In alto i cuori!

13
Nov

La storia di speranza di Sandro Pupillo e del suo “Eroe”

Era il 14 aprile 2015. Avevo febbre alta da dieci giorni, mal di testa, forti brividi notturni e un fastidiosissimo ascesso al dente del giudizio che, nonostante gli antibiotici, continuava a peggiorare. Della febbre, davamo la colpa all’ascesso. Ma i sintomi aumentavano e con loro anche un brutto ematoma sulla pancia, così come la mia vista iniziava a peggiorare. Alle 7 del mattino feci gli esami del sangue e alle 11.30 ero già ricoverato nel reparto di Ematologia dell’Ospedale San Bortolo con una prognosi nefasta: “Leucemia acuta promielocitica”, più tristemente nota come “leucemia fulminante”. La stessa che nel 2006 aveva tolto la vita al beato Carlo Acutis. I medici furono subito molto onesti e schietti e mi dissero: “Le tue condizioni sono critiche. Potresti non superare la notte”. Nonostante la crudezza della notizia, mi fu subito chiara una cosa che poi è diventata la stella cometa del mio percorso. Quegli stessi medici che con grande onestà intellettuale mi avevano comunicato le drammatiche condizioni di salute in cui versavo, sono stati gli stessi medici che fin dal primo istante si sono messi accanto a me donandomi forza, determinazione e soprattutto speranza.

Ho pochi ricordi di quei primi giorni di ospedale, ma conservo nel cuore con nitidezza le tantissime testimonianze d’affetto ricevute. Le cure in un primo tempo hanno funzionato. La malattia dopo poco tempo era andata in remissione e la speranza di una guarigione completa era concreta. Poi, però, la malattia è tornata. Ciclicamente. Finché non è stato chiaro che l’unica soluzione disponibile era il trapianto di midollo osseo. E, nell’attesa, tante altre terapie e altrettanta speranza. L’opzione più immediata, ovvero di ricevere il midollo osseo da mio fratello gemello Fabio, venne scartata abbastanza presto perché i nostri sistemi immunitari sono speculari e un trapianto non sarebbe servito a nulla.

Passò, quindi, qualche altro mese vissuto a sentimenti alterni. Alle preoccupazioni, alle paure e alle tante incertezze si accompagnavano una serena attesa e una solida speranza finché arrivò il Donatore. L’uno su centomila che avrebbe potuto darmi una seconda possibilità di vita. Di lui so solo che è italiano e so che è il mio Eroe.

Il 26 gennaio 2017, ho finalmente potuto fare il trapianto: cinquanta giorni di camera sterile non sono stati una passeggiata, ma una prova assai dura di resistenza fisica e psicologica.  Uscito a marzo dello stesso anno dall’ospedale la speranza nella guarigione definitiva si rafforzava giorno dopo giorno, ma purtroppo a fine 2017 ho avuto una recidiva e a maggio 2018 ho dovuto fare i conti con una ricaduta della malattia a livello cerebrale. Ho pensato di essere arrivato al capolinea. Ma nuovamente l’equipe medica e infermieristica del San Bortolo mi ha preso per i capelli e tirato fuori dal pericolo e grazie ancora al mio Eroe ho ricevuto i suoi linfociti (una nuova donazione!) che fino ad oggi hanno scongiurato il rischio di altre recidive.

Un anno e mezzo fa, a ridosso del quarto anniversario del trapianto, ho ricevuto una sua lettera. Un momento straordinariamente emozionante del quale non posso rivelare nulla per evitare che il donatore sia tracciato. Non ci eravamo mai scritti prima. Sentire che lui sapeva che ero ancora qui e che stavo bene va al di là di qualsiasi umana comprensione. Lo penso ogni giorno. È per me l’incarnazione della Speranza in Vita. Una seconda vita che non solo ha donato a me ma anche a tutti coloro che mi sono accanto e che mi vogliono bene.

Vorrei conoscerlo e abbracciarlo ma capisco le motivazioni che stanno dietro a questo obbligo di distanza. Le accetto anche se mi stanno strette.

Ci tengo sempre a ribadire una cosa: io sono una persona come tante altre. Sicuramente con più difetti che pregi. Sono un uomo che ha commesso tanti errori nella propria vita, che non sempre è stato in grado di onorare gli impegni presi e con un carattere impegnativo. Ma ho sempre creduto e dato grandissima importanza alle relazioni, credendo ciecamente nell’enorme potere della Speranza e dell’Amore. Saper amare è difficile, è un impegno quotidiano che richiede stabilità, coerenza, costanza, determinazione, saggezza e appunto speranza. L’Amore è capace tanto di farti toccare vette straordinarie, quanto di farti sprofondare in abissi dolorosi. L’Amore confonde, cambia le carte sul piatto, altera la quotidianità, stravolge gli equilibri. Ma è il motore principale di ogni Vita. Bisogna sapersi accettare per quello che si è, non per quello che si sarebbe potuti essere. Per me l’esercizio quotidiano del migliorarsi è diventata la strada principale per Amarsi.

Se mi guardo indietro penso che la malattia sia stata la cosa più complessa e difficile della mia esistenza. Dall’altra la più significativa, che ho la fortuna oggi di poter raccontare. Essa mi ha insegnato la preziosità del tempo e quanto sia importante saper attendere con pazienza e speranza. Il “tutto e subito” è uno slogan che ormai è entrato nelle nostre coscienze e che non ci permette di vivere con serenità. Non c’è tempo di attendere, c’è urgenza di ottenere risultati immediati. E se non si ottengono subito allora ci si scoraggia, ci si crede inadeguati o impreparati. Non lasciamoci ingannare da questi totem fasulli, ma riscopriamo il piacere e la bellezza dell’attesa e della speranza, del camminare col proprio passo, del gustare ogni cosa con il proprio ritmo.

Vorrei dedicare un ultimo pensiero d’Amore e di Gratitudine a Sabrina, la mia compagna, e alle molte persone che ho avuto il piacere di incontrare in questi anni e che sono purtroppo mancate. Amiche e amici con cui ho condiviso tanti momenti tristi ma anche di gioia e felicità. Li custodisco nel cuore perché ne sono diventati pezzi fondamentali ed è grazie anche a loro che assieme a Davide Stefani abbiamo fondato Aiutaunosmidollato, un’associazione nata con lo scopo ben preciso di far comprendere la bellezza e l’importanza del Dono.

Sandro Pupillo

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