Per una Chiesa maddalena, samaritana e mariana…

17
Dic

La riflessione della teologa Maria Soave Buscemi, che ha partecipato ai lavori del sinodo sull’Amazzonia

Alcuni anni fa sono stata invitata dal rettore di un seminario amazzonico a predicare il ritiro per l’ordinazione diaconale di un gruppo di seminaristi. Grande parte del gruppo era formata da giovani teologi di nazioni indigene. Io chiesi permesso di poter vivere quei giorni di preghiera intensa fuori dalla grande città. Così ci spostammo in uno spazio all’interno, verso la foresta, e la prima notte appendemmo le amache fuori dalla casa di incontro, tra gli alberi. Esiste un verbo in lingua portoghese che indica esattamente il movimento di conversione del lasciarsi toccare profondamente da un altro punto di vista, da Altro e Altrove. Un movimento che può lasciarci, nelle prime battute, allibiti e fragili, apparentemente senza meta e guida. Questo è il verbo desnortear, cioè l’azione del perdere il Nord, la stella polare. Può apparire strano che questo verbo venga usato da più di 200 milioni di persone di un paese dell’emisfero australe, dove non sono il Nord e la stella polare a dare orizzonte di cammino ma il Sud con la sua costellazione a croce. Può sembrare strano che una lingua, usata ormai da più di 500 anni dalla colonizzazione, esprima che, quando non si ha più la stella polare come direzione e si sceglie la croce del Sud, si rimanga un tanto senza verità, senza meta, senza le idee chiare e distinte. Sappiamo per tradizione che a volte imprigiona, che, in un pensiero colonialista ed ellenico, le “verità”, le idee chiare e distinte, vengono sempre dal Nord, da chi parla lingue e non dialetti, da chi fa arte e non artigianato, da chi fa cultura e non folklore. Credo che il cammino del sinodo dell’Amazzonia sia un cammino di conversione, del lasciarci desnortear e permettere allo Spirito di soffiare, libero, nuovi cammini, nuove stelle e respiri. Anche per la Chiesa e per un’ecologia che sia veramente integrale.

Il mito è il modo antico e sempre nuovo che la mistica-politica di tutti i popoli erranti senza paura di errare della Terra hanno scelto per raccontare di verità non arroganti e – sì – misteriose. Verità che sanno di terra buona e umida della quale siamo plasmate, persone al maschile e al femminile, nelle molteplici possibilità di respiro di umanità. Mistica-politica di popoli nel sogno-impegno della costruzione di un mondo non fondato sulla violenza egemonica, spesso patriarcale, neocolonialista e sorda a causa di arroganti certezze.

Esiste un modo di stare al mondo sotto il “potere sopra”, arrogante e violento del patriarcato, di tutti i poteri di un’unica estremamente minoritaria maschilità egemonica, di cui sono vittime la grande maggioranza degli uomini, le donne, i popoli e la Terra. Questo modo di stare al mondo ed interpretarlo è spesso mosso simbolicamente dal conteggio del tempo attraverso il calendario. Dodici mesi. Esiste però anche un altro modo di stare al mondo, un’altra epistemologia che ha a che vedere con, come direbbe la mistica medioevale Margherita Porete, “un’intelli-genza d’amore”, o come suole dire papa Francesco “un genio femminile”. Un modo di stare al mondo di noi donne che non è necessariamente mosso dal calendario ma dalle lune che si fanno presenti nel nostro corpo, tessuto di anima. Lune che ci visitano con il sangue della mestruazione, con la forza vitale della fertilità, con il cambiare quando la nostra pancia è gonfia di vita. Lune che guidano le maree e la forza della madre Terra che ci sostenta e ci governa. Lune che non sono 12 come i mesi nel cielo di un anno ma 13: tredici lune complete, crescente, piena, calante e nuova… erranti lune come noi donne, senza paura di errare perché il principio della vita è misericordia!

Questo modo di stare al mondo dell’intelligenza d’amore di noi donne è stato molto presente sia alla preparazione che nel decorrere del sinodo dell’Amazzonia. Quest’intelligenza del genio femminile ha avuto piena voce. Abbiamo parlato. Siamo state ascoltate in un processo che non era decisionale né democratico. Un sinodo è anzitutto un processo dove l’ascolto della realtà nel dialogo è il metodo e allo stesso tempo il contenuto del processo stesso. Abbiamo parlato a partire dalle 13 lune, anche del tredicesimo figlio del patriarca Giacobbe, sempre dimenticato e ammutolito e violato perché era una figlia: Dina. Abbiamo parlato a partire dall’intelligenza d’amore del nostro stare come donne nel mondo e nella Chiesa: donne che fin dalla narrativa del primo Vangelo, quello di Marco, sono “stanti ed osservanti” ai piedi della croce. Siamo Chiesa non di “visita” ma di “presenza”. Siamo donne dell’accolitato, cioè della sequela, e della “diaconia” cioè del servizio ministeriale con Gesù fin dalla terra delle persone impoverite e dimenticate: la Galilea.

Siamo donne, non abbiamo abbandonato Gesù e il suo Vangelo. In silenzio, siamo salite con lui fino a Gerusalemme, fino al monte della tortura e della morte con Gesù, il Cristo, il monte di tutti i crocefissi e crocefisse della storia per annunciare l’unica Parola che conta, che è nostra, e, perché nostra, di tutti e tutte in Cristo: il Signore è risorto, la morte non ha mai l’ultima parola!

Maria Soave Buscemi

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