Si corre da risorti

15
Lug

Sui passi delle donne e degli uomini che hanno annunciato l’incontro col Risorto

I racconti di risurrezione dei Vangeli, pur nelle loro differenze e particolarità, concordano su almeno due aspetti: il primo mette in risalto come l’annuncio di risurrezione venga dato alle donne, le stesse che avevano seguito e vissuto con Gesù fin dall’inizio della sua predicazione; il secondo indica invece una modalità che segue l’annuncio e che sottolinea la fretta, il correre, l’andare. Nel finale originario del Vangelo di Marco, i versetti 1-8, le donne che vanno al sepolcro sono così concentrate su un segno che sembra definitivo – la pietra che lo chiudeva – che hanno bisogno di “alzare lo sguardo” per rendersi conto che quell’ostacolo è stato rimosso. La scoperta di uno spazio vuoto, di un’assenza, quando quello che cercavano era un corpo morto, le riempie di timore – nonostante le parole dell’angelo “Non abbiate paura” – siano le stesse che Gesù aveva ripetute più volte per rassicurare i suoi.

È l’angelo a invitare le donne ad andare dai discepoli per sollecitarli a recarsi in Galilea, dove il Signore li precede, ma lo stupore le induce a fuggire e la paura le riduce al silenzio.

Certo, il silenzio delle donne di fronte a questo compito inatteso non è stato definitivo, come infatti emerge dal racconto dei Vangeli, ma Marco sottolinea come la sproporzione, l’immensità di quanto accaduto, richiedano un percorso interpretativo che ritorni “all’inizio”, in Galilea, per arrivare a rileggere tutta l’esperienza di Gesù con gli occhi di Dio e non con quelli umani, accettando di assumere e vivere, fino in fondo, anche quell’umana paura che, inizialmente, può bloccare le parole in gola.

Anche le donne di Luca vanno al sepolcro al mattino presto, quasi non potessero rimanere lontane dal corpo morto di Gesù. La grossa pietra non è però riuscita a chiudere a lungo la vitalità del Signore ed è stata rimossa. Di fronte a questo fatto inaudito, le donne cercano di cogliere un senso, fino a quando i due uomini con vesti sfolgoranti non le aiutano a rialzare i loro volti chinati a terra e a ri-cordare (a riportare cioè nel loro cuore) quello che già c’era stato: le parole di Gesù, che avevano preannunciato quanto ora è accaduto.

Più volte, infatti, i Vangeli raccontano che Gesù aveva predetto ai discepoli la propria morte e risurrezione dopo tre giorni e se anche le donne avrebbero dovuto ricordarlo vuol dire che a pieno titolo avevano fatto parte di quella cerchia ristretta.

La memoria di quanto ascoltato diventa per le donne corrispondenza tra il Gesù con cui avevano condiviso la vita e il Cristo risorto, e questa fede nella Parola ascoltata e “rimessa” nel cuore, si trasforma nell’urgenza dell’annuncio agli Undici, che però non credono alle donne. Pietro, corso comunque al sepolcro, constata con il suo chinarsi solo l’assenza, e non il ricordo di una vita che non muore.

La scena al sepolcro raccontata da Matteo è dirompente: un terremoto, un angelo in bianche vesti sceso dal cielo, che fa rotolare la pietra del sepolcro e si siede su di essa con un’immagine che indica la morte finalmente vinta, soldati tramortiti e le parole dell’angelo alle donne: “Voi non abbiate paura!”. È una esortazione che le vuole aiutare a comprendere che semplicemente stanno sbagliando l’oggetto del loro cercare: non un crocifisso, non un corpo morto, ma il Gesù vivo che aveva iniziato la sua vicenda in Galilea, dove è necessario tornare per rileggere tutto quello che era successo in quegli ultimi giorni. Le parole dell’angelo provocano una grande gioia che produce anche l’urgenza di andare ad annunciare ciò che era stato detto loro. La fretta di abbandonare il sepolcro, di volgere le spalle alla morte sconfitta per annunciare una vita che non muore, rende possibile l’incontro con il Signore che rafforza e sostiene l’annuncio, che invia verso gli altri. Avviene un altro ribaltamento, anche se meno evidente di quello che aveva provocato il rotolare della pietra: le donne, che nella cultura ebraica avevano riconosciuto come unico compito quello di assicurare una discendenza all’uomo, vengono incaricate di prendere la parola, di testimoniare la risurrezione.

Nei tre sinottici, troviamo donne che corrono, che temono, che sono abitate dallo stupore e dalla gioia, che hanno qualcosa da dire e qualcuno da convocare, poiché hanno vissuto un incontro decisivo con il Signore risorto.

Il racconto di Giovanni invece… è straordinario! A leggerlo sembra di essere lì con Maria Maddalena che si affretta per le vie di Gerusalemme quando è ancora buio, incurante di pericoli o imprevisti. Con la sua fretta di uscire dalla città verso il luogo della sepoltura, fuori dalle mura, perché non c’è mai stato posto per Gesù dentro la capitale! E ritrovarsi nel giardino, dove si “chiude il cerchio” delle Scritture iniziate con il racconto del giardino dell’Eden: il sogno di Dio per le relazioni con gli altri e la natura. Siamo con lei nello stupore della pietra tolta, nel correre da Pietro e gli altri con l’angoscia di chi si vede tolta anche l’ultima realtà della persona amata: il corpo morto. Anche Pietro e il discepolo amato corrono; c’è un movimento frenetico in questa prima parte del racconto. Entrano nel sepolcro, constatano un’assenza, ma non comprendono e fanno ritorno a casa.

Maria invece stava vicino al sepolcro. I due uomini vanno e lei rimane, superando la tentazione di fuggire e, nello stesso tempo, quella della resa. Finito il correre, Maria non vuole abbandonare quel luogo. Il rimanere le permette di fare l’esperienza più straordinaria della sua vita: essere chiamata per nome, riconoscere chi è colui che ti chiama, desiderare di chiuderlo in un abbraccio che duri per sempre; e accettare invece di essere inviata, di andare ad annunciare con la sua parola di donna, che per gli ebrei non contava nulla, quello che è il centro dell’esperienza di fede: “Ho visto il Signore”.

Donatella Mottin

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