La gloria, l’arte e la lode

14
Lug

Il riscatto delle rinchiuse di ieri e di oggi

L’affresco del Beato Angelico che celebra l’incoronazione di Maria rappresenta una scena speciale: le figure principali di Maria e di Cristo dominano la scena quasi per evitare ogni distrazione che allontani la mente dalla contemplazione, dalla preghiera, dal silenzio. Più che il colore domina la luce, che plasma, bianco su bianco, le figure sacre. Un’intera tavolozza di bianchi in tutte le loro sfumature che, attraverso il ricco panneggio, conferiscono volume alle figure; e al centro, luminosissimo il “buco bianco”, il gorgo mirabile, l’essenza inesprimibile e non rappresentabile del divino. E per questa lode suprema i padri fondatori dei principali ordini religiosi sono radunati in un semicerchio sospeso tra terra e cielo: san Domenico con la stella della sapienza divina che lo cinge, san Francesco, san Benedetto, i domenicani san Tomaso d’Aquino e san Pietro Martire, sulla destra san Paolo e, presenti con la mente e il cuore, ci siamo tutti noi. Sembra risuonare, corale, la sublime lode di Dante: “Vergine Madre, Figlia del Tuo Figlio,/ umile ed alta più che creatura,/ termine fisso di etterno consiglio/ […] In te misericordia, in te pietate,/ in te magnificenza, in te s’aduna/ qualunque in creatura è di bontate”. Il tema della lode attraversa come un filo rosso sia il Purgatorio sia il Paradiso, ma fa la sua apparizione perfino nell’Inferno. Ed è bello che la raggiunta purificazione di un’anima penitente sia salutata da un grandioso cosmico canto, dalla forza di un terremoto che scuote la montagna del Purgatorio, in cui si fondono in un’unica voce tutte le voci delle altre anime penitenti: Gloria gloria gloria. “Gloria”, la stessa parola che apre la cantica del Paradiso: “La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra/ e splende in parte più e meno altrove”.

“Gloria!”: gloria con il punto esclamativo è il titolo di un film apparso sulle sale pochi mesi fa e che ha costituito un caso clamoroso per il numero di spettatori e i giudizi positivi della critica. Una storia di donne che la storia ha dimenticato, quei tanti “scarti” messi da parte, sepolti per tanto tempo che poi improvvisamente, per strane coincidenze del destino, tornano a rivivere e a schiudere pagine di storia e di costume quasi del tutto sconosciute. È il Gloria per chi è sempre stato escluso da ogni gloria. Ci voleva una giovane donna, Margherita Vicario, poco più che trentenne, a ideare un film che include tutti i suoi molteplici interessi: la musica, il canto, la recitazione, la sceneggiatura, il cinema (e Gloria! è la sua prima opera da regista) e che è un vero e proprio inno di lode alla creatività, alla libertà, all’emancipazione, alla sorellanza. Siamo in una Venezia appartata e a tratti quasi ostile agli inizi del 1800, in un collegio (quasi carcere) che ospita orfane e giovani donne con tristi storie di abbandono e violenza alle spalle, retto da un prete vanaglorioso e autoritario che si crede un grande compositore e che dirige una piccola orchestra in cui le ragazze eseguono musiche per le ricorrenze religiose. E c’è Teresa, giovanissima visionaria, priva di parola e di ogni rudimento di conoscenza musicale, ma dotata di un eccezionale talento per la musica, capace con la sua mente di trasformare i rumori del cortile, dove svolge i lavori più umili, in ritmi gioiosi, armonici, trascinanti, in un’atmosfera di musical ante-litteram. La più reietta, la più emarginata, che ascolta di nascosto le prove della piccola orchestra, da cui è esclusa dal dispotico prete che esercita su di lei un potere malsano. Sarà una circostanza casuale a muovere l’azione: al direttore viene richiesta la composizione di un Gloria da eseguire nientemeno che davanti al papa in visita a Venezia. E così, mentre di giorno le ragazze devono provare una composizione che non riesce a prendere forma e armonia, di notte tutto improvvisamente si illumina, dopo la scoperta da parte di Teresa di un prezioso pianoforte nascosto in cantina. Ed è lì che si recherà da sola ogni notte, improvvisando musiche che sono vere e proprie sonate in cui le note si rincorrono con brio, con malinconia, con esplosioni di gioia. La cantina diventerà ben presto il meraviglioso antro magico e segreto dove anche le altre ragazze, attirate dal suono, cominceranno ad incontrarsi per raccontarsi finalmente le reciproche pene e le speranze: dal tentativo di suicidio ci si può riprendere grazie all’amorevole cura delle amiche, la muta torna a parlare, i cattivi non dormono sonni tranquilli. Ed ecco che una lettera d’amore si trasforma in una canzone, un momento doloroso in un “adagio” struggente, una speranza in un “rondò” trascinante. E Teresa, la reietta, diventa l’anima del gruppo. Quasi un Attimo fuggente al femminile, che, al contrario del film destinato a un tragico finale, notte dopo notte condurrà le ragazze alla consapevolezza di sé, alla volontà di dare concretezza ai sogni, alla determinazione di diventare finalmente protagoniste delle proprie scelte di vita. La libertà! La libertà che, secondo Margherita Vicario, solo l’arte può donare e che, proprio attraverso l’arte, le ragazze riusciranno a conquistare, varcando le mura, i confini, trasformando il mare che le isolava in una distesa dagli infiniti aperti orizzonti. E non a caso la regista ambienta la vicenda nello stesso periodo in cui in Europa si inizia a combattere per le idee di libertà, uguaglianza, fratellanza; quando si abbattono le mura dei ghetti e si pone sotto accusa ogni regime dispotico e autoritario.

Ho pensato a tutto questo qualche settimana fa, visitando dentro le mura del carcere femminile della Giudecca, proprio a Venezia, il padiglione vaticano della Biennale, fortemente voluto proprio lì da papa Francesco. Anche questo era un antico ospizio-convento, quello delle Convertite di S. Maria Maddalena, che fin dal Cinquecento dava ricovero, senza poter mai più uscire, a quelle che erano chiamate “donne perdute”. Anche qui siamo in una zona defilata, lontana dai luoghi della sfarzosa vita veneziana. Con i miei occhi è il titolo dell’esposizione. Già: gli occhi di chi vive fuori, nel mondo libero, possono entrare nel mondo delle donne recluse… e i nostri occhi possono incontrare un mondo altro, mentre questo mondo rinchiuso può vedere con i suoi occhi il mondo altro che siamo noi. Sono le detenute ad accompagnare i visitatori negli spazi dove l’arte di tante affermate artiste-donne si incontra con i luoghi della vita quotidiana rinchiusa. Donne che sono fiere di essere le guide del bello… e nella loro voce si sentono l’impegno, lo studio, la voglia di riscatto, con la voce che ogni tanto si incrina accennando agli affetti lontani. Non dimenticherò Marcelle e Patrizia, la loro umanità, la loro passione. E non posso non pensare a come questo scorcio di millennio, che sognavamo capace di far trionfare civiltà, giustizia sociale, diritti umani, ci abbia proposto in un crescendo drammatico diritti calpestati, violenze inaudite, torture proprio in tanti luoghi di detenzione sparsi anche nella nostra civile Europa, in lager che noi finanziamo per tener lontani i migranti dalle nostre terre, in tribunali dove giovani donne vengono condotte al guinzaglio come animali. E allora “Gloria!“ alle ragazze del film e alle donne della Giudecca che, attraverso l’arte, innalzano al cielo la loro lode più bella.

Chiara Magaraggia