Sorelle e madri di un popolo
Dopo aver scambiato il diritto alla primogenitura con il fratello Esaù per un piatto di lenticchie e aver carpito con l’inganno la benedizione di successione al padre Isacco, Giacobbe fugge dall’ira del fratello e si reca, su suggerimento della madre Re-becca, dal fratello di lei, Labano. Giunto in prossimità della terra dei padri, ad un pozzo, Giacobbe incontra Rachele, la più giovane delle figlie di Labano, e se ne innamora.
Anche il servo di Abramo, Elizier, aveva incontrato Rebecca – la sposa per Isacco – presso un pozzo che è luogo privilegia-to nelle Scritture in quanto evoca l’acqua e il suo rapporto con la vita; luogo del dialogo, delle confidenze, dell’ascolto. Presso un pozzo anche Gesù incontrerà una donna samaritana e avrà con lei uno dei dialoghi più pro-fondi narrati dai Vangeli. Giacobbe si innamora subito di Rachele conquistato dalla sua bellezza e, dopo essersi fatto riconoscere come parente, propone allo zio di lavorare per lui sette anni per avere in moglie la donna che amava.
Sono anni che passano in un lampo per Giacobbe tanto era forte l’amore e l’attesa di unirsi in matrimonio con Rebecca! Il giorno delle nozze però, dopo il contratto che sanciva l’unione a cui assisteva la sposa velata, nel proprio letto Giacobbe trova Lia, la sorella di Rachele.
Alle sue rimostranze, Labano oppone la tradizione del suo popolo per il quale non era con-sentito dare in moglie una figlia prima che la maggiore non fosse stata, a sua volta, sposata. La proposta di Labano all’ira di Giacobbe è che questi trascorra con la ormai moglie Lia la setti-mana nuziale, dopo di che avrebbe potuto avere in moglie anche Rebecca, saldando il nuovo debito con altri sette anni di lavoro.
Nel Talmud è presente una tra-dizione ebraica che vede le due sorelle non come avversarie, ma complici all’atto del matrimonio e racconta come Rachele, prevedendo l’inganno del padre e temendo l’umiliazione della sorella, le avesse confidato i segni di riconoscimento che Giacobbe aveva inventato per lei. È Lia la vera “vittima” del padre, non Gia-cobbe, costretta con l’inganno a sposare un uomo che non l’ama-va ed è per questo che, come ci dice il testo: “Quando Jhwh vide che Lia veniva trascurata, la re-se feconda. Rachele invece era sterile” (Gen 29,31).
Lia, la sposa non amata, dà alla luce successivamente quattro figli maschi, mentre Rachele non riesce ad avere figli e, adesso sì, guarda con gelosia alla sorella; è l’impossibilità di avere figli, molto più del condividere il marito – cosa più abituale al tempo – a portare Rachele a dire a Giacobbe: “Dammi un figlio o muoio” (30,19).
Anche il tentativo di avere un figlio tramite la schiava Bila, che darà a Giacobbe due maschi, non toglie tristezza a Rachele, ma anzi provoca la stessa decisione in Lia che a sua volta farà avere al marito altri due figli con la schiava Zilpa. Nemmeno “scambiare” delle notti con Giacobbe purché Lia le desse le mandragole (pianta che si riteneva vincesse la sterilità) che il figlio maggiore ave-va raccolto per la madre, sortisce l’effetto sperato. Anzi sono altri due i figli che Lia darà al marito, più una figlia Dina che segnerà la fine dei parti di Lia. Solo a questo punto “Dio si ricordò anche di Rachele, la esaudì e la rese feconda” (30,22) ed essa partorì Giuseppe.
Con tutti i suoi figli e con il bestiame frutto più o meno regola-re del lavoro con Labano, Giacobbe decide di ritornare nella propria terra. Durante il viaggio, Rachele che era nuovamente incinta, muore dando alla luce Beniamino. Proprio lei che ave-va pregato per avere un figlio, altrimenti sarebbe morta, muore nel dare vita a un figlio. Rachele verrà sepolta a Rama ed è una caratteristica del Primo Testa-mento che i luoghi tombali, tra-mandati per secoli e che vengo-no considerati luoghi di culto, siano essenzialmente di donne. Ancora oggi la tomba di Rachele rimane segno di un dolore senza fine. Il suo pianto lo troviamo citato anche nel racconto della strage degli innocenti (Mt 2,18) e in un versetto di Geremia (31,15).
Rachele e Lia hanno combattuto per la discendenza, hanno lottato anche con Dio come attestano i nomi dati ai loro figli; così come Giacobbe lotterà con Dio ricevendone un segno permanente e un nuovo nome, Israele. Da loro nascerà il nuovo popolo, le dodici tribù i cui capostipiti sono frutto di modi diversi di ottenere amore e felicità: un groviglio di nomi, di storie, di grembi di mogli, ma anche di schiave, che fanno unico il popolo d’Israele: mistero della vita di uomini e donne che danno ‘carne’ alla storia della salvezza che è fatta di azioni eroiche e grandi amori, ma anche di fatiche e tradimenti. Mai idilliaca, mai scontata, spesso resa zoppa per sempre, come accade a Giacobbe.
Per la tradizione ebraica Lia sarà considerata matriarca degli ebrei della terra santa; Rachele madre degli ebrei dell’esilio e della diaspora: dopo la morte,
ancora sorelle e madri.
Donatella Mottin