Il viaggio, fuori e dentro di sé, lungo le antiche vie di pellegrinaggio
Santiago di Compostela, 23 ottobre 1987: dopo anni di discussione e di studio i rappresentanti del Consiglio d’Europa sottoscrivono la Convenzione culturale europea. Nel testo si legge: “Il senso dell’umano nella società, le idee di libertà e di giustizia e la fiducia nel progresso sono i princìpi che hanno forgiato le diverse culture che creano l’identità europea. Questa idea culturale è, oggi come ieri, il frutto di uno spazio europeo carico di memoria collettiva, percorso da cammini, in cui, camminando insieme, gli uomini superano le distanze, le frontiere, le incomprensioni”. “Camminando insieme”: come dire che l’Europa è nata da un ininterrotto, millenario “sinodo di viaggiatori”: pellegrini, migranti, mercanti, esploratori, artigiani e costruttori, cantastorie, artisti… Cammini di infaticabili viaggiatori che, a piedi o a cavallo, in secoli di cammino hanno unito, collegato e fatto conoscere popoli, culture, lingue, tradizioni, cibi diversi. E con le strade fiorisce tutta una rete di ospitalità sicura e gratuita a opera degli ordini monastici: ostelli che sorgono lungo le vie e vie che passano accanto ai monasteri. Soprattutto sono cammini di monaci e di pellegrini: da Santiago alla Francigena, dall’itinerario di San Michele a quello di San Martino, da quello nordico di Sant’Olav a quello delle abbazie cistercensi: ben nove dei cammini riconosciuti dal Consiglio d’Europa sono percorsi sulle orme di santi per inchinarsi, sciogliere un voto, implorare una grazia. L’importante non è tanto il raggiungimento della meta quanto quel particolare, a volte inspiegabile movimento interiore che spinge uomini e donne a lasciare tutto – affetti, famiglia, beni, sicurezza – per cercare la “luce”.
La tradizione del pellegrinaggio sembra declinare nel corso degli ultimi due secoli, di pari passo con l’incalzante laicizzazione dell’Europa e il successivo avvento dell’era dell’automobile, ma negli ultimi decenni, con una progressione sempre più crescente, gli storici cammini sono letteralmente risorti a nuova vita, con decine di migliaia di “nuovi pellegrini” di ogni età che tornano a riempire le antiche strade d’Europa. La motivazione non è solo religiosa: a poco a poco si impone l’idea del viaggio come esperienza quasi iniziatica, di un percorso dentro a se stessi, alla ricerca dell’interiorità, dell’essenzialità, della sobrietà, un viaggio spesso cominciato in solitudine ma che nel proseguire tappa dopo tappa si incontra con altre solitudini, alla ricerca di qualcosa che forse non è ancora ben definito e che proprio nella fatica del camminare insieme, nella condivisione di pensieri forse mai rivelati, comincia a delinearsi, donando al corpo stanco nuove energie per continuare. È anche un nuovo modo di intendere il turismo: curioso, desideroso di allontanarsi da itinerari affollati per immergersi nella bellezza della natura con una vacanza ecosostenibile.
