Il racconto della marcia interdiocesana per la pace
L’ultima domenica di gennaio, un piccolo gruppo di noi suore orsoline della comunità di San Francesco Vecchio, in Vicenza, ha partecipato a un’inedita proposta: una marcia interdiocesana, nata da un’idea della diocesi di Padova e che nella sua realizzazione ha coinvolto le diocesi sorelle di Treviso e Vicenza. Una marcia denominata “Terre di Pace” che si è sviluppata in una zona di confine fra le tre province. È stata un’occasione straordinaria, preziosa, per imparare a collaborare, a camminare insieme, ma anche per sentire i territori dove abitiamo, crocevia importanti di incontro, di relazione e non solo luoghi di passaggio. Un’iniziativa che è stata il frutto di un lavoro congiunto, in rete, fra chiesa e società civile, tra gruppi e uffici diversi, associazioni e parrocchie, mondo della scuola, del lavoro, del volontariato… Un’iniziativa che ha reso visibile il messaggio di papa Francesco: “Nessuno può salvarsi da solo”.
In un pomeriggio di tiepido sole ma dall’aria frizzantina, ci siamo trovati in tantissimi, nella piazza antistante la chiesa di Fellette, accomunati tutti dal desiderio di dire, di gridare “pace”, quella pace vera che oggi il nostro cuore, e un’umanità lacerata e divisa, auspica e invoca.
La musica, un clima di festa, la voglia di esserci dopo l’esperienza della pandemia e una bellissima coreografia di colori, bandiere della pace, striscioni, cartelli colorati, con slogan e i nomi dei paesi colpiti da guerre spesso dimenticate o di associazioni, scuole, sindacati, hanno fatto da cornice alla partenza, accompagnando poi il lunghissimo corteo lungo la strada che da Fellette di Romano d’Ezzelino ha portato, dopo poco più di 5 km, al palazzetto dello sport di Bassano.
Alla marcia hanno partecipato persone di tutte le età: uomini, donne, bambini, ragazzi, giovani, simboli di un presente che non è nostro ma è da consegnare, e poi tanti anziani, preziosi custodi della memoria e testimoni di esperienze belliche.
In mezzo a loro, significativa è stata la presenza di sindaci e amministratori, ma soprattutto quella dei pastori delle tre diocesi, i monsignori Claudio Cipolla di Padova, Michele Tomasi di Treviso e Giuliano Brugnotto di Vicenza. Accanto a loro anche mons. Claudio Dalla Zuanna, vescovo di Beira in Mozambico, un paese dove, a Cabo Delgado, da anni imperversa uno dei conflitti dimenticati del pianeta.
Lungo il percorso non siamo passati inosservati, persone ci guardavano dalle finestre di casa o dal bordo della strada. La nostra coloratissima e numerosa presenza ha fatto rumore, come pure hanno attirato l’attenzione le bandiere appese sui balconi, o i cartelli di varie dimensioni appesi alle recinzioni di scuole e luoghi di lavoro. Quasi una provocazione a riflettere sulla nostra quotidianità, dove, è inutile negarlo, sperimentiamo violenza: nelle nostre relazioni, dentro le mura domestiche, nei luoghi di lavoro, sulla strada… La pace che desideriamo non è solo cessazione della guerra e delle ostilità, non è una dimensione statica, ma è qualcosa da costruire insieme, giorno dopo giorno attraverso le nostre scelte, che domandano il passaggio non sempre facile dall’io egoistico e impaurito ad un noi aperto.
La marcia è stata caratterizzata da tre significative soste. Sul sagrato della chiesa di San Giuseppe di Cassola abbiamo ascoltato testimonianze legate alla guerra in Ucraina: i volontari della Carovana della pace, che in più viaggi hanno portato aiuto alla popolazione ucraina e supportato alcuni obiettori di coscienza russi e ucraini che a rischio di lunga carcerazione sfidano la guerra e i suoi meccanismi di morte. A loro è seguita la testimonianza di due giovani donne, Polina e Anna, che dopo lo scoppio della guerra sono fuggite con i loro figli, lasciando mariti e fratelli a combattere. Arrivate in Italia senza conoscere la lingua, sono state accolte a Cornuda (TV), dove si stanno impegnando nello studio dell’italiano e nella ricerca di un lavoro, per rendersi autonome. Hanno espresso la loro gratitudine per l’accoglienza, il conforto e tutto il sostegno ricevuto.
