L’inverno di Madre Giovanna

Se, nella vita di ogni giorno, tutti sperimentiamo l’alternanza di luci e ombre, di fallimenti e riuscite, di primavere e inverni, a maggior ragione le sperimenta una persona chiamata ad “iniziare”, reinventare, fondare, una nuova realtà che prima non c’era! Per questo parlare dell’inverno della fede in Madre Giovanna Meneghini è aprire un capitolo interessante della sua storia.

La sua singolare vocazione a fondare una nuova Famiglia religiosa le riserverà, infatti, tante prove, oscurità, incomprensioni, “inverni” più o meno lunghi dove tutto sembra paralizzato nella morsa del freddo. Tra i tanti episodi disseminati nelle sue note autobiografiche, ne scegliamo uno circoscritto a un breve e inquieto periodo della sua vita. Lo scegliamo per due motivi: perché per Giovanna è il primo “inverno della fede” in ordine cronologico; perché il suo modo di affrontarlo diviene paradigmatico del modo in cui attraverserà tutti gli altri “inverni” della sua breve ma intensa stagione di vita.

Scrive Giovanna: “A 12 anni mio malgrado avevo un’amica che non si poteva dire cattiva ma dedita alla vanità. Questa amicizia portò a me distrazione e indifferenza per le cose di religione, tanto da rimanere due mesi senza accostarmi ai SS. Sacramenti”.  (Mem.I, fasc. 1).

Ad una prima lettura non emerge nulla di stratosferico: Giovanna appare un’adolescente alle prese con la formazione della propria identità e con le prime crisi “istituzionali”: famiglia, società, scuola, chiesa… L’ossatura di quel mondo in cui era poveramente ma serenamente cresciuta le sembra ora, appesantire il suo passo giovanile, leggero, proteso alla vita e alle sue attrattive. Anche Dio, quel  Dio guardato fino a ieri con la fiducia di un bambino, le pare fin troppo “padre”, onnipotente, onnisciente, onnipresente, per sentirsi libera. Basta guardarsi intorno  (“avevo un’amica… dedita alla vanità…” )  per constatare come si possa vivere bene anche senza Dio e i suoi costringenti Comandamenti.  Conclusione logica di questa prima fase della crisi: poiché Dio limita la mia libertà, occorre prenderne le distanze, guadagnare spazio, allontanarsi dalla sua presenza.

A  noi oggi può far sorridere quell’annotazione temporale: “rimasi due mesi senza accostarsi ai SS.mi Sacramenti” ma per quel tempo dove il cristianesimo era ancora l’alveo naturale in cui si radicavano tutte le espressioni socio-culturali e per una ragazzina come Giovanna cresciuta all’ombra del campanile, questa esperienza assume connotazioni forti. Il permanere in questa posizione quando tutto un mondo si muove al contrario mette già in luce la personalità di Giovanna, la sua capacità di sostenere una posizione, costi quel che costi (anche le critiche o i richiami dei parenti, perché è pensabile che in un ambiente del genere, la sua “assenza” ai Sacramenti, non sia passata inosservata). In un simile contesto questi due mesi assumono una valenza che supera il puro dato cronologico! L’assenza di Giovanna più che “non presenza” assume i connotati di una “resistenza” a Dio e alla società che, in fondo, a Lui si ispira.

E quale forma assume “resistenza” di Giovanna? Ce lo dice lei stessa: “distrazione e indifferenza per le cose di religione”.  Essere dis-tratti significa essere tratti-fuori da un contesto, da una realtà. Se poi il contesto è vitale, si rischia la morte! L’Uomo è un essere religioso cioè naturalmente e nativamente aperto alla percezione di una presenza che sta Oltre la pura materia, anzi la penetra facendola rimando e richiamo ad un Altro dal quale proviene (cfr. Rm 8).  Uscire da questo habitat naturale, da questa “religiosità della vita”, significa rischiare di perdere “la verità della vita”, di se stessi e del mondo in cui viviamo.

