Sperimentare una vita comune di grande respiro e piccole attenzioni, per camminare da fratelli e sorelle verso la santità
La conversione della spiritualità
Nell’ottica del terzo criterio di Gaudete et exsultate si sarebbe potuto parlare anche di conversione della santità, intendendola tuttavia non come la vita santa, ma come la concezione che ne abbiamo. Per evitare fraintendimenti, ho preferito un termine minimale come quello di spiritualità. Troppo spesso infatti quanto è legato alla vita comune, nelle congregazioni religiose come nelle famiglie, viene pensato come un plesso di doveri, come atteggiamenti che si devono avere per fare del bene. La novità, non assoluta ma comunque cospicua, di quanto ci viene ora proposto consiste nel vedere ciò che è comune piuttosto come occasione, come risorsa, come condizione di possibilità.
Troppo a lungo infatti abbiamo respirato un’ascesi da figli unici, specchio di una concezione individualistica della vita e a propria volta causa di un’idea volontaristica di santità.
La tentazione dell’eroe
Come per molti aspetti della “riforma” o della “uscita” della chiesa, si tratta di rovesciare un modello ricevuto, uscendo dalla ricerca ossessiva della propria salvezza per approdare nella terra libera dell’Evangelo, in cui vengono ribaltati i canoni di purità e le gerarchie, anche quelle devote. Si tratta in fondo di abbandonare quello che in questo documento – e non solo – Francesco ha indicato come nuovo pelagianesimo, meno distante dalla nostra quotidianità di quanto il nome un po’ desueto potrebbe far pensare: “Ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo” (GE 57).
In molti pensavamo che questa esortazione sarebbe stata anche l’occasione per rivedere l’impostazione delle cause di canonizzazione e per quella che in generale si può chiamare una politica della santità. In realtà non è stato così, almeno non lo è stato in forma diretta: ancora adesso nella stesura delle relazioni storiche e teologiche per i processi di beatificazione si deve rispondere a domande poste in termini desueti e individualistici, e per i passi successivi si deve andare poi in cerca del fatidico “miracolo”.
Tuttavia, se anche questo non è cambiato, è l’immaginario della santità a essere in grande mutazione: lo vengono a comporre sempre spesso più persone che hanno vissuto una vita feriale e, come si sottolinea nei paragrafi che stiamo leggendo, vi entrano anche percorsi collettivi, interi contesti. In questo senso si tratta di un vero e proprio rovesciamento del modello dell’eroe: grande e tragico, se si tratta di un uomo, sacrificale e sottomessa, se è una donna. In primo piano c’è invece la trama comunitaria, fatta di famiglie e di comunità religiose, di parrocchie e anche di città solidali, grembo materno e aria respirata dai singoli.
La nostra casa comune
Si tratta del resto della stessa conversione intellettuale e pratica richiesta dalla crisi ecologica e suggerita da Laudato si’: non l’uomo vitruviano al centro del cosmo – di fatto anche maschio e magari occidentale – ma la consapevolezza che tutto è connesso, che non siamo spettatori del mondo, ma ne siamo assolutamente parte, tessuti degli stessi elementi. Prima c’è l’insieme, la trama comune e complessa, nella quale emerge anche la collettività umana e in essa quel barlume di coscienza che la caratterizza.
La santità che si staglia in questa rinnovata consapevolezza – almeno per l’Occidente, ossessionato, a differenza di altre culture, dalla singolarità, dall’essenza, dalla riduzione della conoscenza a forme elementari – chiede in primo luogo questa conversione dell’intelligenza e del cuore; riconoscimento che può diventare, solo secondariamente, riconoscenza e custodia, delle piccole cose e dei grandi processi, delle dimensioni politiche e dei “piccoli particolari”. È poi superfluo ricordare, se così stanno le cose, che la terra è casa comune anche delle donne e degli uomini, tutti. La dimensione comunitaria della santità riguarda anche la trama della convivenza civile, con le sue legislazioni, le sue pratiche, le sue modalità comunicative. I piccoli uomini arroganti che rigurgitano frasi violente e inculcano odio non si rendono conto di sputare controvento, la realtà stessa li travolgerà, “vento di vento, vuoto di vuoto, vanità di vanità”, direbbe Qoelet.
Chiesa e sinodo sono sinonimi
In questo orizzonte in cui il “tutto prevale sulla parte”, ha un particolare rilievo anche la comunità ecclesiale, grembo che genera alla fede, attraversato dal Vangelo, malgrado le sue imperfezioni, ben lontane dal modo in cui veniva in una passata stagione denominata, ossia “società perfetta”. Perfetta non è, ma non è questo che le viene chiesto, sarebbe un’altra forma di tentazione simile a quelle appena descritte. Le viene chiesto di essere in conversione, in cammino, di lasciarsi appunto attraversare e ferire dalle vite, di tutti, dalla storia, proiettata oltre sé – verso il Regno appunto (anche se questa espressione chiede una continua traduzione, per essere significativa nel mondo di oggi). Le viene anche chiesto di essere a propria volta la comunità che ha grande respiro e piccole attenzioni.
Esiste perciò anche una santità ecclesiale, che non si dovrebbe disattendere. Di questa fanno parte anche la trasparenza dei processi decisionali e la conversione dell’immaginario di re con sudditi, che in qualche modo ci portiamo dietro, nonostante il Vangelo. Di questa fa parte il modo con cui vi trovano spazio le donne, ad esempio. Lo spazio di conversione, anche delle strutture, è parte di un cammino di santità.
Cristina Simonelli