Pregare, esperienza di discernimento

17
Ott

“Misurarsi con l’attitudine evangelica di stare dentro la storia, che non riguarda unicamente i singoli ma l’intera comunità cristiana”

Una parola un tempo assai poco usata e ora molto gettonata: discernimento. Basta la parola? Evidentemente no, ma non si può nemmeno liquidarla come una moda. Si tratta di una dimensione della vita personale e comunitaria, che anche con modalità non riflesse viene messa in atto. Ciascuno e tutti facciamo scelte – pure quando scegliamo di non scegliere – e ci arriviamo dopo averci almeno minimamente pensato. Una valutazione, magari affrettata e immediata, viene espressa dentro di noi quando dobbiamo decidere. Mettere a tema il discernimento significa dare maggiore spazio e motivazioni al nostro pensare prima di fare, se non altro per non disfare (quando non addirittura sfasciare). Questo dovrebbe caratterizzarci come umani, evitando forme di istintività/istintualità deleterie. L’esempio rischia di essere scontato, tuttavia interroga: quale discernimento c’è nella comunicazione all’interno del mondo dei social? La cosa si fa ancora più sfidante se il discernimento esprime lo sguardo di fede, che da credenti dovremmo avere sulla vita e le scelte. Discernere diviene allora misurarsi con l’attitudine evangelica di stare dentro la storia, che non riguarda unicamente i singoli, ma l’intera comunità cristiana. Proviamo a chiederci se e come la preghiera possa diventare esperienza di discernimento personale e insieme comunitario, visto che, se ci è chiesto di pregare nel segreto, pregare peraltro struttura il radunarsi della Chiesa in particolare nella liturgia domenicale.

Pregare: respirare lo Spirito

“Non sappiamo come pregare, ma lo Spirito prega in noi” (Rm 8,26)

Il soggetto del discernimento è la persona e/o comunità che lo mette in atto, ma ciò è reso possibile dallo Spirito, che agisce nella nostra preghiera abitandola e animandola dall’interno. Lo Spirito è soffio, possiamo quindi prendere ad esempio l’aria in cui siamo immersi e che ci permette di respirare. L’azione è nostra, tuttavia senza l’aria hai poco da azionare i polmoni, non ce la fai. Quando si prega, in modo particolare si respira lo Spirito, affidando a quel Soffio di ritrovare fiato per affrontare la vita e le decisioni che essa comporta. Non ritengo che pregando ci vengano dall’alto le indicazioni per discernere, quasi udissimo le voci, anzi diffidiamo delle forme spiritualistiche che sanno di fideismo. Ma nella preghiera si amplia la percezione del nostro essere immersi in un Respiro più grande, del quale ci fidiamo e al quale ci affidiamo. Anche chi ha una visione laica della vita, per fare un discernimento significativo ha bisogno di attingere ad una dimensione profonda, in tempi e spazi non travolti dalla concitazione e dalle urgenze del momento. In troppe situazioni, personali e collettive, ci viene da dire: «Manca l’aria!» Comprendiamo così perché si facciano scelte asfittiche, che non portano da nessuna parte, oppure scelte inquinate da miasmi deleteri provenienti dalla nostra libertà non bonificata dal soffio liberante dello Spirito.

Pregare: work in progress esistenziale

“Chi di voi, volendo costruire, non si siede prima a calcolare?” (Lc 14,28)

