Poiché ha tanto amato…

18
Lug

Ci sono diversi tipi di carceri: alcune sono fatte di muri chiusi e inferriate soffocanti; altre si sviluppano in una apparente libertà, dove la ‘prigionia’ si manifesta in sguardi che feriscono o trapassano come se si fosse invisibili, oppure in parole che diventano macigni e rinchiudono in uno stato da cui non è più possibile uscire.

Questa è la forma di prigionia che sperimenta la donna di Luca 7,36-50, eppure proprio questa donna, la cui vita veniva chiusa da una breve definizione: “…è una peccatrice”, sfida ogni convenzione ed entra nella casa di un fariseo; infrange tutte le regole del tempo e affronta il rifiuto, l’incomprensione, il disprezzo, la condanna. Non che non fosse ‘abituata’ a queste reazioni, ma fino a quel momento le aveva solo ‘subite’; in questa occasione, è lei che sceglie di correre questo rischio e non le interessa nulla di come potrebbero reagire le altre persone presenti. Per lei, l’amore e la gratitudine verso Gesù superano di molto tutte le possibili reazioni negative che il suo gesto potrebbe avere.

È significativo che tutti gli evangelisti nominino l’incontro di Gesù con una donna che lo profuma, pur mettendo in luce aspetti diversi, che portano a non considerare i racconti come un unico avvenimento, narrato in differenti contesti. In Marco e Matteo la donna unge la testa di Gesù e non i piedi, come in Luca e Giovanni. In Giovanni, la donna è indicata per nome, Maria, la sorella di Lazzaro. In Marco, Matteo e Giovanni l’unzione avviene poco prima della sua passione, mentre Luca narra l’episodio collocandolo agli inizi della vita pubblica di Gesù, in Galilea, e la donna non ha nome. Il significato stesso del suo racconto è molto diverso da quello degli altri tre evangelisti.

Il contesto della scena è un pranzo a cui Gesù è invitato da un fariseo, Simone. I momenti del “mangiare insieme” sono sempre importanti nei vangeli perché visti come condivisione di affetti e di vita, ma anche come occasioni in cui Gesù svela il volto del Padre.

Particolare e interessante significato assumono i pranzi che, nel vangelo di Luca, avvengono in casa di farisei (11,37-52; 14,1-6). Il gruppo dei farisei rappresentava la legge, e il loro modo di interpretarla e di farla osservare definiva il ‘giusto e il peccatore’. Il titolo di ‘peccatore’ veniva applicato a tutti coloro che avevano una condotta immorale e a chi svolgeva ‘professioni’ infamanti elencate nei testi rabbinici: ladri, prostitute, pagani, pubblicani, adulteri… persone che ‘godevano’ agli occhi del popolo di cattiva reputazione. Tutto era ancorato al concetto di ‘puro e impuro’ e anche solo entrare in contatto con persone considerate impure, provocava l’impurità e questo era particolarmente importante, sapendo che l’osservanza della legge e delle regole di purità permettevano all’ebreo osservante di avvicinarsi a Dio e vivere per lui.

È proprio questa convinzione, questo modo di pensare e credere la relazione con Dio, che il brano evangelico stravolge completamente.

La donna presentata da Luca sa che Gesù è lì ed entra nella casa di Simone, a lei normalmente preclusa, con un vaso di profumo. Nella scena tutto fa supporre che Gesù e la donna si siano già incontrati e che questa esperienza sia stata per la donna così forte e significativa da darle la forza di superare tutte le barriere e le chiusure, certa di essere accolta da Gesù, nei suoi gesti e nel suo essere.

Non c’è nessun riferimento a un rivolgersi al padrone di casa o agli altri invitati, tutta la sua attenzione, il senso del suo essere lì, è per Gesù. Nemmeno fra lei e Gesù sono raccontate parole, a parlare sono i suoi gesti: il linguaggio del suo corpo trasmette pienamente i suoi sentimenti e il suo amore. Bagna i piedi di Gesù con le sue lacrime, li asciuga con i capelli, li bacia e li cosparge di profumo. Gesti insoliti, inconcepibili e scandalosi per la mentalità giudaica del tempo, che invece Gesù accoglie liberamente, lasciandosi toccare e diventando così, per la Legge, ‘impuro’.

È proprio questo ‘accogliere’ di Gesù che provoca la reazione di Simone, il fariseo, che non guarda ciò che la donna fa, ma si limita a pensare che Gesù non può certo essere un profeta perché, se conoscesse “chi è” quella donna, quella peccatrice, non ne accetterebbe la vicinanza e i gesti.

Gesù, intuendo il pensiero di Simone, racconta la parabola dei due debitori, spostando -come sempre nelle sue parabole- il punto di vista, non sullo ‘status sociale’ e sull’osservanza della legge, ma sulla capacità di amore: “chi amerà di più?”. Avendo avuto dal fariseo la risposta prevedibile, Gesù pone una seconda domanda, riguardante ciò che stava accadendo nella sua casa: “vedi questa donna?”, vedi i suoi gesti, il suo pianto, il suo amore, o solo quello che ella era nella definizione del suo ‘peccato’ che la escludeva e la imprigionava? E ripete con le sue parole, Gesù, confrontandoli con quelli di Simone, i gesti della donna, gesti di un amore che il fariseo non riesce a ‘vedere’ e a comprendere perché non conosce la ‘dismisura’ di chi ama davvero.

Molti biblisti hanno cercato di interpretare il pianto della donna: di pentimento, di dolore, di richiesta di aiuto? Forse, ma più probabilmente un pianto di sollievo e gratitudine, che scioglie tensione e angoscia, il pianto di chi ha fatto un incontro decisivo con un uomo pienamente tale, che con bontà e rispetto le ha manifestato un altro volto di Dio, un Dio che continua a credere e a riconoscere in lei la sua creatura. Un Dio che non è venuto per giudicare, ma a cercare e salvare ciò che era ‘perduto’. Per questo Gesù può dire alla donna “la tua fede ti ha salvata” perché quello che questa donna fa, è la fede che salva.

Alcune studiose hanno ‘ricollocato’ questo avvenimento alla fine della vita di Gesù, nel racconto di Giovanni; quei gesti di amore senza misura della donna, hanno ‘segnato’ Gesù che li ricorderà e ripeterà nell’ultima cena, spingendo il suo amore “fino alla fine”, lavando i piedi dei suoi discepoli e anche di chi lo avrebbe tradito.

Alla donna adultera Gesù aveva detto “Va’ e non peccare più”; alla donna che gli ha bagnato i piedi con le proprie lacrime, asciugandoli con i suoi capelli, Gesù non lo dice, perché sa bene che una prostituta non poteva fare altro in quella realtà. “Va’ in pace” le dice Gesù; ma dove andare? Forse, poteva continuare a stare con Gesù. Luca 23,49 parla del gruppo delle donne che osservavano il crocifisso e quanto avveniva; quelle donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, quelle a cui -per prime – Gesù appare risorto, quelle a cui i discepoli non credono (24,11).

È possibile pensare che fra quelle donne potesse esserci anche colei la cui fede e il cui amore avevano reso evidente che il perdono e l’amore di Dio creano un cerchio che all’infinito si compone per la salvezza di ogni essere umano.

Donatella Mottin

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