Pregare la lode

11
Lug

La lode scaturisce dal nucleo stesso della fede: fiducia, confidenza, affidamento, che si fanno stupore, riconoscimento e riconoscenza

Lo si riconosce spesso: preghiamo per chiedere più che per lodare e ringraziare. Ma questo è dovuto alla modalità stessa con la quale ci rapportiamo a Dio, la maggior parte delle volte invocato a partire dal bisogno, talvolta quasi come ultima spiaggia. Lo ricorda il verso di una canzone di qualche anno fa: “Proviamo anche con Dio, non si sa mai”.

Pregare la lode richiede probabilmente un cambiamento di prospettiva, che ci colloca nel mondo con la leggerezza di chi accoglie, non di chi controlla e pianifica. Lodare è insieme condizione e risultato di una libertà di cuore e quindi di sguardo, che ha come figure di riferimento il bambino e il poeta, il clown e l’artista. La lode non può che scaturire dal nucleo medesimo della fede: fiducia, confidenza, affidamento, che si fanno stupore, riconoscimento e riconoscenza. Lodando, ci si libera progressivamente dal rapporto utilitaristico con Dio, da una religiosità dello scambio contabile, dentro la quale lo trasciniamo. Infatti, proiettando in Dio il nostro modo di pensare, immaginiamo che Egli si aspetti di essere lodato in quanto grande, immenso, onnipotente: un re in trono, incensato dai suoi sudditi (e le chiese hanno purtroppo contribuito a confermare questa caricatura divina). Invece pregare la lode è anzitutto per apprendere di continuo come vivere la nostra umanità, come stare dentro la storia, come sentirsi parte di un tutto in cui siamo immersi solo e unicamente per grazia.

 

Lodare sperimentando gratuità

Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? (1Cor 4,7)

Sappiamo lodare se cogliamo e accogliamo tutto come dono di gratuità, a partire dall’esistenza: non ce la siamo data, l’abbiamo ricevuta. Il mito – soprattutto maschile, per non dire maschilista – di chi si sarebbe fatto con le sue mani è fonte di presunzioni deleterie e trasforma in padreterni supponenti e assai spesso violenti. Se iniziamo a percepire che tante realtà, dalla più piccola alla più grande, non sono dovute né scontate e ci arrivano al di là dei nostri meriti, allora diventa conseguente come prima cosa rendere lode. Pregare nella lode decostruisce un po’ alla volta l’impalcatura di autosufficienza, con la quale crediamo di poter tenere su l’immagine di noi. Recuperare la gratuità, nella quale siamo immersi, è liberatorio: non dobbiamo far sorgere il sole o fare battere il cuore, possiamo affidarci al fatto che avviene e dire grazie di questo. Il filosofo Jean-Luc Marion ricorda che il reale – cioè il dato che è là, indipendentemente da noi – è donato (nella lingua francese donné è insieme dato e donato). Non si tratta di una speculazione intellettuale, ma di un’indicazione di vita, che può davvero cambiare il modo di stare al mondo. E da questo punto di vista pregare la lode non è esclusivo di chi è credente e si rivolge ad un “tu” trascendente. Ci sono donne e uomini aperti alla gratuità e capaci quindi di far fiorire lode nelle relazioni con persone e cose, appunto perché le vivono con riconoscenza e senza possessività. Percepire e percepirsi come dono fa respirare i nostri giorni, come dice Gesù di Nazaret invitando a guardare gli uccelli del cielo e i gigli del campo per non affogare dentro le preoccupazioni.

 

Lodare con la comunità della creazione

I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne (Sal 98,8)

La modernità, che ha messo al centro l’io e i suoi diritti, è segnata da un limite sempre più evidente: l’antropocentrismo divenuto esasperato. Ci riteniamo al centro di tutto e tutto ruota intorno a noi, con l’esito che i diritti sono quelli iper-garantiti dei più forti e la natura è mero oggetto manipolabile. Va recuperata la comunità della creazione, dove non ci sono gerarchie, ma differenze da accogliere e custodire. Diviene allora quanto mai significativo il vocabolario biblico, che a prima vista sembra paradossale, mentre attiva una percezione altra di ogni realtà creaturale. Solo noi umani possiamo battere le mani o il movimento dei fiumi è un battito di mani, che innalza una lode unica nel suo genere e con la quale mettersi in sintonia? Unicamente noi danziamo o “le montagne saltano come arieti e le colline come agnelli di un gregge” inneggiando così al Soffio che le anima (Sal 114,8)? Non si tratta di fare di quanto ci circonda una sorta di location più o meno romantica, che muove sentimenti superficiali (sentimentalismi) come fossimo in un set fotografico fatto di albe radiose e tramonti dorati. Sentirsi parte della comunità della creazione e pregare la lode insieme ad essa richiede una profonda revisione dell’ottica, con la quale ci mettiamo in relazione con l’universo, sentendoci parte di esso. Anche in questa modalità di pregare possiamo cogliere un’apertura, che va oltre le forme religiose standardizzate. I giovani, ad esempio, difficilmente li troviamo a pregare nelle assemblee di chiesa; ma il loro coinvolgimento nella salvaguardia del creato, dando voce ad una natura che va ascoltata, non potrebbe essere una singolare preghiera di lode?  E il Nobel per la pace Wangari Maathai, la donna che piantava alberi coinvolgendo altre donne fino ad arrivare a quaranta milioni di alberi piantati in terreni delle rispettive comunità, non ha innalzato al cielo una immensa e splendida preghiera di lode?

 

Lodare alla scuola dei piccoli

Ti rendo lode, Padre, perché queste cose le hai rivelate ai piccoli  (Mt 11,25)

Due donne s’incontrano a partire dalla loro insignificanza: l’una giovane, che non conosce uomo e quindi senza la tutela di chi ha autorità, l’altra vecchia e fino a quel momento sterile, pertanto doppiamente marginalizzata. Ne scaturisce un cantico di lode poetico e rivoluzionario, che solca i secoli e ancora oggi dà voce a chi non ha voce.  Paradossalmente è dai piccoli e dai poveri, che si innalzano le lodi più festose, a fronte di chi è garantito dai soldi e dal potere eppure ristagna nel risentimento, nella paura, nella chiusura. Neanche in questo caso si tratta di rendere romantico ciò che è tragico, magnificando il cuor contento di chi non ha nulla, perché povertà e marginalità sono frutto di profonde ingiustizie da non tollerare. È indubbio, tuttavia, quanto le narrazioni evangeliche ci mettono continuamente sotto gli occhi e che ha felicemente stupito per primo lo stesso Gesù: il Vangelo, la buona notizia e quindi la lode, dai poveri. Le popolazioni dei differenti Sud del mondo sanno fare festa, lodare, ringraziare, danzare e acclamare con una umanità, che nemmeno le condizioni peggiori riescono a soffocare. I loro corpi pregano lode, le loro voci cantano lode, i loro cuori esplodono lode. Se i primi nel mondo lo avvelenano con la competizione, che si fa aggressione fino alla violenza e alla guerra, gli ultimi lo fanno respirare con il respiro della riconoscenza, che diviene condivisione del poco moltiplicato dalla fraternità tra loro e con madre terra. Ecco pertanto che alla loro scuola possiamo reimparare a pregare la lode, tornando all’alfabeto delle realtà semplici e autentiche con il quale rivolgere in alto un grazie riconoscente.

don Dario Vivian