Un giovane della diocesi di Vicenza racconta la sua esperienza in un originale progetto di convivenza e servizio
4 dicembre 2019, è questo il giorno in cui, in una casa che si affaccia in una delle vie principali che portano a Vicenza (Viale Riviera Berica) ha origine una nuova esperienza che coinvolge cinque ragazzi (che fino a quel momento non si conoscevano) che tra mille diversità hanno in comune una cosa: il voler “fare comunità”.
“In Cantiere”, è questo il nome dell’esperienza e, se con le poche informazioni che hai letto qui sopra ti fosse venuto il dubbio che stessi parlando del reality show del Grande Fratello, allora leggi questo articolo, e lasciati stupire.
Tobia, Elena, Marco, Emanuele e Alessandra, iniziando “In Cantiere” (ora capiremo meglio cosa sia) sono in qualche modo, nel loro piccolo, testimonianza di comunità (e non di una community) che è consapevole che nella condivisione, nel confronto tra diversità e nello scambio reciproco è possibile crescere, assieme. Condivisione, servizio e crescita spirituale: sono questi i tre pilastri su cui si fonda l’esperienza di “In Cantiere”, proposta nata dalla Caritas e ora portata avanti dalla pastorale giovanile della diocesi di Vicenza. Una proposta della durata di un anno, pensata per i giovani (dai 19 ai 30 anni) con lo scopo di dare loro la possibilità di vivere un’esperienza di autonomia e allo stesso tempo di incontro, condivisione e conoscenza di sé e dell’altro.
Il nome che si è scelto per questo progetto incuriosisce e interroga. È chiaro che si tratta di una metafora dove ognuno (anche chi non ha vissuto l’esperienza) può trovare un significato proprio.
“Chi sono e che ruolo ricopro all’interno del mio cantiere? Sono l’operaio con il badile in mano, o l’anziano con le mani dietro la schiena che osserva e impartisce ordini a chi lavora?”. È questo uno degli interrogativi che più ha provocato alcuni dei ragazzi che stanno vivendo questa esperienza. Indipendentemente dal significato che ognuno può darci una cosa è certa: “In Cantiere” è un’esperienza che offre la possibilità di mettere le mani in pasta, innanzitutto nella propria vita, e in qualche modo anche in quella degli altri. Questo cantiere sulla carta dura un anno, ma quello vero e proprio (il cantiere che ognuno porta dentro) probabilmente ha la stessa durata della Salerno-Reggio Calabria: non finisce mai.
Sono trascorsi nove mesi da quel giorno uggioso di dicembre dove tutto è iniziato. Ne mancano tre prima di lasciare spazio ai nuovi cantieristi. Tre mesi in cui i ragazzi continueranno a costruire e a progettare le loro vite. Tre mesi dove questa piccola comunità di Campedello continuerà sicuramente a crescere e avrà modo di arricchirsi grazie agli scambi reciproci e allo spirito di condivisione che caratterizza i ragazzi e l’esperienza stessa. Quindi, se normalmente augurare “buon lavoro” è malaugurato, questa volta è l’augurio probabilmente più adatto (e può risultare pure di buon auspicio). Buon lavoro, cantieristi.
Tobia Paoletto