Una vita religiosa per tutti

06
Lug

Le radici per essere fratelli e sorelle del mondo

La fraternità/sororità è una delle caratteristiche che ha attraversato nei secoli le varie forme di vita monastico-religiosa. La comprendiamo nella sua evoluzione storica e nel suo significato per il nostro oggi.

 

La consapevolezza del soffio

Riprendo alcuni versetti della sapienza ebraico-cristiana che trovo nel libro dei Salmi: “Ogni vivente è un soffio o meno di un soffio” (Sal 39,5.6.12). Di questi versetti non vorrei sottolineare tanto la drammaticità, ma piuttosto la logica sapienziale. Forse è proprio la memoria del soffio che ci potrebbe aiutare a non avere l’affanno paralizzante di un passato svanito o di un futuro sconosciuto. Forse, ricordarci che la vita è un soffio è un modo di rammentare che nessuno di noi è al centro o è il centro della terra. Né primi, né privilegiati, semplicemente come tutta la creazione. Il soffio indica anche la magica forza che anima la staticità delle cose: scompiglia i capelli o i fogli sul tavolo, spegne le candeline il giorno del compleanno o il cero alla fine della celebrazione.

Sposta un granello di polvere o di sabbia e fa vibrare l’acqua. Insomma, il soffio è comunque un processo vitale! Così la vita religiosa, e la vita in generale, vanno lette con questa consapevolezza: sono come un soffio, sono fugaci e meno di un soffio. Infatti la vita religiosa, così come tutti quegli stili di vita vissuti da piccoli gruppi umani lungo la storia, deve ricordarsi che non è un fine, ma un semplice mezzo e, per essere tale evoca questa transitorietà e fugacità.

 

Rimessi in questione

Uso l’inizio di un libro di Carlo Rovelli, fisico e saggista italiano, che comincia così il suo La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose: “Siamo ossessionati da noi stessi…”. L’autore si riferisce all’egocentrismo della specie umana, come se fossimo noi la cosa più importante dell’universo. Reinterpreto queste righe riconducendole non solo alla questione umana in generale, ma a un fenomeno ancora più limitato: quello del noi. Il noi, infatti, è l’astrazione per eccellenza nella vita dei piccoli gruppi: vita religiosa, clan, gruppi ecclesiali e piccole lobby o luoghi periferici e così via.

Il noi ha permesso a molte culture di salvarsi lungo i secoli, ma anche di separare e separarsi e oggi a mio avviso è molto pericoloso, anche se fosse un noi “maiestatico”.

Il noi dunque è soprattutto l’egocentrismo ingabbiato in se stesso, che a volte diventa io, altre volte me o mi.

In questo senso limita la visione, la riduce e con essa riduce anche la possibilità di guardare con sapienza, sia in avanti che indietro.

 

La logica che dilata gli spazi

Anche noi siamo nati e rinati, o nate, varie volte, in processi di crisi. Dico noi, riferendomi a chi segue il sogno della spiritualità cristiana. Nasciamo nella scia del primo cristianesimo, cioè all’inizio faticoso di una metamorfosi non solo spirituale, ma anche culturale. Questa trasformazione interessò più culture, non solo i contemporanei di Gesù di origine ebraica, ma anche di altri popoli. Basta ricordare l’inizio degli Atti degli Apostoli, la Pentecoste. Ciò che risuona con maggior eloquenza in questa narrazione è la descrizione del popolo: “Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi…” (At 2,9). Tutti popoli di cui molte volte ignoriamo la storia. Eppure è proprio la diversità descritta che evoca questo tempo di metamorfosi.

Per alcuni di noi, così attaccati alla ristrettezza della visione che abbiamo della storia e del cosmo, sarebbe bastato nominare i Greci e forse i pagani di Roma. Invece qui l’evento deve essere stato così scioccante da provocare l’idea di geografie più diverse e complesse, che servivano a scomporre lo spazio, come del resto fece già Gesù.

Pensiamo alla logica che sottende questo testo, proprio nel momento di maggior angoscia: erano rimasti in pochi, in una situazione di diaspora, e sono provocati da un cambiamento di prospettiva.

Solo chi continuerà a pensare al ristretto limitato noi, correrà il rischio di non vedere altro.

 

Re-ligioso

“Re”: particella che indica frequenza, ripetizione e “leggere”, scegliere o guardare con attenzione, aver cura dunque, o avere un’attenzione particolare. Parlare dell’essere umano come essere religioso è attribuirgli la possibilità di essere nel mondo in questo modo; significa riconoscere la possibilità di prendersi cura della realtà. Mi domando se, lungo i secoli, il mondo considerato “religioso”, quello delle chiese, o delle comunità religiose appunto, e delle religioni in generale, ha incarnato questa eco etimologica del termine.

Il prendersi cura è rimasto dentro una sfera molto intimistica che riguarda l’io e Dio; le cose religiose, appunto, già separate di per sé. Ma non ha niente a che vedere con la realtà quotidiana e la sua storia.

Ha reso il mondo veramente inospitale: troppi profughi che vagano lungo le geografie del mondo contemporaneo; troppi orfani, troppe donne escluse, maltrattate, usate. Troppe energie sprecate; troppi virus, troppi inutili dolori dell’ambiente circostante solo per mantenere la nostra specie. Totalmente il contrario di ciò che è la logica della vita. Essa, la vita, nelle sue espressioni più essenziali, assomiglia al divino, al mistero più bello tra i misteri, a Dio.

So, per esperienza, che esiste una religiosità della vita che ha sempre sotteso la storia, anche quella di chi ha scelto la vita religiosa come stile specifico. Quella vita religiosa che ha fatto la scelta di assumere la vita in generale, con tutti i suoi chiaro-scuri. È nata da donne e uomini, madri e padri, persone che fecero dell’ambiente la loro casa, persone che custodivano le Scritture nella loro mente e nel loro cuore, usando soprattutto la memoria e l’affetto. L’intuizione di queste persone è appunto aver percepito che la vita, in tutta la sua essenzialità, è così importante che evoca comunque e ovunque il mistero. Esperienza mistica del “solo Tu”, rapporto essenziale con il mistero; rapporto che non ha bisogno di niente. La vita che è religiosa, o se qualcuno preferisce, la religiosità della vita, fa risaltare la vocazione umana per eccellenza: essere custodi attenti e attente della realtà, stando sulla sua soglia.

Coltiviamo allora il piccolo seme della fraternità/sororità che dà vita al germoglio nuovo: stelo piccolo e fragile, prezioso per la vita dell’universo.

Antonietta Potente

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