Nella seconda tappa, alla chiesa di San Leopoldo Mandic, abbiamo ascoltato l’esperienza fatta in Medio Oriente dai giovani dell’associazione Non dalla guerra. A più voci hanno ribadito che educare alla pace è possibile, come pure è possibile mettere da parte le armi, pensando a risposte non violente. È seguita poi la toccante testimonianza di Narin Bijanyar, che si sta battendo per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle barbarie che si continuano a commettere nel suo paese, l’Iran. “Donna, vita, libertà”, ha ripetuto più volte. È lo slogan, che a seguito dell’arresto e della morte di Mahsa Amini, di 22 anni, sta guidando la protesta per i diritti delle donne. Una protesta partita dalle donne, che sta coinvolgendo tanti giovani che lottano insieme per la libertà, mettendo a rischio la loro stessa vita.
Passo dopo passo siamo arrivati al palazzetto dello sport, accolti dal suono della banda e da un caldo ristoro preparato dagli alpini. Dentro al palazzetto gremitissimo, perché alcune persone si sono unite per la celebrazione eucaristica, ci siamo sentiti tutti fratelli e sorelle: in un clima gioioso di festa, in un’armonia di colori espressione chiara delle nostre diverse età e provenienze. Dopo un messaggio di Elena Pavan, sindaco di Bassano, è iniziata la santa Messa, presieduta dal vescovo Giuliano e concelebrata dai tre vescovi attorniati da un folto numero di sacerdoti provenienti da varie parrocchie e vicariati. Commentando il brano delle beatitudini, che la liturgia proponeva proprio in quel giorno, il vescovo Giuliano ha detto: “Noi siamo chiamati da Dio alla vita, alla libertà, alla relazione, al dono, alla felicità. E quindi sollecitati ogni giorno a rispondere a lui con quello che noi siamo. Dobbiamo con molto realismo riconoscere che spesso siamo disorientati, non sappiamo quali scelte operare in questo mondo così complesso”. La strada che siamo chiamati a percorrere, ci rende responsabili della nostra storia e del nostro futuro. È la strada del capovolgimento della logica mondana, è la strada dell’amore vero, che non è puro sentimento ma è un amore che si fa dono di sé. Un amore che ti porta a vedere il mondo, i fratelli e le sorelle in maniera diversa, un vedere nuovo, capace di cogliere perfino i dettagli più piccoli. Un amore che ti aiuta a scorgere “gli occhi di chi tende la mano per essere aiutato, di chi cerca un letto perché non ha una casa, di intere famiglie nei campi profughi in Siria, di bambini, donne e anziani al freddo minacciati di morte nella guerra in Ucraina, dei milioni di persone che migrano dal continente africano in cerca di pane e pace”.
È una strada impegnativa, quella proposta nelle beatitudini, ma non è impossibile da percorrere. La pace che tanto desideriamo non è solo dono di Dio, ma è anche una responsabilità dell’uomo, attraverso il suo impegno costante per crearne le condizioni, impiantarla e custodirla.
E al termine di un intenso pomeriggio, facendo ritorno alla nostra comunità, o alla casa di ogni partecipante, traspariva a partire dai volti un sentimento di gratitudine a Dio, per quanto visto, ascoltato, toccato, vissuto.
Ognuno di noi è andato via portando con sé alcuni input, provocazioni, messaggi, che non devono solo restare il ricordo di un momento bello vissuto insieme, ma ci auguriamo diventino impegno concreto a mettersi in gioco in prima persona, senza delegare. Abbiamo compreso che non possiamo restare indifferenti, non possiamo far finta di niente, rispetto a quello che accade nel mondo. Le tante guerre, le violenze, le sofferenze, anche se lontane o fuori di noi, sono realtà concrete che ci interpellano, in quanto siamo abitanti di questo mondo. E di fronte a ciò che vediamo e ascoltiamo, è importante non solo commuoversi ma avere il coraggio di aprire il cuore e di fare passi concreti.
La marcia “Terre di Pace” ha mostrato un volto nuovo di chiesa, una chiesa che sa uscire, scomodarsi per camminare insieme. Abbiamo compreso che l’educazione alla pace si costruisce a partire dai nostri piccoli passi quotidiani, non possiamo pensare che parta dai grandi, dai potenti, dai nostri governi; la pace deve nascere dai luoghi dove abitiamo, nei nostri territori, nei nostri comuni, dentro alle nostre famiglie e parrocchie, nelle scuole e negli ospedali, nei tanti luoghi di lavoro. Questi sono gli ambiti dove ognuno e ognuna di noi può intrecciare i fili di un tessuto sociale fondato su pace, giustizia e fratellanza.
sr Valeria Schena