L’istruzione, una sfida da accogliere

25
Mar

La vicenda delle prime sorelle studentesse e insegnanti, e il clima culturale al tempo della prima comunità orsolina

Vivere secondo il Vangelo chiede di incarnarsi e inculturarsi nel proprio contesto di vita, assumendone le caratteristiche, le opportunità e le problematiche. La nostra famiglia religiosa, nata a Breganze nel primo ‘900, si è trovata ad affrontare – ancora tenera pianticella – una realtà ecclesiale e sociale fortemente segnata da mutamenti e conflitti.

Nei 37 anni intercorsi tra la fondazione e l’approvazione diocesana (1907-1941), Madre Giovanna e le prime sorelle dopo di lei hanno dovuto difendere l’esistenza della giovane comunità e al tempo stesso delinearne l’identità e la missione, in dialogo con la Chiesa e con le nuove istanze sociali. Il vescovo, mons. Rodolfi, prima di approvare la nuova famiglia religiosa, voleva assicurarsi che la missione di quest’ultima rispondesse ai bisogni del tempo, soprattutto a favore delle giovani e delle donne. La svantaggiata condizione delle lavoratrici (operaie, domestiche, commesse, impiegate…) richiedeva un sostegno materiale e morale – alle donne stesse e alla maternità – che poteva tradursi in attività di assistenza, di ospitalità, di formazione… come pure di cura dell’infanzia negli asili; questi erano sorti nel secolo precedente quando le donne, lavorando fuori casa, faticavano ad occuparsi dei figli piccoli. Numerosi erano anche gli orfani o i bambini che i genitori, a causa della propria situazione sociale e lavorativa, non potevano tenere con sé; Giovanna stessa da piccola era stata affidata per questo motivo agli zii materni. Accudire l’infanzia abbandonata era un’altra impellente necessità.

Nei primi decenni del ‘900 viene avviata una riforma della scuola italiana, per ridurre l’analfabetismo dilagante, riqualificare l’insegnamento e attenuare le forti disuguaglianze didattiche esistenti tra Nord e Sud, come tra città e zone rurali. Viene così progressivamente innalzato l’obbligo di frequenza scolastica, viene statalizzata la scuola elementare che prima era gestita autonomamente dai comuni, viene richiesto agli insegnanti un maggior grado di preparazione.

Giovanna Meneghini aveva a cuore le giovani e – ben conoscendo la condizione di sfruttamento delle donne – desiderava offrire loro una formazione non solo religiosa e morale, ma anche lavorativa, perché fossero in grado di mantenersi onestamente e vivere dignitosamente.

La comunità religiosa stessa si sostentava col proprio lavoro, prevalentemente manifatturiero, ma anche di assistenza agli ammalati e ai bambini negli asili parrocchiali. Gradualmente, a partire dal 1923, alcune sorelle intraprendono, con immensi sacrifici, dei corsi per ottenere il diploma di maestra d’asilo. Successivamente alcune studiano come infermiere. Nel 1933 suor Libera (Chiara) Nardotto conquista l’ambito diploma di maestra elementare, col quale potrà beneficare la comunità e i ragazzi.

Le difficoltà da attraversare per conseguire tali qualifiche erano molteplici. Anzitutto era faticoso mettersi o rimettersi a studiare per giovani che, pur avendo già lavorato, non avevano un livello adeguato di preparazione; non sempre superavano l’anno scolastico o gli esami al primo tentativo. Le lezioni e gli esami si svolgevano a Thiene, a Bassano, a Vicenza, a Padova o addirittura a Venezia, cosa che necessitava difficoltosi viaggi o lunghe permanenze fuori casa, a pensione o ospiti di altre religiose. I corsi e le trasferte comportavano notevoli spese per la comunità, che per andare avanti era costretta a indebitarsi. Le sorelle, frequentando la scuola pubblica, devono affrontare un clima culturale avverso alla Chiesa e sopportare qualche umiliazione da parte di insegnanti anticlericali, tantoché vanno a dare gli esami finali vestite in borghese, per non subire pregiudizi negativi. La questione dell’abito, che oggi può apparire secondaria, si riproporrà in senso opposto. Dal momento in cui suor Libera è maestra elementare, annualmente può ricevere (e deve accettare) un incarico statale, con l’obbligo di residenza nel comune della scuola; se viene convocata (ma non è certo), è costretta a trasferirsi là dove è chiamata ad insegnare. Nel 1937 le assegnano il posto a San Germano dei Berici, distante 51 chilometri da Breganze; va quindi a risiedere là, insieme a una consorella che la comunità le destina come compagna (così sarà per ogni incarico fuori Breganze). Il parroco è ben felice di avere in paese due suore da coinvolgere nell’attività pastorale, ma il delegato episcopale per la vita religiosa chiede alle sorelle di portare abiti secolari, non essendo la loro famiglia ancora approvata ufficialmente.

Questi ed altri fatti testimoniano la fede e la passione con le quali le nostre prime sorelle, nonostante la povertà e la precarietà della loro situazione, hanno accolto le sfide del proprio tempo, investendo risorse nella preparazione professionale per qualificare e migliorare il loro servizio. Auguriamoci di vivere l’oggi con lo stesso slancio apostolico.

sr. Maria Coccia

 

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