“Quelli della via”

19
Ott

Da sempre i cristiani sono stati identificati come coloro che camminano, poiché al seguito di Gesù Cristo, che passava di città in città, hanno imparato uno stile pellegrinante. Ecco perché tra i primi modi con cui venivano chiamati i discepoli di Cristo c’era infatti anche l’appellativo “quelli della via”.

Si ritiene importante riflettere su questo aspetto dinamico dell’essere cristiani, talvolta oggi dimenticato, riscoprendone il senso attuale e profondo.

Ci aiuta in questo d. Raimondo Sinibaldi, direttore dell’Ufficio Diocesano Pellegrinaggi di Vicenza, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Cosa intendiamo per Pellegrinaggio? Quali caratteristiche sono proprie di un pellegrinaggio rispetto a un altro tipo di viaggio?

Un primo elemento da recuperare è la distinzione tra pellegrinaggio e viaggio. Intendiamo per viaggio un’occasione di relax, svago, crescita culturale mediante la visita di alcuni luoghi significativi e la possibilità di incontro con realtà, situazioni, culture molto diverse dalla propria. Il pellegrinaggio va invece inteso come quell’andare verso una meta ben precisa in relazione alle sorgenti e alle radici della fede cristiana. Tali mete sono molte, più o meno lontane, anticamente tra tutte se ne distinguevano tre, dette peregrinationes maiores, che erano Gerusalemme, Roma e Santiago.

Il pellegrinaggio ha perciò bisogno di una meta con un intendimento di fede chiaro a cui puntare tramite un cammino e un itinerario. Una volta il percorso era sempre a piedi, costellato da una serie di tappe, dove sono sorti anche luoghi significativi della fede. Oggi vivere l’itinerario verso la meta del pellegrinaggio ha una valenza diversa e più estesa, perché non tiene conto solamente del tempo dedicato a raggiungere la destinazione, ma inizia già a casa. E’ quindi importante sia una preparazione storica e culturale del luogo che si andrà a visitare, sia creare una forma di itinerario interiore e spirituale che la persona è chiamata ad accrescere con l’esperienza del pellegrinaggio.

Ci sono altre caratteristiche che sono proprie di un pellegrinaggio?

Sì, un ulteriore ed importante elemento del pellegrinaggio è il metodo. Questo è necessario per evitare alcune derive, quali quelle devozionistiche e miracolistiche, ma anche quelle tradizionalitiche che associano il pellegrinaggio ad uno standard che coinvolge relativamente poco le persone e la loro vita di fede. Si necessita quindi di un metodo costituito prevalentemente da tre momenti:

il contesto: la comprensione cioè di dove è situata la meta da raggiungere. In particolare si fa riferimento al contesto storico, geografico, culturale, religioso, politico, sociale e linguistico. In questo caso ci aiutano le scienze umane, quali l’archeologia, la geografia, l’epigrafia, la chimica, gli studi di antropologia culturale e religiosa e gli studi dei dinamismi sociali;

il testo: in primis la Parola di Dio ma anche quelle umane, mariane e di alcuni santi. Il testo infatti acquista maggior significato e contenuto oggettivo se viene letto nel suo contesto d’origine, altrimenti il rischio è quello di leggere e interpretare i vari messaggi con le categorie della nostra cultura occidentale, caratterizzata da elementi molto diversi da quelli delle altre culture a cui i testi stessi fanno riferimento (es. semitica, cinese, giapponese, etc.);

la testa: il pellegrinaggio cioè deve interpellare la nostra esistenza. Ogni esperienza è autentica se fa appello al nostro cammino umano di crescita esperienziale e di fede, al nostro modo di vivere l’appartenenza ecclesiale, e alle modalità che noi abbiamo per vivere anche la nostra fede nella storicizzazione del tempo.

Concludendo, si mette in evidenza come il pellegrinaggio non è quindi solo un fatto di sentimenti ed emozioni, ma porta a una ricerca e a una conoscenza della realtà, che utilizza anche ciò che le scienze umane mettono a disposizione, facendo tesoro di tutto un bagaglio di civiltà, storia, idee e conoscenze che si sono sviluppate nel determinato luogo e realtà che andiamo a incontrare.