Ma a dodici anni non si possono ancora cogliere la pericolose conseguenze di questo tipo di  dis-trazione.  Un adolescente non può percepire a quale non-senso conduce l’indifferenza verso l’Origine e il Fine dell’uomo. Del resto è proprio di quell’età mettere a nudo le strutture del credere e dell’agire, capovolgere gli schemi, scuotere le fronde degli alberi e vedere che cosa rimane appeso e cosa casca per terra.

Il pericolo più grande in questa benedetta crisi esistenziale, che dovrebbe portare a una sintesi più matura e responsabile, è, come dicevamo, di dis-trarsi cioè di essere tratti dalla parte sbagliata: anziché all’interno della realtà, ci si volge all’esterno, alle cose superficiali, agli accessori. Ci si dedica “alla vanità” anziché alla verità.

Così dispersi nel labirinto delle cose, delle apparenze, del relativismo morale e sociale, si finisce con il credere che l’accesso alla verità, al senso ultimo della vita e dell’uomo, sia impossibile. Su temi vitali come l’esistenza di Dio, la persona, l’amore, la vita, la morte, ognuno dice la sua. A questo punto il passo verso l’indifferenza è breve. Poiché non so a chi credere allora non credo più a nessuno, o meglio, poiché  non si può vivere senza credere, mi faccio un “mio credo” sperando che, almeno quello, mi dia un po’ di gusto e di serenità.

Fortunatamente l’indifferenza di Giovanna riceve uno shock poco simpatico che però ha l’effetto di svegliarla da quel sonno pericoloso.  Racconta: “Il giorno di tutti i Santi come si suol fare, visitai il Cimitero e mi fece impressione il pensare che anch’io un giorno dovevo morire… quella notte feci un sogno… mi sembrava di essere nel Cimitero e di rivedere una ragazza morta da poco, la quale additando una gran torre che stava nel mezzo del luogo la fece cadere in cenere con un po’ di fumo…dicendomi: “così sono le cose del mondo. Svegliata pensai seriamente a queste parole  […] e chiesi Maria SS. la grazia di correggere me stessa e cominciare una vita nuova.” (Mem I, fasc. 1).

Lo scossone che rovescia dal letto Giovanna è l’incontro-scontro con “sorella morte”.  Viene un momento nella vita, spesso proprio nell’adolescenza, che la fragilità della condizione umana, costringe la persona a guardare in faccia questa realtà come se la vedesse per la prima volta e a saper dare una risposta capace di salvarla dall’angoscia del non-senso.

Giovanna reagisce in un duplice modo che diverrà il suo modo abituale di affrontare altre stagioni difficili, altri”inverni”: a) pensa seriamente, cioè fa la fatica di pensare con la sua testa. non si affida al “così fan tutti”, non si imbalocca con gli accessori, con le cose, ma comincia un discernimento che la porta a scoprire ciò che vale, ciò che è essenziale nella vita a partire dalla sua fine e dal suo Fine.

  1. b) chiede a Dio la grazia!Vivere secondo ragione è già molto, ma vivere secondo la grazia, cioè vivere in quello Spirito di Gesù e del Padre in cui siamo stati innestati dal “dì fortunato del nostro battesimo” (Mem I, fasc.I), dona ai nostri occhi la capacità di cogliere il destino ultimo delle cose, il loro valore in ordine al fine dell’uomo: la comunione con Dio e con i fratelli.

Come Giovanna anche noi possiamo, ogni giorno, chiedere la grazia di “cominciare una vita nuova” guidata da una ragione illuminata, cioè rischiarata da un Amore fedele che ci chiama a “fare la verità”! Così, con questo aiuto adeguato che Dio ci ha dato  – lo Spirito Santo (Rm 8,26) –  possiamo, di correzione in correzione, procedere nella vita fino alla mèta desiderata.

 Sr. Lucia Antonioli