San Giuseppe, glorioso patriarca

“Il 19 marzo 1904 ho fatto volare una medaglietta benedetta del mio caro san Giuseppe in un luogo dove mi condusse l’ispirazione. Per quanto mi sembrasse impossibile giungere alla meta, pure il cuore mi diceva che quella terra era di S. Giuseppe… Con sommo gaudio potei costatare che il luogo era proprio il punto preciso dove tanti da anni stava la medaglietta benedetta. Il martedì Santo…fu deciso di venderci il pezzo di terreno tanto desiderato”. Memorie di madre Giovanna Meneghini

Nella foto sopra: la cappella di casa madre a Breganze (VI), luogo dove Giovanna buttò la medaglietta di san Giuseppe.

Dalla Lettere Apostolica “Patris Corde”

Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli «il figlio di Giuseppe». I due Evangelisti che hanno posto in rilievo la sua figura, Matteo e Luca, raccontano poco, ma a sufficienza per far capire che tipo di padre egli fosse e la missione affidatagli dalla Provvidenza.

1. Padre amato
La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, «si pose al servizio dell’intero disegno salvifico», come afferma San Giovanni Crisostomo.
Come discendente di Davide, dalla cui radice doveva germogliare Gesù secondo la promessa fatta a Davide dal profeta Natan, e come sposo di Maria di Nazaret, San Giuseppe è la cerniera che unisce l’Antico e il Nuovo Testamento.

2. Padre nella tenerezza
Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare”. Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe.

3. Padre nell’obbedienza
Analogamente a ciò che Dio ha fatto con Maria, quando le ha manifestato il suo piano di salvezza, così anche a Giuseppe ha rivelato i suoi disegni; e lo ha fatto tramite i sogni, che nella Bibbia, come presso tutti i popoli antichi, venivano considerati come uno dei mezzi con i quali Dio manifesta la sua volontà. Giuseppe è fortemente angustiato davanti all’incomprensibile gravidanza di Maria: non vuole «accusarla pubblicamente», ma decide di «ripudiarla in segreto» (Mt 1,19). Nel primo sogno l’angelo lo aiuta a risolvere il suo grave dilemma: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21). La sua risposta fu immediata: «Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo» (Mt 1,24). Con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria. In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat“, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani.

4. Padre nell’accoglienza
Giuseppe accoglie Maria senza mettere condizioni preventive. Si fida delle parole dell’Angelo. «La nobiltà del suo cuore gli fa subordinare alla carità quanto ha imparato per legge; e oggi, in questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla donna è evidente, Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio». Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: “Non abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. L’accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr 1 Cor 1,27), è «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e comanda di amare lo straniero.

5. Padre dal coraggio creativo
Davanti a una difficoltà ci si può fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere. Alla fine di ogni vicenda che vede Giuseppe come protagonista, il Vangelo annota che egli si alza, prende con sé il Bambino e sua madre, e fa ciò che Dio gli ha ordinato (cfr Mt 1,24; 2,14.21). In effetti, Gesù e Maria sua Madre sono il tesoro più prezioso della nostra fede.

6. Padre lavoratore
Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro.

7. Padre nell’ombra Padri non si nasce, lo si diventa.
E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. 
La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione. Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione. 

I Santi aiutano tutti i fedeli «a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato». La loro vita è una prova concreta che è possibile vivere il Vangelo.
Gesù ha detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), ed essi a loro volta sono esempi di vita da imitare. San Paolo ha esplicitamente esortato: «Diventate miei imitatori!» (1 Cor 4,16). San Giuseppe lo dice attraverso il suo eloquente silenzio.
Davanti all’esempio di tanti Santi e di tante Sante, Sant’Agostino si chiese: «Ciò che questi e queste hanno potuto fare, tu non lo potrai?». E così approdò alla conversione definitiva esclamando: «Tardi ti ho amato, o Bellezza tanto antica e tanto nuova!».

Non resta che implorare da San Giuseppe la grazia delle grazie: la nostra conversione.

A lui rivolgiamo la nostra preghiera:

Salve, custode del Redentore e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo diventò uomo.
O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen.

 

San Giuseppe è una figura molto cara alla spiritualità orsolina, tanto che nelle Costituzioni al n. 29 si legge:

Veneriamo in Giuseppe di Nazaret il servo del Signore, mite e povero in spirito, che si dona con perfetta abnegazione al progetto di Dio. Come la nostra fondatrice lo ebbe maestro nella via del Signore, provvido sostegno ed amico nella cura della sua famiglia religiosa, così noi lo sentiamo partecipe delle sorti del nostro istituto e ne chiediamo fiduciose la protezione“.                         

L’iconografia orsolina risente positivamente di questo legame, tanto che il presbiterio della Chiesa di Casa Madre a Breganze (VI) è di forma rotonda, come si può vedere nella foto a lato, a ricordare la medaglietta di san Giuseppe che madre Giovanna aveva lanciato su questo terreno su cui sorge la Casa Madre, perché il “grande patriarca” la aiutasse nell’acquisto di quel terreno su cui lei vedeva già sorgere la “bianca casetta”. 

Sempre nella Chiesa di Casa Madre, nel 2018, è stato inaugurato il “medaglione di san Giuseppe” (sotto) che raffigura Giuseppe che accompagna Gesù nel cammino della vita, a ricordo proprio della devozione che Giovanna aveva nei confronti di questo grande santo. L’opera è interamente in legno ed è della scuola di Ortisei. 

Sopra: medaglione completo e dettagli di san Giuseppe in casa madre a Breganze (VI).

Sopra: statua di san Giuseppe della Curia Generalizia a Vicenza.

Sopra: la statua di san Giuseppe della comunità di San Francesco Vecchio a Vicenza.