Dal Forum una sfida che interpella tutti
Mater semper certa? Attorno a questo punto di domanda si sono ritrovate le componenti del Forum delle associazioni femminili vicentine il 2 dicembre scorso, per una mattinata di convegno-dibattito sulla maternità surrogata, l’utero in affitto, la gestazione per altri. Dopo due anni di riflessione approfondita, queste associazioni appartenenti a mondi culturali differenti, in un bell’esercizio poliedrico di ascolto e di confronto serrato, hanno voluto condividere con la cittadinanza le istanze che si sono poste, gli interrogativi ancora aperti, alcuni dati di fatto che rendono queste pratiche una delle sfide principali all’inizio del millennio, al cuore dell’umanità, perché si pongono nell’ambito della relazionalità fondativa di essere umani.
Un tema intrigante, complesso e conflittuale che è stato possibile affrontare da diversi punti di vista grazie all’apporto di esperte (la filosofa Luisa Muraro, la ricercatrice sociale Monica Chilese, la psicoterapeuta Maria Luisa Quadri e il medico Evelina Bianchi che fa parte di un gruppo di studio bioetico), ma anche grazie alla stima reciproca, alla frequentazione di un percorso di dialogo intrapreso quasi venticinque anni fa su sollecitazione del Centro Studi Presenza Donna, che ancora lo coordina in incontri bimensili che si succedono, anno dopo anno, in fecondi itinerari di riflessione a 360 gradi. Da questa esperienza, davvero con il Forum si può dire che il tutto è più della parte e della somma delle parti (EG 235). E nel caso di quest’ultimo appuntamento pubblico sul tema della maternità surrogata ciò è ancora più vero ed emblematico, perché è proprio lo spezzettamento della maternità in tante parti che permette a chi è a favore della maternità surrogata (che si veste di generosità facendosi chiamare gestazione per altri) di arrivare a giustificare una figura giuridica dove la donna invece che essere madre è una sorta di incubatrice, sentendoti dire: “Io non lo farei mai, non vorrei che lo facesse neppure mia figlia, ma perché devo impedire ad una donna adulta la libertà di mettere a disposizione il proprio utero per un’altra?”.
È con la scoperta del DNA, all’inizio degli anni ‘50, e con la sua applicazione in termini di ingegneria genetica, che si è in grado di intervenire a fondo nei processi vitali, nelle strutture e nei meccanismi fondamentali responsabili dell’equilibrio bio-ecologico della vita umana e del pianeta. Ed è possibile farlo anche su cellule germinali, capaci cioè di modificare i caratteri ereditari delle generazioni future. Lo sviluppo della biologia da un lato e della tecnologia dall’altro, con l’applicazione sinergica delle loro scoperte, ha reso possibile il realizzarsi della generatività umana in situazioni impossibili fino a pochi anni fa: la “triade” spermatozoo-uovo-utero, elementi indispensabili e insostituibili della coppia per la procreazione, prima esclusivamente condizionati dall’integrità fisica della donna e dell’uomo e strettamente legati all’atto sessuale, è stata scomposta nei suoi elementi costitutivi, fino al caso limite di chi ottiene un ovocita eterologo e spermatozoi eterologhi (o un embrione fresco o surgelato), li trasferisce in utero di donna sconosciuta ed infine alleva un bambino geneticamente completamente estraneo e partorito da una donna sconosciuta ed estranea al bambino stesso. Procreazione e maternità non coincidono più: un bambino può avere tre madri: quella genetica (mette gli ovociti), quella biologica (mette l’utero) e quella sociale (alleva il bambino). Procreare non significa più globalmente relazionarsi ad un altro, si può procreare senza un rapporto sessuale duale, come si può realizzare una maternità autocentrata. La donna è espropriata della stessa gravidanza e del figlio, l’embrione passa come un mero prodotto della tecnologia, oggetto di consumo come gli altri, vendibile e spendibile, e così anche il corpo delle donne dove la relazione con il feto è segnata dalla distanza, dalla separazione.
Negli anni ‘70 le grandi battaglie per l’autodeterminazione delle donne rivendicavano la libertà di decidere di non avere un figlio e di avere i mezzi per farlo (l’utero è mio e lo gestisco io), volendo separare l’esercizio della sessualità dalla procreazione. Oggi la parabola ci porta all’altro capo del filo: separare la procreazione dalla sessualità. Dal potere di non aver figli al potere di averli, anche quando e anche chi sessualmente non potrebbe averli. Se desidero un figlio devo essere messa/o nella condizione di averlo… e di averlo sano… e visto che si può manipolare, perché non scegliere il meglio? Dal figlio sano, al figlio “perfetto” scegliendo alcune caratteristiche rispetto ad altre; e quindi: procreazione e selezione. Si parla per questo di mutazione antropologica nella quale la funzione procreativa viene trasferita alla scienza.
La mediazione scientifica e tecnologica ha reso possibile separare ambiti che per molti secoli sono stati uniti: sessualità, procreazione, maternità e allevamento e ciò che in passato era considerato impossibile, poi come criminale, è stato visto come qualcosa di nuovo e di normale, fino a diventare (già in alcune realtà) una modalità di azione prescritta per legge… in questa cultura dello scarto di chi non è al top. Ai confini della vita, la scienza è entrata prepotentemente in scena sconvolgendo principi e certezze. Repentinamente sono state messe in discussione antiche verità: Mater semper certa…
Il tutto è superiore alla parte ed è anche più della loro semplice somma, ricorda Evangelii gaudium, e in questo tutto sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro potenzialità (EG 236). Quando questi poveri sono gli embrioni, i feti sui quali altri esercitano potere, quando sono le migliaia di donne povere che si vendono come uteri affittati, tante volte per far sopravvivere i loro propri figli, cosa ne deduciamo? Non dobbiamo dimenticare che l’applicazione delle tecnologie, anche quelle bio, non procede per legge naturale ma è un processo sociale: dipende da fattori culturali, da rapporti di forza, di interesse, dal mercato, dalle possibilità di carriera, dalle priorità politiche, dalle disposizioni legali, dalle decisioni private di ciascuna persona con il suo bagaglio di valori e di bisogni… e quindi dipende anche da ciascuno di noi. È una sfida epocale che interpella tutti, non solo le donne, chiamati a misurarci con diritti e doveri inediti e con la responsabilità di garantire un futuro più umano alle generazioni che verranno dopo di noi.
sr. Maria Grazia Piazza