Lasciarsi convertire

17
Mar

La preghiera delle donne nella Bibbia: in ascolto della storia di Rizpà

Nell’Antico Testamento ci sono spesso brani che raccontano fatti e avvenimenti di grande violenza, di quelli che, togliendoli dal contesto e magari eliminando qualche riga prima o dopo, si fa fatica a leggere e a dire: “Parola di Dio”.

2Samuele 21 è uno di questi. L’epoca in cui si svolge quanto narrato è quella in cui Davide era re, e la storia di violenza e sangue avviene durante un periodo di carestia e siccità che durava da tre anni. Come era uso a quel tempo, Davide chiede al Signore il motivo di questo “castigo”. La causa di quanto sta avvenendo viene riconosciuta nel tradimento di re Saul che, tempo addietro, aveva violato un giuramento fatto da Giosuè con i Gabaoniti al tempo dell’ingresso del popolo d’Israele nella terra di Canaan dopo l’Esodo nel deserto. Saul, infatti, dimenticando la promessa fatta, aveva cercato di sterminarli.

Re Davide chiede quindi ai Gabaoniti cosa poteva fare o offrire loro per riparare al torto che avevano subito per mano del re Saul, ed essi rispondono che non servono ori e ricchezze, ma che quella violenza deve essere ripagata con il sangue. Domandano che siano loro consegnati sette discendenti di Saul da impiccare sul monte Gabaon. Davide, il grande re, accetta questo patto di sangue, pensando che questa fosse la volontà di Dio: rispondere alla violenza con altrettanta violenza, alle morti con altre uccisioni. È una modalità difficile da estirpare se a distanza di quasi tremila anni ci troviamo ancora a fare i conti con essa!

Davide prende i due figli di Saul nati dalla concubina Rizpà e cinque nipoti e li consegna ai Gabaoniti che li impiccano tutti e sette, lasciandoli esposti agli animali e alle intemperie.

A questo punto appare la figura di Rizpà e le sue azioni sono racchiuse nel versetto successivo: “Allora Rizpà, figla di Aià, prese il sacco e lo stese sulla roccia… Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di loro di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte” (21,10).

Rizpà prende il mantello di sacco, ovvero il segno del lutto nel popolo d’Israele, ma non lo indossa come era consuetudine a quel tempo e come tutti si aspettavano da lei. Cambia strada, la converte in gesti diversi: non può ancora permettersi di vivere il suo lutto, non assume i segni del suo enorme dolore rassegnandosi all’inevitabile, sceglie di prendersi cura di quei corpi morti.

Vigila su di loro, di giorno e di notte. Di quel mantello Rizpà fa una tenda e lì abita (come Dio durante il lungo periodo dell’Esodo stava nella tenda a fianco degli Israeliti) iniziando la sua lunghissima veglia. Per giorni, settimane e forse mesi, il suo gesto è segno di rifiuto della logica imperante di morte contro morte, ed è, nello stesso tempo, provocazione per un potere che per affermare il proprio dominio ha bisogno di sangue innocente.

Stende il mantello su tutti i corpi morti, su quelli dei suoi due figli e sugli altri cinque. Il suo prendersi cura va oltre ogni legame; con le sue azioni diventa madre di tutte le vittime. Non ha potuto impedirne la morte, ma non vuole lasciare alla violenza l’ultima parola.

Rimane vicino a quei corpi, li protegge con il suo, cacciando via uccelli e bestie selvatiche e senza parlare ci offre la possibilità di trovare parole nuove per affermare che Dio non può volere il sangue dei suoi figli. Rizpà, con il suo corpo offerto alla cura di altri corpi, diventa profezia di un Dio/uomo che non potrà essere meno umano di lei.

A Davide viene raccontato ciò che Rizpà ha fatto ed egli, convertito dai gesti di una donna, fa dare – finalmente – una degna sepoltura a quei miseri resti.

Solo a questo punto, ci dice la Bibbia, Dio si riconcilia con la terra e la pioggia bagna il suolo assetato. Nel testo, questa azione di Dio viene espressa con una radice verbale che ha il senso di esaudire una preghiera. A placare Dio non sono le decisioni del re, il suo patto violento, come credeva Davide. È il corpo/preghiera di Rizpà, il non cedere di fronte al potere di morte, il suo curarsi di quei corpi appesi a dei legni (non anticipa forse l’immagine delle donne ai piedi della croce?); sono le sue lacrime, a far sì che piova sulla terra e termini così la carestia.

La figura di Rizpà è considerata molto secondaria nella Bibbia: a lei vengono dedicati solo due versetti, quello che abbiamo visto e un altro, precedente, in cui si dice che era stata violentata dal comandante dell’esercito di Saul. Rizpà è la “perla nel campo” di cui ci parla il Vangelo di Matteo, colei che ci fa comprendere che Dio c’era in quella storia, anche se non sembrava… così come a volte non sembra esserci nelle nostre.

Convertirsi, cambiare strada, è compito richiesto a ogni credente; lasciarsi convertire da altre/i, spesso più difficile, è affidarsi, credere, che Dio è presente e ci accompagna.

Donatella Mottin