A questo proposito è molto importante curare una formazione che comprenda occasioni di confronto con altre culture anche a livello più ampio, ecco perché per l’Ufficio Pellegrinaggi è importante promuovere iniziative concrete di approfondimento, crescita e opportunità di dialogo quali la partecipazione al Festival Biblico, le iniziative della Linfa dell’Ulivo, e le proposte curate insieme con altre associazioni tra cui anche il CDS Presenza Donna.

Oltre alla meta e al metodo, cosa ancora è importante per un pellegrinaggio?

Un terzo elemento importante del pellegrinaggio è l’occasione che esso offre di approcciare il testo biblico. La comprensione della Parola infatti non deve essere esclusivamente un fatto letterario, mediante l’approfondimento delle lingue originali, ma va intesa nel suo ambiente semitico, nella sua cultura mesopotamica, nella cultura della mezza luna fertile. Infatti, tutti i pellegrini che sono andati nelle terre bibliche (es. Israele, Palestina, Turchia, Grecia, Iran, Egitto, etc.) comprendono meglio la valenza e il significato della Parola poiché il perché di certi detti, alcuni comportamenti narrati e certi modi di essere sono contestualizzati e collocati nella cultura di origine. Quindi, un modo oggi per far crescere nella consapevolezza del significato della Parola è certamente l’esperienza del pellegrinaggio.

Il pellegrinaggio può diventare occasione di evangelizzazione?

Certamente, perché ai pellegrinaggi partecipano sia cristiani convinti, sia persone che si sono allontanate dalla fede, o che non sono più praticanti. Il cammino proposto diventa così terreno propizio in cui i pellegrini si possono mettere in discussione perché il pellegrinaggio aiuta sia a comprendere la veridicità di un messaggio (sia esso biblico, mariano, religioso …) sia perché permette di entrare in contatto con persone, fatti e avvenimenti concreti.

Spesso infatti, il rischio della fede è quello di apparire come sganciata dalla realtà poiché radicata in una teoria, un punto di vista, una filosofia, una teologia, cioè con qualcosa di lontano. La dinamica del pellegrinaggio aiuta ad uscire da questa visione intellettualistica della fede per aiutare a mettere in movimento nelle persone tutta una serie di elementi.

Può infatti mettersi in moto una ricerca spirituale, di desiderio di comprensione del mondo biblico, teologico, patristico; spesso inizia anche un’attenzione alle persone che vivono in quella realtà e quindi non solo alle pietre sante, ma anche alle pietre vive, coltivando atteggiamenti di carità, solidarietà e condivisione. Inoltre, può mettersi in movimento anche la ricomprensione del modo di vivere la fede scoprendo che la stessa fede che io vivo può essere vissuta in modi molto diversi dal mio, in culture e situazioni molto diverse (es. giapponese, siriaca, russa ortodossa).

Uno degli ultimi progetti dell’Ufficio Pellegrinaggi è chiamato “Romea Strata”, che cosa riguarda?

Accanto alle tante mete di pellegrinaggio all’estero, molte sono quelle italiane, in particolare negli ultimi anni stiamo lavorando al progetto della “Romea Strata” per la riscoperta di antiche vie di pellegrinaggio che conducevano principalmente a Roma, alle tombe di Pietro e Paolo. La proposta è quella di ripercorrere queste vie a piedi per riscoprire la bellezza e l’essenzialità del camminare con l’occasione di ripercorrere le antiche rotte di pellegrinaggio che passavano dal Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia Romagna, Toscana. Passo dopo passo il pellegrino entra in contatto in modo diretto con se stesso, con il creato, con la storia, la cultura, la fede, la spiritualità e le persone dei luoghi che si vanno a visitare.

Una battuta conclusiva …

Fare l’esperienza del pellegrino è quindi vivere un tempo particolare, andando in un luogo specifico e rivelativo, che aiuta a capire quanto è avvenuto tra Dio e gli uomini e quanto Dio continua ancora a manifestarsi nella nostra esistenza.

A cura di sr. Elisa Panato

 

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