Pubblichiamo l’articolo del mensile Donna Chiesa Mondo pubblicato il 26 gennaio 2020. www.osservatoreromano.va
Secondo le costituzioni delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria, famiglia religiosa alla quale appartengo, «con il voto di povertà assumiamo uno stile di vita che comporta la limitazione e la dipendenza nell’usare e nel disporre dei beni» (n. 41). Questo voto chiede di imparare a condividere sempre di più i beni che abbiamo perché «diventano espressione del dono di noi stesse, segno di disponibilità alla missione dell’istituto e della Chiesa». Non significa che non ci siano cose personali, quanto piuttosto che l’accumulo di beni non è il nostro stile di vita, mentre scegliamo «la condivisione, la comune legge del lavoro, uno stile di vita semplice e sobrio, la salvaguardia del creato» (n. 42). Viviamo per scelta del nostro lavoro e della Provvidenza. Non abbiamo sussidi garantiti e questo ci insegna a gestire con attenzione e rispetto denaro e beni. Impariamo a chiedere ciò di cui abbiamo bisogno, ma anche a rispettare le diverse esigenze di ogni sorella cercando di vivere insieme nella semplicità. Mettiamo in comune i nostri stipendi, i beni ricevuti, ma anche competenze specifiche, tempo, energie.
Alcune donne che conosco diventano particolari richiami e domande aperte sulla coerenza con la mia scelta di vita anche nei momenti più insoliti. Così ascolto le note del violino di Lia che riempiono sempre le strade vicentine di un’elegante dignità: anche lei, come Rut la moabita, attende pazientemente il frutto del suo “spigolare”. Potrei riconoscerle ovunque — quelle note — perché i tocchi delicati delle sue mani donano signorilità ai nostri passi frettolosi e distratti e ci ricordano che la vita ha una centralità diversa.
Donne come Lia la violinista e Rut la moabita mi aiutano a unire la vita con la Scrittura nella costante ricerca dell’identità dei “poveri di Jhwh”, gli anawim. Lia lo è oggi, Rut lo è stata, pur non essendo ebree: entrambe vivono un affidamento profondo, frutto di chi vive dell’essenziale perché trova altrove la gioia della vita. Non solo. Loro mi ricordano anche le paure dei miei genitori quando ho condiviso la scelta di entrare in congregazione, ormai quasi 12 anni fa. Nella mia vita di giovane suora impegnata nella comunicazione parrebbe tuttavia mancare la povertà. In parte è vero: il timore dei miei genitori è infondato perché non mi è mai mancato qualcosa. Per contro, la specificità di una vocazione alla comunicazione, vissuta come missione affidatami sia dalla mia congregazione che dalla diocesi nella quale opero, mi propone continuamente l’incontro con la mia povertà umana. Mi ci sono voluti molti anni per accogliere e amare le ferite interiori generate dalla mia vita, ma tutto quello che era «pietra scartata è divenuta testata d’angolo» (Sal 118, 2) solo per Grazia.
Essere suora orsolina scm connota la mia vita con un colore particolare, quello del nostro carisma: «Una particolare attenzione alle situazioni di povertà e di emarginazione femminile» (n. 22). Le vocazioni di suora orsolina scm e di comunicatrice, combinate, mi chiedono di dar voce alle voci femminili che non hanno voce. Significa stringere un’alleanza di cuore che intesse le storie incontrate anche con scelte di condivisione economica e di coinvolgimento personale: il sostegno scolastico, il pagamento di utenze arretrate… ma anche l’ascolto e l’amicizia autentica. L’esperienza di lavoro subordinato, come comunicatrice presso la diocesi di Vicenza, mi permette di vivere la soddisfazione e la dignità che un lavoro può offrire, così come la complessità del mondo del lavoro in Italia nel 2020. Eppure, pur vivendo ancora la “gavetta” di chi è all’inizio di una professione, vivo una condizione privilegiata rispetto ad altre suore che conosco e che faticano a vedersi riconosciute competenze professionali e dignitose condizioni lavorative.
Il voto di povertà ci offre, in fondo, la possibilità di avere una scala valoriale diversa per avvicinarci ai veri poveri che, per tanti motivi, vivono una vita di gravi privazioni e mancanza di dignità.
di Naike Monique Borgo