“Donne che avete intelletto d’Amore”, a 700 anni dalla morte di Dante Alighieri
“Io fui nel mondo vergine sorella: / e se la mente tua ben sé riguarda / non mi ti celerà l’esser più bella / ma riconoscerai ch’io son Piccarda. […]
Uomini poi, al mal più che al ben usi, / fuor mi rapirono de la dolce chiostra: / Iddio sa qual poi mia vita fusi”.
(Paradiso, III, 46- 49; 106-108)
(“Nel mondo terreno io fui suora e se la tua memoria si concentra, ti ricorderai di me anche se sono più bella e riconoscerai che sono Piccarda. […] In seguito, alcuni uomini più abituati al male che al ben mi strapparono fuori dall’amato chiostro. Solo Dio sa quale fu poi la mia vita”)
Una sorridente, giovane, splendente suorina brilla in Paradiso: sorella, dice di sé, ancora prima di rivelare il suo nome. E sorella, Piccarda lo è stata nella sua vita e lo è lì, in quel cielo tutto femminile che è il cielo della Luna. È lei la prima anima beata con cui Dante parla in Paradiso: già conosce in parte la sorte infelice della giovane, una storia di violenza, di sofferenza e di perdono che ora la trasfigura rendendola più bella. La famiglia Donati, a cui apparteneva, era a Firenze potente sia economicamente sia politicamente e il fratello Corso era l’uomo più in vista dello schieramento dei Neri. Piccarda è estranea a tutto ciò e decide cosa fare della sua vita: innamorata della regola di santa Chiara, sceglie gioiosa di “chiudersi nel suo abito” e di seguire la sua regola per restare sempre, notte e giorno, insieme col suo Sposo celeste. Ma cosa contava allora la libera volontà di una giovane donna? Sarà proprio il fratello Corso a “rapirla” da quel chiostro tanto amato: Piccarda diventa nelle sue mani pedina di scambio per crearsi, dandola in sposa, un potente alleato politico e non ci pensa due volte ad agire. Non aggiunge altro, lei, al suo racconto, ma il verso con cui conclude non può non toccarci nel profondo: solo Dio sa cosa è stata poi la mia vita. Il silenzio delle donne: una sofferenza tenuta chiusa nel cuore, lacrime inghiottite ogni giorno; indifferenza e violenza intorno. Eppure non nutre odio né per il fratello né per il marito: per ogni lacrima versata lo Sposo celeste le dona ora un raggio di luce. Piccarda non chiude parlando di sé: indica un’altra anima splendente che le brilla accanto: una donna famosa, Costanza d’Altavilla, regina di Sicilia. È lei la sua nuova sorella: quello che lei ha vissuto, è stato vissuto pure da Costanza. E racconta di come anche lei, monaca per scelta, per motivi dinastici viene strappata dal convento per sposare l’imperatore Enrico VI. E la conclusione è di altissima poesia. Sorelle per sempre, anche se quel velo è stato strappato a forza, senza rispetto, nessuna di loro “non fu dal vel del cuor già mai disciolta”. Il velo custodito con amore nel profondo del cuore nessuno ha potuto violarlo, né alla giovane borghese Piccarda né alla più matura principessa Costanza. E nella perlacea luce della luna, cantando l’“Ave Maria” le due sorelle di cuore svaniscono.
Chiara Magaraggia