Uno degli aspetti più nuovi è la presenza sempre più numerosa delle donne, sia sole sia in piccoli gruppi, giovani e adulte. Da poco è attiva la Rete nazionale donne in cammino, ma fin dal 2011 a Vicenza un gruppo di amiche ha iniziato a mettere insieme le esperienze, raccontare, confrontarsi su esperienze di pellegrinaggi e di cammini: non più giovanissime, hanno in comune la passione per i cammini, la passione di conoscere l’Europa con i propri piedi, sperando in un futuro di pace e sorellanza. Il cammino al femminile è ancor di più motivato dal desiderio e dalla voglia di libertà, dalla gioia di rimettersi in gioco spesso dopo una vita dedicata alla famiglia, alla cura dei figli e anche dei nipoti, dopo aver svolto i lavori più disparati. Una di queste amiche, Angela Baldisserotto, durante il riposo forzato del Covid ha voluto raccontare e condividere alcune esperienze in un piccolo prezioso libro: Donne in cammino. Tra antiche vie e nuovi percorsi. Pagina dopo pagina ci affezioniamo ad Angela e alle sue amiche, un sinodo di donne: Caterina, Monica, Marina, Pia, Carla, Antonietta, Margherita, Teresa, Loretta, Maria Grazia, Sara, “le care compagne di viaggio” a cui il libro è dedicato. Ci affezioniamo alla loro intraprendenza, alla capacità di organizzarsi, di saper gustare fino in fondo le atmosfere e le bellezze dei territori (tanti!) attraversati, di sopportare i disagi e i disguidi, il freddo e il caldo, i piedi gonfi e gli acciacchi, la sosta per il pasto, il bucato, il riposo, curiose ed entusiaste, con l’immancabile recita del Rosario serale, ideale diaframma fra le ore del cammino e le ore del riposo. E non manca mai il tempo dedicato al “diario di bordo”, il taccuino, immancabile nello zaino di ogni autentico viaggiatore: “Chiudo il mio libretto rosso compagno dei miei passi, custode dei ricordi, delle avventure, degli incontri, delle storie raccontate, delle emozioni provate, dal quale emerge come i miei vissuti occupino uno spazio maggiore di quello del viaggio stesso. Così ne escono due percorsi: uno è quello delle immagini esterne, il paesaggio, i luoghi, le compagne di viaggio, l’altro è quello del mio mondo interiore, i ricordi, i desideri, i sentimenti”.
Idealmente ci sentiamo in cammino con loro, attendiamo, pagina dopo pagina, di conoscere la prossima meta, di condivivere avventure e disavventure, di partecipare anche noi ai dialoghi almeno con alcuni dei tanti altri pellegrini incontrati. E una certezza ci accompagna: che il mondo dei pellegrini è un mondo di pace, che questi incontri tra le antiche vie di questa Europa, di questo mondo tanto in conflitto sono stati nei secoli passati, e lo sono anche oggi, uno straordinario modo per costruire, anche se per pochi giorni, una comunità che sa parlare, ascoltare, discutere, sorridere, pregare insieme, al di là di ogni barriera. Ed ecco Angela e le amiche che, arrivate a Santiago, decidono di proseguire fino a Capo Finisterre, l’estremo confine occidentale dell’Europa, affacciato sul grande oceano: “Il cielo è carico di nuvole, ma lascia scorgere anche qualche raggio di sole. Ci allontaniamo da Compostela e troviamo il primo mijon del percorso con l’indicazione della distanza (ottantotto chilometri) da Finisterre. Siamo nuovamente tutte insieme. Caterina ha riposato, ma non ha risolto il problema del ginocchio. Il sentiero è molto bello e vario. Attraversiamo un boschetto e arriviamo al villaggio di Sarela da dove si gode un panorama eccezionale sulla città e già un po’ di malinconia mi prende: sarà l’ultima volta che la vedrò? Mi esercito, prima della recita del quotidiano Rosario, nel porre attenzione al senso dell’olfatto… Riconosciamo lo sterco delle mucche, il legno tagliato, la resina, l’umido e, strada facendo, incontriamo il primo pellegrino. Si chiama Fransisco, viene dal Portogallo, è giovane. Si ferma volentieri e parla un po’ di italiano, il tanto per farsi capire e dirci che fa il pellegrino di professione. Ma comunque lui è uno che viaggia senza soldi, vive con quello che gli viene offerto… è disoccupato da circa tre anni, faceva il boscaiolo, durante l’inverno torna al suo paese, ma poi riparte. […] Trovare un bel ragazzo ci dà energia, trasmette voglia di vivere e il suo travaglio interiore diventa nostro”. Anche questo è un cammino di speranza.
Chiara Magaraggia