Negli ambienti religiosi si parla spesso di discernimento vocazionale, sperando non ci si riferisca unicamente a chi diventa suora o prete, come se ogni altra scelta non fosse chiamata a fare della vita una risposta sensata per noi e per gli altri. Purtroppo si presentava questo discernimento – e talvolta lo si presenta ancora – come l’interrogativo sulla decisione già presa da Dio, che la persona dovrebbe scoprire e mettere in atto. Niente di più lontano dal dono di libertà che ci è dato e che dobbiamo attivare fino in fondo, non senza Dio per chi crede, ma un Dio che costruisce con noi la risposta vocazionale e fa di tutto per garantirne il compimento, al punto di recuperare anche i fallimenti: scrive diritto pure con le righe storte! Si tratta pertanto di un work in progress della nostra stessa esistenza, che necessita sì di un’avvertenza continua nel mentre si vive e si sceglie, ma anche di prendersi il tempo – come dice il Vangelo – di sedersi a fare i calcoli con saggezza. E se pregare fosse proprio questo? Infatti i calcoli elaborati nell’esercizio della preghiera fanno sì che i conti tornino, ma non nella modalità interessata con la quale solitamente li facciamo a partire dal nostro tornaconto. Paradossalmente la pagina evangelica che chiede di sedersi a calcolare conclude dicendo: “Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo” (Lc 14,33).

Pregare: contaminarsi per de-contaminarsi

“Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21)

Per fare discernimento bisogna sporcarsi le mani, decidere anche a rischio, dal momento che discernere non è unicamente un atto di intelligenza – pur essendo necessario il tempo per pensare – ma un atto pratico. Talvolta mantenere il discernimento a livello di idee trova una corrispondenza nella preghiera, vissuta come esperienza che ci toglie da una vita contaminata per collocarci nella “purezza” della sfera religiosa. Quante persone pie si accusano ancora di avere delle distrazioni durante la preghiera, mentre non sono altro che situazioni, avvenimenti, realtà della vita in cui siamo immersi. Non c’è niente che non possa e non debba entrare nella preghiera, persino i sentimenti negativi, come preghiamo nei Salmi non censurando improperi, maledizioni, violenze. Significa allora che ci lasciamo travolgere da questa contaminazione, alla quale peraltro non è sfuggito nemmeno Colui che “non ritenne un privilegio l’essere come Dio” (Fil 2,6)? La stessa preghiera che ci contamina, cioè ci immerge fino in fondo nell’esistenza nostra e degli altri, diviene esperienza di una salutare decontaminazione purificante e liberante. Torniamo al riferimento ai Salmi: non negano i sentimenti negativi, ma collocarli in Dio li riplasma, li ridimensiona, li trasforma in nemici interiori e non in guerre guerreggiate. Ogni cosa confluisce nella preghiera, ma pregando avviene quel discernimento, che permette di tenere ciò che è buono.

 Pregare: non stare alla finestra

“Come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Lc 12,56)

L’esperienza di discernimento

più necessaria è, troppo spesso, anche la più disattesa. Magari recriminiamo contro i tempi malvagi, rimpiangiamo il buon tempo antico idealizzandolo, ma non sappiamo valutare con intelligenza e con fede il tempo attuale, la contemporaneità che ci è data da vivere. Vivere la preghiera come esperienza di discernimento ci espone, è atto politico con il quale prendiamo posizione, non è un modo per stare alla finestra a guardare. Se Gesù avesse pregato di meno, non avesse trascorso notti intere immerso nella preghiera, probabilmente sarebbe morto sul proprio letto e non ammazzato dal potere politico-religioso. Uno dei più grandi inni rivoluzionari lo ha pregato una giovane ragazza di Nazaret, madre di quel Figlio morto ammazzato, al punto che un biblista francese definisce il Magnificat come la “Marsigliese” del Nuovo Testamento: i potenti rovesciati dai troni e gli umili innalzati, i poveri ricolmati e i ricchi svuotati. In tutta la Bibbia troviamo testimonianza di discernimenti dovuti dalle donne, che li elaborano non negli spazi sacri, nelle liturgie ufficiali, ma nel quotidiano della vita con una preghiera fatta spesso ai margini eppure capace di cambiare le cose. Quando le religioni e le chiese si convertiranno da un patriarcato maschilista, che non riesce più ad esprimere liturgie e preghiere, espressione di autentico discernimento di vita?

don Dario Vivian