Un’esperienza in frontiera | Orsoline SCM

Un’esperienza in frontiera

04
Giu

Condividere la missione insieme ai rifugiati e immigrati venezuelani dopo quattro anni è sempre un percorso di apprendimento, e per questa occasione faccio mia la poesia intitolata Preghiera del poeta portoghese Fernando Pessoa che diceva: Dammi un’anima per servirti, Dammi un’anima per amarti, dammi le mani per lavorare nel tuo nome, affinché io possa amare gli altri come sorelle e fratelli…

Nella missione realizzata con la mia comunità, la parola “accoglienza” è la chiave che apre il cuore nell’incontro con i nostri fratelli rifugiati. Qui tutto è improvvisato, transitorio, fugace, la vita si svolge lungo il cammino delle incertezze, delle paure e dei sogni di una vita migliore, depositati nello zaino e nel cuore di ogni immigrato. E come ho detto in altre occasioni, la strada è lo spazio dove evangelizziamo, incontriamo insieme le persone e cerchiamo di rispondere ai loro bisogni. Penso che la parola di Dio si trasmetta con la nostra testimonianza di accoglienza. Di fronte alla dura realtà che incontriamo, le persone sanno che l’accoglienza, l’ascolto, uno sguardo, un abbraccio è come una coperta che scalda la venerabilità e la fragilità che incontrano quando arrivano in un nuovo Paese. Non posso negare che spesso mi sento indignata per le ingiustizie a cui gli immigrati sono sottoposti e quando sono umiliati.

Il confine non è solo un rischio, una divisione territoriale o un muro, è molto di più… ci sono tanti confini, uno dei quali è l’indifferenza, la mancanza di politiche governative, il pregiudizio e soprattutto la mancanza di compassione. Ma questo non mi fa abbandonare la missione, anzi, ogni giorno cresce dentro di me, di noi il desiderio di servire Dio con i nostri fratelli rifugiati e immigrati, per questo insieme alle donne che qui arrivano e abitano, cerchiamo di creare opportunità di lavoro, attraverso progetti di imprenditorialità, sviluppando talenti creando opportunità e miglioramento delle condizioni di vita dignitose. Forniamo un rifugio dove le madri possono soggiornare in un luogo sicuro e dignitoso.

In questi giorni una giornalista mi chiedeva: “Cosa state facendo di significativo voi sorelle di San Giuseppe per dare risposte concrete ai rifugiati e ai più vulnerabili?” (Silenzio) L’ho invitata a fare una passeggiata con me nelle occupazioni intorno a Pacaraima dove ci sono un gran numero di famiglie che vivono in baracche di plastica senza condizioni minime di vita. Appena arrivati, i bambini si sono avvicinati a piedi nudi, senza vestiti, giocando con la terra, noi abbiamo dato loro delle caramelle, abbiamo salutato le mamme, visitato alcuni piccoli imprenditori, poi siamo tornati alla sede pastorale: le ho detto “É questo che le suore di San Giuseppe fanno di piú significativo: è questa stare accanto ai più vulnerabili”.

Rispondendo cosí all’invito di Papa Francesco che dice «è urgente “accogliere, tutelare, promuovere e integrare”.

Eccoci qui, donando la nostra vita per essere presenza, e insieme ad altre persone per dare nuove risposte con il nostro carisma nella chiesa di Roraima.

In unità e con cuore grato, ir. Maria das Graças da Silva