Quaresima, tempo per tessere il Regno

13
Mar

Tabità, la discepola, ci accompagna in questo cammino di Quaresima, dentro il mistero della carità, la più alta forma d’amore per un cristiano: misericordia e carità sono le opere di bene che ci fanno vivere ad immagine e somiglianza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Quando queste opere non si limitano ad essere azioni ma diventano frutto di un vero e proprio cambiamento interiore, di tutta l’esistenza, conversione appunto, la nostra vita diventa spazio abitato dal Signore, tempio di Dio. Quando il fare assume il significato del vivere autenticamente la nostra fede in Cristo, allora la carità è preghiera, la vita è una lode verso il Signore, è comunione. In Tabità possiamo vedere il tocco unico e originale che ciascuno di noi può essere per la propria comunità, in Tabità scopriamo che ciascuno è essenziale e unico. Nessuno sostituisce nessuno perché non siamo pezzi da usare e buttare, ma ciascuno è espressione irripetibile, proprio come ci pensa Dio. Allora ciascuno di noi sarà dono e mantello per chi è prossimo, per chi ci cammina a fianco e, se qualcuno rimane indietro, possiamo diventare rifugio sicuro e amorevole, in una logica del “noi” che la Pasqua di resurrezione mette in luce: siamo comunità di fratelli e sorelle in Cristo.

Tabità e il dono del mantello

Tabità e il dono del mantello

Il mantello è simbolo di relazioni, di attenzione all’altro, della cura e del dono.

Tabità, la discepola, ci accompagna in questo cammino di Quaresima, dentro il mistero della carità, la più alta forma d’amore per un cristiano: misericordia e carità sono le opere di bene che ci fanno vivere ad immagine e somiglianza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Quando queste opere non si limitano ad essere azioni ma diventano frutto di un vero e proprio cambiamento interiore, di tutta l’esistenza, conversione appunto, la nostra vita diventa spazio abitato dal Signore, tempio di Dio. Quando il fare assume il significato del vivere autenticamente la nostra fede in Cristo, allora la carità è preghiera, la vita è una lode verso il Signore, è comunione. In Tabità possiamo vedere il tocco unico e originale che ciascuno di noi può essere per la propria comunità, in Tabità scopriamo che ciascuno è essenziale e unico. Nessuno sostituisce nessuno perché non siamo pezzi da usare e buttare, ma ciascuno è espressione irripetibile, proprio come ci pensa Dio. Allora ciascuno di noi sarà dono e mantello per chi è prossimo, per chi ci cammina a fianco e, se qualcuno rimane indietro, possiamo diventare rifugio sicuro e amorevole, in una logica del “noi” che la Pasqua di resurrezione mette in luce: siamo comunità di fratelli e sorelle in Cristo.

Un dolore si era diffuso rapidamente per le vie della cittadina di Giaffa, questo dolore aveva raggiunto anche i discepoli, i seguaci della Via (così erano chiamati i cristiani). Tabità una discepola che da tempo aveva aderito alla fede si era distinta tra i credenti per le numerose opere buone, fatte con amore sincero. Era stata colpita da una malattia improvvisa che l’ha portata alla morte. Tutti la conoscevano e la comunità era rimasta scossa dalla notizia. La comunità era costituita da nuovi discepoli che vivevano in spirito di sincera comunione, tanto da non avere difficoltà a mettere in comune i propri beni in modo da non far vivere nessuno nel disagio e senza l’essenziale, soprattutto le vedove e i bambini.  Tabitá, che tutti chiamavano Gazzella, viveva la sua fede in maniere discreta, umile e intensa.

Era una donna che tesseva stoffe, confezionava indumenti, era per lei un modo semplice e pratico per aiutare soprattutto le vedove. Era anche presente negli incontri del sabato, quando tutti si radunavano per lodare il Signore, per ascoltare la parola degli Apostoli e per spezzare il pane. Tabità aveva fatta sua la   parola del Signore che diceva: «c’è più gioia nel dare che nel ricevere». E’ nel dare che Tabità imitava il cuore di Dio, in un dare che non voleva essere solamente servizio per la comunità, ma frammento d’amore di Dio per il prossimo, per chi tende la mano, per chi è parte della tua vita. Il suo era un fare che si declinava di giorno in giorno sempre più in generare.

Ed è per questo che le vedove si erano recate nella sua casa, al piano superiore, per onorare il suo corpo senza trattenere le lacrime. E in quel piano superiore, dove giaceva il suo corpo morto, l’Apostolo Pietro prega, prega per la discepola che tesseva tuniche e mantelli per i poveri. Pietro prega intensamente. Il mantello è simbolo di relazioni, di attenzione all’altro, della cura e del dono. È l’indumento che copre, ripara, è rifugio e misericordia, è l’emblema della cura di Dio per il suo piccolo popolo: «Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l’età dell’amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia» (Ez 16, 8). È il mantello di Cristo che si fa totalmente dono, eccessivo, traboccante amore, per Tabità, per Pietro, per le prime comunità, per ogni comunità, per noi che viviamo questo tempo e per ogni persona che vivrà nel tempo, perché il Suo amore sarà per sempre il nostro rifugio. Pietro con grande autorità dice: «Tabità, alzati!». Ed essa apre subito gli occhi, come se si stesse svegliando dal sonno.  Pietro allora chiama i credenti e le vedove e la presenta loro viva e sorridente. Tabità, gazzella di opere buone, diventa segno di benedizione di Dio, diventa amore e . Tabità è per noi oggi icona di tutti quei cristiani, lavoratori anonimi e silenziosi che con la loro fatica, competenza e solidarietà costruiscono il Regno di Dio e la Chiesa.

Facciamoci anche noi Tabità, gazzella per gli altri, il nostro prossimo…tessitrici di doni, ricamatrici del Regno. Possiamo condividere le nostre esperienze, le nostre Tabità, quelle che abitano le nostre comunità, testimoni e discepole di Cristo.

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