In ascolto degli Atti degli apostoli
Dopo i primi capitoli del libro degli Atti degli Apostoli, in cui vengono narrati i passi iniziali della futura chiesa e le persecuzioni che non ne pregiudicano la crescita, nel sesto capitolo viene presentata una crisi che nasce invece all’interno della comunità.
Il numero dei discepoli e delle discepole aumenta (come attestato al capitolo 8,3 dove la persecuzione di Saulo uccide e mette in carcere uomini e donne), e come spesso accade la crescita produce possibilità di crisi e necessità di cambiamento.
I discepoli di lingua greca si lamentavano con quelli di lingua ebraica perché, nel servizio quotidiano, venivano trascurate le loro vedove.
Il modo di risolvere questa difficoltà parla ancora oggi alla chiesa in un periodo di profonda crisi interna ed esterna che rende sempre più evidente l’urgenza di riformarsi per rispondere ai bisogni e alle attese – più o meno espresse – che le arrivano dai credenti e anche da chi non si sente di appartenere a questa chiesa, ma che ha sete di un annuncio di liberazione.
La prima cosa che colpisce nella reazione degli apostoli è che riconoscono la difficoltà, non la sottovalutano, né tentano di nasconderla, perché vedono come sta provocando tensione all’interno della comunità e sia perciò necessario intervenire. Nasce così la consapevolezza di dover affrontare la questione in un modo che preveda l’ascolto, una proposta, la valutazione da parte della comunità, la decisione e l’attuazione di quella che, in quel determinato momento storico e per la comunità che è coinvolta, appare come la soluzione migliore. Vengono scelti dal gruppo sette uomini, di cui sono elencati i nomi, nei quali si riconosce la presenza dello Spirito, adatti a svolgere quel servizio, e dopo la scelta vengono presentati agli apostoli perché impongano loro le mani.
Il brano si chiude con le parole che lo avevano iniziato: la diffusione della parola di Dio e l’aumento del numero dei credenti.
L’incarico dei sette nominati, tra i quali Stefano e Filippo, non era evidentemente un servizio esclusivamente concreto o materiale. Già il numero sette, oltre a rappresentare un completamento, una pienezza, è anche il numero con cui venivano indicati, a quel tempo, i popoli pagani. Forse coloro a cui vengono imposte le mani diventano, per chi proviene da altre religiosità, quasi un corrispettivo degli apostoli. Nei versetti seguenti dello stesso capitolo, si narra dell’arresto e della persecuzione di Stefano che lo porterà all’uccisione e all’essere ricordato come il primo martire. È la sua predicazione, non solo i segni e i prodigi che compiva, a procurarne l’arresto e la condanna a morte. È la lunga e bella rilettura della storia del popolo d’Israele narrata nel capitolo 7, e che egli fa a partire dalla consapevolezza di una presenza di Dio nella storia che porta a Gesù di Nazareth, che ne decreta la lapidazione. Dalla sua uccisione deriva la successiva “dispersione” degli apostoli e dei credenti.
Anche Filippo, come raccontato nei capitoli seguenti, si sposta in Samaria per annunciare la parola di Dio. Con questa dispersione la diffusione del Vangelo si amplia fuori dai confini della comunità di Gerusalemme. È importante ricordare, infatti, che la narrazione del libro degli Atti – giustamente a volte indicato come il Vangelo dello Spirito – non è circoscritta alla Chiesa che si trova a vivere nella terra di predicazione di Gesù, così come le chiese che emergono dalle lettere apostoliche sono plurali e presentano tratti propri e peculiari.
L’annuncio iniziale di Pietro si rivolgeva soprattutto “alla casa d’Israele” (2,14) e il racconto della nomina dei sette si pone all’interno di una comunità che vive una situazione particolare di difficoltà nel passaggio da una condizione di continuità con la religiosità ebraica (frequentavano ancora il tempio) e la discontinuità legata all’annuncio di Gesù (spezzavano il pane nelle case, pregavano insieme, condividevano i loro averi…) e che sente la necessità di rispondere alle nuove esigenze che la interpellano, in un modo che oggi definiremmo sinodale nel senso più autentico del termine.
La modalità della scelta dei sette, il martirio di Stefano, la peregrinazione di Filippo per annunciare il Vangelo, ci spingono ad allargare lo sguardo verso tutte le diverse chiese del primo secolo, che ci mostrano l’estrema varietà di quelli che oggi chiamiamo ministeri e che ben sono indicati in Romani 16, per scoprire la grande ricchezza del “discepolato di uguali” degli
inizi (E. Schlusser Fiorenza).
Nel giro di una generazione, i diversi ruoli all’interno delle comunità cambiarono: le donne, in particolare, furono ricondotte al ruolo tradizionale loro assegnato.
Forse, è ora di tornare a riflettere sugli inizi delle comunità cristiane, senza rinnegare la storia, ma lasciandoci anzi interpellare da essa, per dare una possibilità di futuro alla chiesa.
Donatella Mottin