perché lo fa tramite altre persone. Quelle che meno ti aspetti, che non sempre ti piacciono, che giudichi a prima vista. Quelle che ti stringono la mano fortissimo quando tu ti senti completamente fuori luogo durante una veglia, o quelle che ti chiedono di organizzare una preghiera, quelle che ti ringraziano per quanto hai condiviso e quelle che con la loro storia ti mostrano cosa significa davvero avere fede. E se non posso farcela da sola, e questo è assodato, allora pregare, nel silenzio o con canti, in gruppo o per conto mio, può essere un buon modo per non sentirsi sola e trovare finalmente uno spazio di incontro con Lui.

Giulia Albertoni

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