Sorella: osso delle mie ossa e carne della mia carne

19
Gen

L’alleanza vivificante della sororità, esperienza evangelica

Fraternità è una categoria fondamentale della fede cristiana. Non c’è bisogno di giustificare questa affermazione: si distende nei Vangeli, segna la predicazione e la liturgia antica e moderna, oggi poi – con il magi-stero di papa Francesco – viene proposta come categoria interpretativa delle relazioni umane a tutto tondo, per tutti i popoli e anche per le creature non umane che abitano la Terra. La fraternità però – come sempre nel linguaggio che riflette sistemi patriarcali e androcentrici – nasconde la sororità, non la dice, la dà per scontata o, forse, per non importante. Certamente le donne, nella Chiesa, hanno avuto sempre il loro statuto di so-relle (non sono state fin dall’ini-zio battezzate, ammesse all’eucaristia, alla predicazione?) ma senza che si sentisse il bisogno di dirlo.

La vita religiosa fa eccezione in questo senso, perché là dove si hanno solo donne la lingua non ci permette di usare il termine maschile: basterebbe aggiungere un solo maschio per essere legittimati a chiamare un’assemblea di cento sorelle “fratelli”, ma se si hanno tutte donne, allo-ra non è possibile.

Così la vita religiosa femminile – come in molti altri aspetti e pur con tante ombre e minacce – ha custodito la profonda verità che si realizza in tante vite: non esiste solo la fraternità, nella quale le donne si perdono o alla quale si devono allineare, esiste anche la sororità, una relazione che si caratterizza proprio perché vissuta da donne e fra donne. La vita religiosa femminile ne ha mantenuto la memoria (anche nel linguaggio) e la visibilità, ma tutta la vita della Chiesa è segnata dalla sororità, dall’essere sorelle ed è ora di esplicitarlo, cogliendo anche gli ostacoli con cui si cerca di soffocarlo.

Essere fratelli e sorelle – provo a chiarire anzitutto la categoria più ampia – significa vivere nella stessa casa. Molte volte si dice che fratelli/sorelle sono coloro che hanno lo stesso padre – un po’ perché ci fa gioco per soste-nere che se gli esseri umani non si riconoscono come figli/ figlie di Dio non si innesca nessuna dinamica fraterna (ma così sarebbe impossibile proporre la fraternità universale perché non tutti credono in Dio né chi crede lo fa nello stesso modo) – ma questo non è vero. Sono fratelli/sorelle anche quelli che sono figli/figlie della stessa madre o – soprattutto – che si trovano a crescere/vivere nella stessa casa, condividendo spa-zi, risorse, ricordi, gioie e dolori. È la condivisione della vita che ci rende fratelli/sorelle. E infatti anche la fraternità universale proposta da papa Francesco in Fratelli tutti sgorga dalla riflessione sulla casa comune offerta in Laudato si’. Poiché unica è l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e unico è il suolo che ci nutre, possiamo riconoscerci tutti sulla stessa barca: fratelli e sorelle, come quando i bambini crescono nella stessa casa, fra le cose di tutti e dentro una rete di affetti cui non si può attribuire una proprietà specifica. Stare in questa con-dizione lega profondamente. Anche quando – da grandi – le strade si dovessero dividere, la nostra stessa identità, gli odori che ricordiamo, ciò che tra-smettiamo ai nostri figli, riflette il segno impresso nella nostra carne da fratelli e sorelle: osso delle mie ossa e carne della mia carne.

Provo ora a vedere come tutto ciò si declina nei vissuti femminili. Anzitutto occorre considerare che donne e uomini non hanno le stesse opportunità di vita: condividono lo stesso ambiente, sono sulla stessa barca, ma alle donne restano le bricio-le di quanto è a disposizione di tutti. Non c’è bisogno di ricorda-re qui le statistiche note e – guardando la realtà ecclesiale – questa iniqua distribuzione di possibilità, come anche di valorizzazione di carismi, è triste-mente ingigantita. Siamo tutti fratelli dunque, ma chi più chi meno: le donne meno. Questo fatto, però, ovviamente negati-vo, ha condotto molte donne su vie diverse, aprendo percorsi ed esplorando territori che la fraternità maschile non aveva bi-sogno di cercare. Le donne han-no cioè stretto alleanze profonde, condivisioni di esperienze, narrazioni a partire dal proprio soffrire e dai propri corpi. Le donne hanno imparato a resistere insieme, ad avviare percorsi di resilienza, a fare rete

perché ingiustizia e violenza non le vincessero, ma le trovassero – come la donna della parabola evangelica – a festeggiare con le amiche anche per la gioia più piccola, per ogni frammento di vita.

Non accade sempre, perché il sistema patriarcale insegna alle donne a mettersi le une contro le altre per avere il favore del maschio di turno o per ottenere l’unico spazio che il sistema è disposto a concedere ad una donna: così si trovano a violare il patto di alleanza fra sorelle Rachele e Lia, che ingaggiano una gara selvaggia a dare figli a Giacobbe fino alla morte di una delle due. Similmente rinuncia-no a scoprirsi sorelle Agar e Sara, Anna e l’altra moglie di Elkana e molte altre, di cui que-ste storie bibliche sono solo un campione qualificato.

Ecco, mai dovremmo permettere che un sistema che ci umilia e ci limita ci insegni a rompere la naturale alleanza con quelle che, come noi, vengono umiliate e limitate. Non avremo più vita afferrando l’unica opportunità che ci danno se il prezzo è mi-sconoscere le sorelle, anche una sola. Se l’opportunità di vita che abbiamo davanti non può diventare una risorsa anche per altre, se non apre la possibilità per dare spazio anche ad altre, se ci insegna a violarle e a sostenere un sistema che esclude le sorelle, allora non è un’opportunità di vita. Loro, le altre, sono osso delle mie ossa e carne della mia carne: sulla barca di tutti che tanto iniquamente stabilisce le relazioni, come noi, come me, le sorelle devono resistere. Solo dopo aver difeso e onorato l’alleanza fra donne, dopo esserci opposte al sistema semplicemente con il riconoscimento delle altre e la condivisione di quello che abbiamo, possiamo tentare una sororità rivolta agli uomini. Anche di questi casi (si pensi per esempio a Maria e Mosè) possiamo trovare tracce nella Bibbia, ma solo come promessa di quello che può essere: fatta eccezione per Gesù è difficile vedere un rapporto paritario fra donne e uomini nella Scrittura e, invece, non si può essere sorelle se non alla pari. Come allora essere sorelle di coloro che non sono alla pari con noi perché – che lo vogliano o meno – hanno più opportunità di vita di quante ne abbiamo noi?

Credo che l’unica via – per quanto sta a noi – sia scoprire, come abbiamo fatto per le sorelle, che nonostante i sistemi sociali ed ecclesiali li avvantaggino, non sono meno vulnerabili e perciò hanno bisogno, come noi, di imparare la resilienza che le sorelle da millenni si tra-mandano. Possiamo stare accanto a loro e insieme a loro, rifiutando ogni paternalismo e ogni concessione dall’alto, mostrando con quello che siamo – con le alleanze vivificanti che sappiamo stringere fra donne – che si può stare sulla stessa barca senza per forza dover stare sopra qualcuno. Non è facile, ma abbiamo il Vangelo: possiamo sempre partire da lì.

Simona Segoloni