Tornare dietro a Gesù per vivere il discepolato: commento al Vangelo del 14 settembre

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Commento 15 settembre 2024 – Mc 8,27-35

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

 

Questa pericope si trova a metà del Vangelo di Marco, pertanto può essere considerata uno spartiacque, un passaggio fondamentale nella vicenda di Gesù. Sono accattivanti le domande del Maestro: «la gente, chi dice che io sia?»; «ma voi, chi dite che io sia?». Poste per strada, camminando, in un clima di condivisione, arrivano dritte al punto: rivelare la Sua identità più profonda. Capire chi è Gesù significa, per i suoi discepoli, comprendere chi sono chiamati ad essere loro stessi e in che modo seguirlo. La strada su cui si trovano è quella che conduce da Cesarèa di Filippo a Gerusalemme. L’annotazione geografica non è casuale, specifica che il primo riconoscimento di Gesù avviene in un territorio pagano, indicando l’universalità della missione del Maestro.

Le risposte ricevute sono interessanti perché vengono nominati Giovanni Battista, colui che all’inizio del secondo Vangelo aveva battezzato Gesù permettendone la rivelazione da parte della Voce tuonante dal cielo; ed Elia, il profeta atteso, che avrebbe dovuto preparare la strada al Messia. Riconoscono, quindi, che Gesù è un personaggio chiave per la storia del popolo di Israele, ma non riescono a vedere in Lui il Messia. È Pietro a dire ciò che «la gente» non è ancora riuscita a cogliere: «Tu sei il Cristo». Inizia qui l’annuncio pubblico della Passione, Morte e Risurrezione, rivelando l’autentico volto del Messia. Un volto scomodo, diverso dalle aspettative che avevano gli israeliti. Non è un Messia che libera il popolo con la forza e la ribellione, bensì con l’amore e il dono totale di sé. Sofferenza, rifiuto e uccisione sono dinamiche troppo cruente da predicare apertamente, perché rischiano di far diventare il Rabbì meno attrattivo e di deludere il popolo. Per questo Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera. Pietro che ha appena professato che Gesù è il Cristo, cioè l’Unto di Dio, rimane incapace di fare quel salto di fede per uscire dai suoi preconcetti, e non comprende che Gesù vive il suo essere Messia nell’Agape, cioè nell’amore incondizionato.

La scena si ribalta ed è Gesù ora che rimprovera Pietro, e usa parole dure contro la sua incredulità. Lo invita con decisione a tornare al suo posto, cioè dietro a Lui. È questo il posto di ogni discepola e discepolo che intende vivere gli insegnamenti del Maestro, accettando che la sequela domanda di uscire dalle logiche diaboliche del potere, per abbracciare la radicalità di un percorso di continua kenosi, ossia di spoliazione e svuotamento (cfr. Fil 2,7). Infatti, subito dopo Gesù si rivolge alla folla presente dichiarando le esigenze della sequela: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Le asserzioni di Gesù sono forti, ma aprono allo stile evangelico. Il rinnegamento di sé non è un annullamento remissivo, bensì la rinuncia ad essere autocentrati, per mettere al centro Cristo. In questo modo lasciamo che il Suo amore plasmi il nostro modo di amare, aprendoci al prossimo. Il secondo atteggiamento è il saper prendere la propria croce, cioè imparare ad accettare vergogna, rifiuto, sofferenza, che essa rappresenta. Attitudine che si sviluppa nell’accogliere la Sapienza della Sua Parola, capace di guidare ogni momento della nostra vita. Parola che se diventa la priorità nella propria esistenza, indica la via della salvezza.

Per riflettere

Quello di questa domenica è un testo complesso, scomodo, provocatorio… Come rispondo alla domanda di Gesù: “Tu, chi dici che io sia?». E come mi sto impegnando a vivere la sequela? Rinnegare me stessa/o alla luce del mettere Cristo al centro non è facile. Cosa c’è al centro della mia vita? Come vivo le relazioni con le altre persone? E con il creato? Nemmeno prendere la propria croce con fede e sapienza è così semplice. Quali croci mi sta facendo incontrare la vita? Lasciamoci, dunque, riempire di speranza affidandoci alla guida sicura della Sua Parola.

  1. Elisa Panato, Il Messaggio del Cuore di Gesù, 9 (2024), 43-45.

 

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