Posso definire la presenza di Maria nella mia vita come dolce e discreta. Ricordo, da bambina, un quadretto di Maria appeso in ogni stanza. Nella mia ce n’era uno graziosissimo che guardavo con ammirazione e incanto. Allora la chiamavo “la Madonna” perché così la sentivo chiamare in casa o in chiesa e con questo termine anch’io la pregavo. Non avevo confidenza con Lei ma provavo quel religioso rispetto che si prova di fronte alla persona più santa! Mi ci è voluto molto tempo per entrare in un rapporto più familiare con Maria, per chiamarla per nome, per rivolgermi a Lei con parole mie e non solo con quelle tradizionali.
La mia attenzione era presa anzitutto da Gesù: Lui emergeva sempre più nitidamente sullo sfondo confuso dei miei anni adolescenziali e giovanili. Negli anni ’80 sentivo crescere in me la passione per Gesù! Ero catechista, facevo parte dell’Azione cattolica e avevo scoperto gli esercizi spirituali che il cardinal Martini aveva fatto per i diciottenni a Milano perché qualcuno mi regalò un libretto con le sue riflessioni. Lo consumai in un’estate a forza di leggere, sottolineare, aggiungere note a margine ecc. Insomma, fu una folgorazione! Gesù occupava interamente la scena mentre la Madonna, come ancora la chiamavo, stava ai margini, discreta, paziente e sicuramente felice nel vedere il mio entusiasmo verso suo Figlio.
Maria cominciò ad affacciarsi più decisamente nella mia vita quando iniziai a leggere in modo più attento il Vangelo, cioè meditandola e pregandoci sopra. Mi accorsi della sua importanza nella storia della Salvezza e del suo amore che si rese visibile nel “Sì” detto all’Angelo a Nazaret e in quello detto al Padre sotto la croce. Ma soprattutto cominciavo a vedere quanto Maria aveva amato Dio e noi sopra ogni cosa. Questa scoperta, ho capito più tardi, era proporzionata alla scoperta che stavo facendo attraverso la spiritualità propria del mio Istituto che ha come obiettivo quello di contemplare e rivivere gli atteggiamenti del cuore mite e umile di Gesù, amorosamente obbediente fino alla morte di croce. Guardando la grandezza dell’amore e dell’umiltà di Gesù cominciavo a vedere le stesse virtù nella sua Mamma. Così, meditando queste pagine della Bibbia, Maria usciva da quella nicchia dorata in cui l’avevo collocata da bambina per incontrarmi a tu per tu con Lei nella cucina di Nazaret, nelle nozze di Cana, nella strada polverosa in cerca di Gesù, fino alla salita dolorosissima e angosciosa del Calvario. Lei era là, accanto a Gesù, entrambi uniti negli stessi sentimenti, entrambi “figli” amorosi e obbedienti di quel Dio che chiedeva loro il più grande dei sacrifici ma che sentivano sempre padre e di cui si fidavano ciecamente. Ecco, questa contemplazione e conoscenza ha cambiato radicalmente il mio modo di sentirmi e rapportarmi a Maria.
Ora sento di avere con Lei una relazione di grande confidenza e di più grande riconoscenza. Sperimento la sua vicinanza e la sua partecipazione alla mia vita e a quella di ogni creatura, specie le più povere moralmente e materialmente. Con Maria parlo delle mie gioie e dei miei dolori, delle mie cadute e delle mie riuscite, delle afflizioni e delle gioie; le affido le mie preghiere, mi sento ascoltata, capita, custodita, incoraggiata, spronata a crescere in quelle virtù che sono state lo splendore e la grandezza della sua persona: fede, speranza e amore. Virtù teologali e anche virtù cardinali: prudenza, giustizia, temperanza e fortezza. Vedo che, se anche io mi sforzo di vivere praticandole, la mia fede diventa concreta, i sentimenti si traducono in azione, i pensieri buoni diventano gesti buoni e la mia vita diviene un piccolo “vangelo vivente” senza bisogno di fare prediche a nessuno.
Ecco, non saprei che altro dire, o meglio, avrei molto altro da dire, ma mi fermo qui ricordando un’espressione ricorrente nella spiritualità mariana: De Maria nunquam Satis e cioè “è così bello parlare di Maria, contemplarla, che non ci basta mai”. Che sia così anche per noi!
sr. Lucia Antonioli