Intervista a suor Anna Maria Vitagliani, accompagnatrice spirituale e predicatrice di esercizi ignaziani
Suor Anna Maria Vitagliani, originaria di Milano, dopo gli studi universitari e alcuni anni di lavoro, nel 2004 è entrata tra le Religiose di Nazareth, un istituto di origine francese, che ha come carisma il mistero di Nazareth, come missione l’ambito formativo, e tra i fondatori un padre gesuita. Dopo la licenza in Teologia biblica alla Gregoriana e l’approfondimento degli esercizi spirituali ignaziani, dal 2015 vive a Pozzuoli (Napoli), dove è impegnata nella formazione biblica e spirituale, nella predicazione degli esercizi spirituali ignaziani, nelle équipes formative di due seminari campani e nel cammino della pastorale “di frontiera” con gruppi LGBT.
Come ti sei avvicinata al discernimento?
Il primo approccio al discernimento è avvenuto nella mia esperienza di accompagnamento spirituale al mio discernimento vocazionale, dove ho iniziato a tematizzare il mondo delle mozioni spirituali. Oggi è l’ambito della mia missione nell’accompagnamento al discernimento vocazionale al propedeutico di San Luigi Posillipo-Napoli e al propedeutico di Napoli Capodimonte, oltre agli accompagnamenti personali. È un tema centrale anche nella congregazione: per discernere in questo tempo di cambiamento d’epoca, sia a livello di congregazione che di comunità preparando ogni anno il progetto comunitario, come collaborare e favorire l’opera dello Spirito: cogliere ciò che sta declinando per lasciarlo declinare senza investirci più tempo ed energie, per sostenere invece i germogli che lo Spirito sta suscitando.
Com’è nato il tuo impegno nell’équipe formativa dei due seminari propedeutici di Napoli?
Mentre studiavo (teologia biblica, ndr) alla Gregoriana, ho frequentato un corso e stretto amicizia con un prete della diocesi di sant’Angelo dei Lombardi, che divenne poi responsabile del propedeutico di San Luigi Posillipo. Quando seppe del mio trasferimento a Pozzuoli nel 2015, chiese a me e ad una mia consorella di entrare nell’équipe. Cominciammo così, poi la mia consorella è stata trasferita e sono rimasta io. Tre anni fa, invece, mi è stato chiesto dal rettore del seminario di Napoli Capodimonte di entrare nell’équipe del propedeutico e di avviare una “scuola” di preghiera in stile ignaziano.
Qual è il tuo ruolo e come sei stata accolta?
Sono parte dell’équipe di formazione spirituale, quindi non sono da sola: siamo in due o tre membri. Curiamo un incontro settimanale di formazione spirituale e poi l’accompagnamento spirituale.
In entrambe le esperienze, dai preti sono stata accolta benissimo, con grande rispetto, stima e apprezzamento anche per la specificità femminile che posso portare in termini di umanità e di esperienza ignaziana. Le difficoltà ci sono state nei primi anni con i ragazzi: non per pregiudizi, ma perché venivano da un’idea di Chiesa maschile e clericale, dove non è contemplabile vedere una donna impegnata nella formazione. Tanto più in un ambito delicato, come quello dell’accompagnamento, nel quale consegnano qualcosa di molto personale, anche a livello affettivo e sessuale. Capivo l’imbarazzo che provavano nei primi anni e ricordo che il formatore doveva esplicitare il fatto che anch’io fossi parte dell’équipe. Oggi è normale, perché la mia presenza si è “istituzionalizzata” e poi i ragazzi si passano parola.
Qual è l’apporto che porta una donna nella formazione dei futuri preti?
Un primo elemento è l’attenzione alla dimensione affettiva, che non do mai per scontata neanche nell’accompagnamento spirituale, lasciando che i ragazzi esplicitino la dimensione affettiva sia umana che spirituale (il “sentire” ignaziano). Un altro elemento è l’attenzione alle relazioni, e poi credo una prospettiva femminile anche nel modo di porgere i contenuti, cosa che mi viene rimandata spesso per esempio quando do gli esercizi spirituali. Penso sia molto importante anche in prospettiva, così che i futuri preti promuovano comunità in cui alla pari donne e uomini contribuiscono e hanno responsabilità, anche formative, nel costruire la comunità parrocchiale, perché la Chiesa non è prevalentemente maschile. E poi da ultimo, e lo dico con molta umiltà, anche la possibilità di manifestare qualcosa del volto femminile di Dio, che è padre, e anche madre.
Donne e uomini in alleanza con Dio per la crescita del regno, è possibile che diventi uno stile scelto?
Deve diventare uno stile! Che ora purtroppo bisogna ancora scegliere, perché non è ancora “normale”, ma dovrà arrivare il momento in cui non ci sarà neanche bisogno di sceglierlo, perché sarà così e semplicemente si farà. La parte maschile deve fare il suo cammino, però io credo che ci sia anche una responsabilità da parte del mondo femminile. Penso al mondo delle congregazioni femminili, che è quello che conosco più da vicino. Le congregazioni femminili devono investire nella formazione seria delle loro suore. Porto un esempio recente: quest’anno ho chiesto un anno di aspettativa perché ho vissuto il mio “terz’anno” formativo, e abbiamo cercato una figura femminile che mi potesse sostituire nella formazione, anche per dare continuità a quanto iniziato, ma non siamo riusciti a trovarla. Serve una formazione seria per le suore, altrimenti quando arriva la richiesta, noi non siamo preparate a rispondere.
Hai incontrato esperienze simili alla tua?
Le congregazioni ignaziane femminili, in Francia, sono impegnate nella formazione, nell’accompagnamento, quindi ritrovo esperienze simili con le suore del Cenacolo e le Ausiliatrici delle anime del purgatorio.
Cosa significa pregare nel discernimento?
Intendendo il pregare come mettersi in ascolto profondo della persona, significa prendersi il tempo di pregare per la persona, così come cercare di cogliere come lo Spirito sta lavorando in lei. L’ascolto profondo è anche quello che si vive nella relazione di accompagnamento, in cui chi accompagna si mette in questo ascolto profondo dello Spirito e in qualche modo sta pregando, perché altrimenti non potrebbe attivarsi in questa dinamica. È cogliere la persona in profondità, imparando a conoscerla nella sua identità profonda quasi a livello intuitivo, in quell’umanità che emerge dalla persona stessa. È un ascolto incondizionato, senza pregiudizi e precomprensioni. È darsi il tempo che la persona possa emergere per ciò che è, anche se fuori dai miei schemi. Penso per esempio all’accompagnamento, anche vocazionale, delle persone omosessuali, che per definizione emergono in maniera nuova rispetto a quelle che secondo la Chiesa sono le vocazioni che una persona omosessuale può avere e che di fatto sono molto ristrette. Questo ascolto porta a far emergere la persona nella sua unicità, in ciò che viene veramente dal Signore e che la sta facendo fiorire. È mettersi in ascolto dei luoghi di consolazione profonda che sono i luoghi in cui il Signore la sta toccando, la sta facendo emergere, lì dove sente che l’energia vitale di Dio la sta spingendo ad uscire. È un’operazione da ostetrica, che mi riempie dell’umanità dell’altro e genera un’espansione della mia stessa umanità.
sr Naike Monique Borgo