La parabola dell’operaio dell’ultima ora ci insegna un modo nuovo di esercitare la giustizia
Quando noi credenti ci troviamo a parlare della giustizia di Dio, siamo sempre un po’ in imbarazzo, forse perché non siamo mai riusciti a farci davvero i conti.
Per la maggior parte delle persone, la giustizia ha sicuramente a che fare con i diritti e con le scelte di ciascuno, poi entra in campo anche il comportamento più o meno corretto e non dimentichiamoci che dovrebbe pure essere legata al merito. Il che è, infatti, dibattuto molto spesso anche nella nostra società.
La giustizia di Dio invece, soprattutto quella manifestata nei vangeli, ci spiazza, fugge da ogni regola, proviene da un altro sguardo sul mondo. Sarà per tutto questo che una delle parabole che facciamo più difficoltà a “digerire” è quella degli operai chiamati a lavorare in una vigna. È un racconto presente solo nel vangelo di Matteo (20,1-16), ma se qualcuno l’ha ascoltata, anche un’unica volta, la ricorda facilmente.
Il racconto è semplice: il padrone di una grande vigna assume operai da inviare in essa a diverse ore del giorno e, a sera, consegna loro la retribuzione per il lavoro svolto. Fin qui tutto bene. Sono i particolari che conducono alle azioni finali a fare la differenza, un’immagine di giustizia che emerge in modo così diverso da come siamo abituati a intenderla.
Il regno di Dio, nei vangeli, è paragonato alle cose e alle persone più diverse: un granello di senape, un tesoro nascosto, un mercante di perle, il lievito nella pasta, la donna che cerca una moneta perduta… In questa parabola il regno è paragonato al padrone della vigna, e assume quindi le caratteristiche che egli esprime con gesti e parole.
Anche se la vigna nella bibbia rappresenta simbolicamente, soprattutto negli scritti dei profeti, il popolo d’Israele, per chi legge oggi questa parabola la grande vigna diventa immagine della chiesa, ma anche di una situazione di ricchezza, a fronte di tante persone povere che si mettono sulla piazza in attesa che qualcuno le prenda per lavorare.
Il regno di Dio, quindi, è il padrone della vigna che esce in piazza e chiama degli operai per lavorare nella sua terra e concorda con loro un denaro, il salario minimo che, a quel tempo, permetteva di vivere un giorno. Poi esce di nuovo, per cercare altri che hanno bisogno di lavorare, assicurando loro una giusta retribuzione e non si stanca di uscire, lo fa ancora e poi ancora e ogni volta manda, chi è fuori ad aspettare, a lavorare nella sua vigna. Per ben cinque volte, l’ultima solo un’ora prima della fine della giornata lavorativa, chiama chi non era stato scelto da nessuno e non avrebbe avuto di che poter mangiare. Solo con gli operai della prima ora aveva pattuito la paga, agli altri aveva promesso “il giusto” (v.4).
Quando il tempo del lavoro è terminato, inizia la consegna del salario: il padrone comincia dagli operai dell’ultima ora e dà loro un denaro e così via, per tutti uguale, fino a coloro che hanno lavorato dalle nove del mattino: anche per loro il salario è un denaro, quanto era stato stabilito inizialmente.
Allora comincia la mormorazione e la contestazione da parte di chi si aspettava una retribuzione diversificata: come è possibile che chi ha lavorato solo un’ora percepisca lo stesso salario di chi ha faticato fin dal mattino? Che giustizia è questa che tratta tutti allo stesso modo? Dove va a finire il merito?
Il Regno di Dio è come il padrone della vigna che con le sue azioni svela il nostro occhio malevolo nel protestare perché lui è buono (v. 15). Nell’atteggiamento e nelle parole degli operai della prima ora, sembra di rivedere il figlio maggiore della parabola del Padre misericordioso che si adira perché il figlio, andato via di casa e ritornato dopo aver speso e perso tutto, viene accolto con una grande festa (Lc 15,1-32)… oppure il profeta Giona che va ad annunciare a Ninive che Dio è adirato per i loro peccati e li distruggerà e poi vede che Dio, davanti al loro pentimento, perdona gli abitanti della grande città, gli eterni nemici, a cui lui aveva profetizzato sventura e morte. Si arrabbia con Dio, Giona, e arriva a dire che è meglio morire se è un Dio che agisce così: era giusto punire Ninive, non perdonare tutti gli abitanti!
D’altra parte, basta tornare indietro di alcune pagine nel vangelo di Matteo, prima della parabola degli operai nella vigna, per trovare Pietro che chiede a Gesù: “noi che abbiamo lasciato tutto per seguirti, cosa avremo in cambio?” (19,27).
Gesù ci dice che il Regno di Dio è come il padrone di una vigna che rovescia in modo netto la logica della retribuzione ben radicata nella nostra idea di giustizia; che mette in crisi il nostro modo e la nostra pretesa di giudicare, ma che ci assicura anche che il Regno è dentro di noi (Lc 17,20-21) e possiamo portarlo alla luce, metterlo al mondo per esercitare la giustizia con l’occhio buono di Dio.
Donatella Mottin