“Perché Dio mi ha vista”

22
Dic

Imparare da Agar la preghiera di invocazione al “Dio della visione”

La figura di Agar è quasi sempre vista come strettamente legata a quella di Sara, messa in ombra dalla persona dell’anziana matriarca sia perché Sara, moglie di Abramo, custodisce la promessa del figlio capostipite di un grande popolo, sia per la sua condizione di schiava straniera.

In realtà la sua storia di donna che sa agire e non si arrende, offre contenuti davvero preziosi.

Sara, di fronte agli anni che passano e sembrano allontanare sempre di più la promessa di una discendenza, decide di dare la schiava Agar ad Abramo per avere un figlio da allevare come proprio.

Quello che noi, oggi, chiameremmo “utero in affitto” era allora previsto per legge, per assicurare la continuazione familiare e la conservazione dei beni.

Quando però Agar rimane incinta, la relazione tra le due diventa conflittuale: Agar non può accettare che il proprio figlio appartenga a Sara e quest’ultima si rende conto che quello sarà sempre il figlio di un’altra.

Queste incomprensioni generano numerosi maltrattamenti da parte di Sara nei confronti della propria schiava che fugge nel deserto. È nel deserto che avviene l’annunciazione ad Agar: la nascita del figlio, che sarà da lei chiamato Ismaele, e la promessa di una numerosa discendenza. È la stessa promessa ricevuta da Abramo anni prima, fatta questa volta a una donna, schiava e straniera. Di fronte alle parole dell’angelo che le aveva parlato Agar risponde dando un nome al Signore: “Tu sei il Dio della visione” – perché diceva – “Non ho forse visto colui che mi vede?”.

Così Agar tornò da Sara e partorì Ismaele, figlio di Abramo.

Quando però, anni dopo, Sara vide realizzarsi in lei la promessa e la nascita di Isacco, non sopportò più la vista di Agar che le ricordava una scelta ‘sbagliata’ e nello stesso tempo le procurava il timore che la presenza di Ismaele diventasse un ostacolo per la primogenitura. Chiese così ad Abramo di mandarli via e Agar, con poco pane, un otre d’acqua e il proprio figlio si incamminò nel deserto.

In un hadith di un testo arabo dal titolo L’autentica sintesi, si narra che Agar, quando Abramo portò lei e il figlio nel deserto, si rivolse più volte a lui chiedendogli se davvero era deciso a lasciarli lì dove non c’era nulla. Al continuo silenzio di Abramo, Agar pose un’ultima domanda: “È Dio che ti ha ordinato di fare questo?”. Abramo rispose di sì. Lei abbandonò ogni altra ricerca di risposte dicendo: “Allora Dio non ci abbandonerà”, e se ne andò.

Nel testo biblico non ci sono, invece, parole tra Abramo e Agar. Dopo aver finito il pane e l’acqua, lei, smarrita e disperata, lasciò il bambino vicino a degli arbusti per non vederlo morire, poi “… alzò la voce e pianse” (Gen 21,16). Sono parole che straziano il cuore, su cui si è tentati di non soffermarsi a lungo per preservarsi da tanto dolore; è lo strazio continuo di tante donne, in ogni parte della terra, che assistono impotenti all’uccisione dei loro figli innocenti. È la sofferenza senza limiti di migliaia di bambini uccisi – più di tutte le donne e gli uomini – nella Striscia di Gaza in questo ultimo anno…

Eppure, in quel deserto di pianto e solitudine, Agar incontra Dio. L’angelo del Signore le appare di nuovo, la chiama per nome. Colpisce che, nel racconto biblico, sia solo Dio a vedere davvero Agar, a chiamarla per nome: Abramo nel testo non la nomina mai e Sara la indica sempre con le parole serva o schiava. Solo Dio la chiama per nome e ci mostra che nessun conflitto potrà mai essere affrontato in modo positivo senza il riconoscimento dell’altra/o che ha un nome, un volto, una storia.

Le lacrime e le grida che Agar rivolge al cielo, al Dio della visione che già una volta l’aveva vista, fanno sì che lei veda a sua volta una sorgente e possa dare acqua e vita al figlio per riprendere il cammino. Ad Agar e alla sua discendenza si fa risalire l’origine del popolo arabo musulmano, il grande popolo che, come aveva predetto l’angelo del Signore, “abiterà di fronte ai suoi fratelli” (Gen 16,12).

“La storia di Agar ci dice che se vogliamo cogliere qualcosa del mistero della Bibbia e della vita, è indispensabile leggere la storia della salvezza dalla prospettiva di Sara e di Isacco, ma anche da quella di Agar e di Ismaele. Solo leggendole insieme ci si aprono, e ci può essere donata l’intelligenza delle Scritture… La trama orizzontale dei patriarchi e dei re s’intreccia con l’ordito verticale degli scartati, di ieri, di oggi, di sempre. È nei loro vuoti che passa la ‘navetta’ della storia, formando il tessuto della vita” (L. Bruni).

Donatella Mottin