La 19enne indiana aveva denunciato la famiglia che voleva costringerla a sposare un connazionale. L’avvocata Iannuccelli: «Lei, come Saman, voleva essere libera di scegliere chi amare»
Si è sposata in una località del Modenese con il ragazzo di cui è innamorata, Arya (nome di fantasia), la 19enne indiana che alla fine di aprile aveva denunciato madre, padre, nonna e zia che la volevano costringere al matrimonio in patria con un parente. La giovane e il suo sposo ora vivono sotto protezione e i familiari hanno il divieto di avvicinarsi. Il “lieto fine” nella vicenda di Arya accade proprio mentre alla Corte d’Assise di Reggio Emilia si sta svolgendo il processo per lo spietato omicidio di Saman Abbas, avvenuto a Novellara nel 2021. Il 19 maggio scorso in aula è apparso il padre della giovane pachistana, in collegamento video da Islamabad, dove è detenuto in attesa di estradizione. Con lui sono imputati altri 4 parenti. Arya ha avuto un destino diverso: grazie alla rete creata dall’avvocata bolognese Barbara Iannuccelli con un’insegnante e la preside dell’istituto professionale che frequenta, ha potuto denunciare la famiglia. Il suo caso ha avuto una grande eco mediatica anche perché la prima notte dopo la denuncia Arya è stata ospitata a casa della preside, in mancanza di soluzioni idonea ad accoglierla in sicurezza. Per sottrarsi alle nozze forzate Arya aveva contattato sui social l’avvocata Iannuccelli, parte civile nel processo per Saman, che ha accettato di parlare con Avvenire.
L’ha accompagnata nel giorno del suo matrimonio blindatissimo, affidandola al promesso sposo, il connazionale poco più grande di lei per il quale Arya ha sfidato la sua famiglia. La 19enne indiana era bellissima nei suoi abiti colorati, acconciata come una regina e adornata da una quantità esagerata di braccialetti.
L’avvocata Barbara Iannuccelli aveva osservato la sua tristezza, alla vigilia della cerimonia sikh: le mancava la mamma, nonostante il male che da lei aveva ricevuto così come dal resto della famiglia. «Le ho fatto da madre e da testimone, lei mi ha insegnato a dipingermi le mani con l’henné, come vuole la tradizione. Mi sono sentita parte di questo sogno», ricorda oggi la professionista bolognese, caschetto di capelli neri, occhiali squadrati e una passione autentica per il suo lavoro.
Avvocata, cosa ha pensato accompagnando Arya il giorno delle nozze?
Ho pensato che paradossalmente lei, così come la povera Saman, non avevano fatto una scelta di vera rottura rispetto alla loro cultura. Entrambe si sono innamorate di un connazionale. L’elemento dirompente è che volevano contravvenire a un piano già scritto per loro. Volevano essere libere di scegliere chi amare.
Ci racconti chi è Arya.
Arya è arrivata in Italia dall’India 4 anni fa. Frequenta un istituto professionale per parrucchiere nel Modenese. Dopo il Covid ha potuto esercitarsi con laboratori e stage e ha scoperto di possedere un vero talento. Questo è il futuro che vedeva per sé. Ma per la famiglia era già tutto scritto, il matrimonio già organizzato per quest’estate, dopo il diploma, e finanziato con 20mila euro. Per questo le impedivano ogni contatto esterno oltre al tragitto casa-scuola. Il telefonino, così come è stato per Saman, era la sua unica finestra sul mondo. Sui social aveva conosciuto un connazionale e questo amore l’aveva confidato a una cugina. Di lì a poco tutta la famiglia sapeva. È stata picchiata e minacciata, lei e il ragazzo. Sembrava che per lei non ci fosse scampo, il suo destino era tornare in India, sposare uno sconosciuto e rinunciare per sempre all’amore, al lavoro che sognava e all’Italia.
E così ha usato i social per chiederle aiuto. Che ruolo ha avuto la scuola?
Mi ha contattata perché aveva trovato il mio nome associato alla vicenda di Saman Abbas. Poi Arya ha avuto l’appoggio di una insegnante molto sensibile, insieme siamo andate dalla preside che non ha avuto esitazioni. In commissariato sono state le cinque ore più lunghe della mia vita. Dopo aver denunciato la sua famiglia, la ragazza non poteva tornare a casa, ma non si riusciva a trovare un collocamento protetto. Le hanno proposto di trascorrere la notte in un bed&breakfast. Ci siamo opposte vivacemente e Arya è stata ospitata dalla preside. La mattina dopo il questore di Bologna – un’altra donna ! – Isabella Fusiello, saputo delle mie proteste, mi ha telefonato: mi metto a disposizione, vogliamo fare la differenza per Arya e per le altre.
Intorno ad Arya si è formata una cintura di sicurezza tutta al femminile. Una protezione che è mancata alla povera Saman. Perché?
Saman non andava più a scuola, e questa è stata la sua condanna. Su di lei c’era stato un accertamento per dispersione scolastica, ma senza esito. Rivedo lo sguardo di Arya quando ha chiesto aiuto, terrificante nella sua dolcezza, e sono convinta che anche Saman con un po’ di fortuna avrebbe trovato una docente in grado di salvarla.
Quante Arya ci sono in Italia?
Il reato di induzione al matrimonio forzato è stato introdotto nel luglio 2018 con il Codice Rosso contro la violenza alle donne. Le statistiche ci dicono che nel 2021 ci sono state 24 denunce in tutta Italia e nel 2022 sono scese a 13. Ma penso che dietro a questo decremento ci sia il fatto che abbiamo disilluso le ragazze.
Perché parla di disillusione?
Perché abbiamo fatto credere a queste ragazze che lo Stato poteva proteggerle e invece non sempre è così. I genitori di Saman, denunciati per matrimonio forzato, hanno avuto una multa di 3mila euro, mentre lei, minorenne, è stata chiusa in una comunità protetta che la faceva sentire prigioniera e da cui è fuggita più volte. Capisce il paradosso: la famiglia libera, lei “reclusa”. E poi c’è la nostra Arya: lei aveva deciso che il suo giorno zero sarebbe stato il 26 aprile, quando insieme siamo andati a denunciare il matrimonio forzato. Ma le è stato proposto di passare la notte in un B&B. Se non ci fosse stata la preside, sarebbe tornata a casa. Che fine avrebbe fatto?
A parte le falle nelle leggi, c’è un dopo-Saman che ha salvato Arya?
Ho conosciuto Saman sul lettino di un obitorio milanese. Mi ha colpito la crudeltà con la quale è stata uccisa una ragazzina che indossava gli stessi jeans strappati al ginocchio che usa mia figlia 16enne. Saman, come Arya, usava il cellulare come finestra sul mondo. Postava video su TikTok, si faceva chiamare “Italian girl”. Ho fatto un’ispezione a casa sua, era una lurida catapecchia ma lei aveva appeso dovunque decine di quadrifogli di carta glitterata. Quei quadrifogli non le hanno portato fortuna. Se c’è un dopo-Saman? Lo costruiamo tutti insieme, raccontando cosa è successo e perché. Quella narrazione ha indotto Arya a ribellarsi. A noi resta l’orgoglio di aver salvato un’altra Saman: tutto quello che lei non ha avuto l’abbiamo preteso per Arya. E ora la sua storia potrà dare coraggio ad altre.
Antonella Mariani
Articolo pubblicato da Avvenire il 31 maggio 2023