Roma, 3 maggio ‘99
Carissima Giovanna,
da quando ho cominciato a conoscerti, a conoscere il tuo ambiente, la tua vita, la tua amata Famiglia religiosa, ho respirato e assaporato progressivamente l’aria genuina della campagna. Forse sorriderai, ma chi ti scrive è cresciuta cercando di vedere il cielo tra un palazzone e l’altro, il cielo meraviglioso (anche se oggi tendente al grigio) della Capitale. Chi ti scrive gioiva scoprendo le prime margheritine, annuncio della primavera, in un’aiuola risparmiata dall’asfalto…
Tu, figlia di pastori, di una società contadina la cui sopravvivenza è legata alla terra, ne porti la fragranza, ne hai assunto il linguaggio, le immagini, i valori… Non a caso, sentivi che la preghiera andava innaffiando l’anima tua, e scoprivi qual era il campo dove Gesù avrebbe trovato le sue compiacenze da parte tua.
Hai scritto che Gesù, potendo come Dio fare questa scelta, si elesse in terra una famiglia di Vergini, per farci conoscere quanto sia cara al suo cuore divino la verginità. Si elesse per patria la più oscura cittadella di Galilea e per custode un povero artigiano ignorato da tutti, onde farci amare la santa umiltà. Pensando alla tua vita, mi sembra di percepire un profondo legame tra le quattro parole che ho evidenziato.
Il valore della terra… L’Incarnazione ci domanda di calpestare il suolo, di inserirci in un contesto, in una situazione concreta: il Signore ti ha voluta nella terra di Breganze, non altrove. Quanto hai cercato e sospirato un pezzo di terra dove poter fondare la Comunità! Per averlo, hai gettato una medaglia benedetta del tuo caro San Giuseppe (custode della nostra Famiglia) in un terreno: non fu un atto di fatalismo o di scaramanzia, e neanche di debolezza, perché successivamente hai saputo acquistare la terra e difenderne i confini. Fu un gesto di fede immensa e di abbandono totale nella provvidenza. Volevi che la Comunità, a partire dal luogo nel quale sarebbe sorta, fosse tutta abbandonata nelle mani della divina provvidenza, come volevi che fosse un piccolo paradiso in terra, luogo di incontro tra terra e cielo, presenza della benedizione di Dio, ove regnerà la pace e il buon accordo.
Qual è stata la tua patria, Giovanna? I tuoi genitori, costretti a spostarsi di continuo, vedevano in Enego, loro paese natale, il luogo della sicurezza e della stabilità, del rassicurante ritorno alle origini. Voi Meneghini il senso della patria ce l’avete nel sangue: la vostra famiglia, che si è sviluppata in diversi rami e diffusa in molti luoghi, ama radunarsi ogni anno – ormai è una tradizione – sul Colle che porta il vostro nome, forse per ritrovare l’unità di un ceppo comune. Ma tu, Giovanna, pur essendo Breganze il luogo dove ti voleva il Signore unita ad altre figliole, sentivi forte e chiaro un altro richiamo, una brama ardente per la salute delle anime, che non conosceva confini e ti spingeva sempre oltre. Per quanto si possano e si debbano amare un pezzo di terra, una casa, una patria, siamo destinati ad orizzonti più ampi. Chi tutto lascia, tutto trova. Ci attende il Paradiso un giorno e là saremo felici. Per quanto si possano e si debbano amare determinate persone, il nostro cuore è chiamato ad amare tutti, è chiamato a verginità.
Vergine è stata la terra della tua anima – libera, sciolta da tutto e da tutti – che la preghiera ha annaffiato; vergine è il terreno che hai lasciato coltivare a Dio, il terreno buono nel quale, come in Maria di Nazaret, la Parola è cresciuta ed ha generato frutti di vita nuova; vergine è il tuo cuore in continua espansione per abbracciare tutto il mondo. Potessimo noi oggi essere quella terra accogliente che sei stata tu. Ricordi Gemma?! Quando è rimasta sola, tu e la Comunità non avete esitato a prenderla con voi e provvedere alle sue necessità di inferma, accogliendo tutte con gioia quella che sentivate essere la volontà di Dio. Oggi, da terre vicine e lontane, uomini e donne senza terra, chiedono a noi occidentali di essere terra vergine capace di rigenerarli ad un’esistenza nuova, ad una nuova dignità. Potessimo noi oggi realizzare quel desiderio di abbracciare tutto il mondo che sentivi nel cuore. A volte ci manca la capacità di ‘abbandonare’ la patria della nostra sicurezza, del nostro benessere; è più facile barricarci in comode abitudini, che rischiare allargando il cuore. Ci manca la tua umiltà e fiducia nel riconoscere che Iddio provvide a tempo e a luogo a tutti i bisogni, svolgendo le cose in modo, da potersi dire miracoloso.
Lo sai che ‘umiltà’ deriva dal latino ‘humus’ (terra, terreno)? La terra, così vicina alla vita, ci richiama ai valori essenziali, alla familiarità, all’autenticità dei rapporti, alla verità. L’umiltà è il fondamento di ogni virtù, è amare a tal punto la verità, da riuscire a vedere la propria povertà, accettarla ed ammettere che Dio opera cose straordinarie in essa. L’umiltà ti consentiva nell’osservare il complesso delle cose, di scorgere sempre più la mano di Dio che conduce tutto; l’umiltà ti ha consentito di accettare che ad una donna povera come te, Dio chiedesse di promuovere, tra mille ostacoli, una fondazione religiosa, perché a Lui niente è impossibile. La tua storia e quella della nostra Famiglia (che ha già oltre novant’anni), sono fatte di cose semplici, delle uova di una gallina e di innumerevoli piccole e grandi corrispondenze all’Amore. Oggi a nessuna di noi Orsoline verrebbe in mente di comprare una casa vendendo le uova di una gallina, ma sono felice che nel febbraio 1902 qualcuna lo abbia fatto. Sento questa storia umile come una grande ricchezza, perché tutto è buono e dolce quando lo si prende dalle mani di Dio, ed è dalle mani di Dio che noi Orsoline la riceviamo. Come sempre, Giovanna, ritrovo in te il prezioso riferimento di una vita interamente donata.
Dio che in questa storia nata dall’umile terra di Breganze ha operato l’impossibile, ci aiuti oggi a realizzare il miracolo dell’accoglienza e della condivisione, perché la terra, creata per la vita, generi vita in abbondanza per tutti. Fiduciosa nella tua materna intercessione
Maria