Il racconto della visita alle comunità del Mozambico da parte della superiora e di una consigliera generale
Un viaggio e tante domande. Poche settimane in Mozambico sono sufficienti per comprendere come il discernimento dovrebbe essere situazione consueta e abituale a tutti i livelli, dove la realtà pone tante domande che cercano altrettante risposte. Ma… come discernere?
Sulla riva dell’oceano indiano ogni giorno si incontrano le donne che raccolgono e lavano il pesce. Torna alla mente la pagina dell’evangelista Matteo: “Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi” (Mt 13,47-53). Discernere significa distinguere il buono dal meno buono. I pesci che vengono lavati sono i buoni, sia quelli piccoli che diventeranno il pasto del giorno come quelli più grandi che saranno venduti per guadagnare qualche spicciolo.
Eppure il Mozambico non è un Paese povero, anche se la povertà la si incontra costantemente per strada: le ricchezze naturali ci sono, ma rischiano di essere causa di instabilità e di commercio illegale anziché di benessere. E sarebbero tante le fonti di ricchezza, soprattutto quelle del sottosuolo, ma… il condizionale è d’obbligo! Ci sono, ma non sono per tutti, ampliando il divario tra pochi ricchissimi e tanti poverissimi.
Essere Orsoline in Mozambico significa cogliere tante sfide, sapendo che il discernimento è un processo lungo e difficile: anche le giovani che si affacciano alla vita religiosa provengono da questa realtà ricca di risorse e molto carente di sviluppo, dove tutto è deficitario, dall’educazione alla sanità, dalle infrastrutture al lavoro, perché le ricchezze se ne vanno anziché essere trattenute e lavorate in un processo di trasformazione dei prodotti che darebbe lavoro a molte persone.
Ci interroghiamo con una chiesa che si interroga. Interessante per noi “italiane” aver potuto partecipare ad uno degli incontri degli agenti di pastorale della diocesi di Beira, dove con il vescovo Claudio Dalla Zuanna e il suo ausiliare si sono trovati insieme sacerdoti, religiosi missionari e locali e religiose dell’intera chiesa diocesana. Si riuniscono sistematicamente ogni due mesi, segnando così un interessante percorso di discernimento sulle sfide immediate che la chiesa vive e conseguente programmazione che sarà adeguata alle parrocchie urbane e rurali. Un bel lavoro sinodale!
Un altro incontro significativo al quale abbiamo partecipato ha visto riuniti online le missionarie e i missionari italiani: si è respirata la consapevolezza di essere chiamati a portare pace nel nome del Signore Gesù, in un Paese che da qualche decennio è uscito dalla guerra civile, e che nella sua bella spiaggia conserva i segni della guerra d’indipendenza, come mostra il relitto della nave portoghese incagliata nella sabbia. Ma neppure la situazione attuale si può definire di pace! Una sfida che interpella tutta l’umanità, sembra purtroppo che nessun Paese ne resti esente.
Tra le molteplici sfide che impongono al popolo mozambicano un serio discernimento riveste particolare importanza l’educazione. Spesso la preparazione scolastica è molto bassa, anche per chi frequenta regolarmente la scuola. I bambini in particolare necessitano di sostegno. Un’esperienza in atto da anni, promossa dalla nostra comunità di Beira e sostenuta anche da progetti italiani, è appunto quella del reforço escolar o doposcuola, che coinvolge studenti universitari aiutati con le borse di studio, a seguire i ragazzi più piccoli due volte a settimana.
Il Mozambico ha una popolazione giovane, il 55% ha meno di vent’anni, ma sono proprio questi giovani a non avere un futuro di speranza di fronte a loro, in quanto manca il lavoro, con le conseguenti possibilità di costruirsi una famiglia ed avere una casa. Oltre alla fatica di studiare perché mancano le possibilità, anche chi riesce a farlo ed ottiene un diploma non sa alla fine come valorizzarlo.
Chi visita queste terre, provenendo dall’Europa, ha un impatto non indifferente con la povertà, anche quella che si incontra per strada quotidianamente. Una povertà aumentata significativamente; studi recenti riscontrano un aumento del 25% rispetto a solo dieci anni fa. Vedere bambini con il volto segnato dalla fame non è impossibile né inconsueto.
Come essere “sorelle in un popolo che invoca coraggio e speranza”? In questa terra più che altrove il tema del nostro ultimo Capitolo generale diventa una domanda inquietante. Bisogna avere la forza e la costanza dei piccoli passi, come stare accanto alle comunità cristiane: ogni parrocchia è costituita da più comunità, queste piccole o grandi realtà dove le persone fanno esperienza di vita cristiana e di incontro con la Parola e si mettono a servizio vivendo il proprio battesimo. Una piccola luce dentro il buio di un popolo abituato a soffrire, rassegnato a sopportare. Un piccolo spiraglio che apre su valori evangelici che tentano di superare ingiustizia e corruzioni, i grandi mali che inquinano tanti popoli, compreso quello mozambicano.
Dentro a queste realtà si affacciano delle giovani che chiedono di camminare con noi. Ed è un’altra grande sfida di discernimento, per far sì che queste persone facciano esperienza di fede innanzitutto nella comunità cristiana, quindi di partecipazione e condivisione con il grande popolo di Dio; significa trasmettere il vero senso del vangelo di Gesù, che si incarna nelle nostre realtà umane e ci chiede di vivere la logica del servizio. Così la spiritualità della nostra fondatrice, Giovanna Meneghini, può germogliare nel continente africano, perché il bene del carisma donato a noi sia offerto e condiviso, così che si avveri il sogno di madre Giovanna, che sentiva di “avere un cuore così grande, bastante per abbracciare tutto il mondo”.
Madre Maria Luisa Bertuzzo e sr Michela Vaccari