Il canto di Giuditta

28
Lug

Lodare il Dio che stronca le guerre

La figura di Giuditta è conosciuta più di altre nella Bibbia se non altro per aver tagliato la testa a Oloferne; meno si sa della storia biblica che sta dietro a quel gesto e di come sia stata Giuditta, in quell’occasione, a salvare il popolo d’Israele.

Il tempo storico è quello in cui Nabucodonosor, re degli Assiri, era giunto al massimo del suo potere. Egli aveva affidato al generale Oloferne la conquista e la devastazione dei popoli che non avevano riconosciuto la sua grandezza, ordinandogli di distruggere tutti gli dei della terra in modo che i popoli adorassero solo lui e tutte le lingue e le tribù lo invocassero come Dio.

In un mondo che, allora come adesso, spesso preferisce la schiavitù alla libertà, l’omologazione dei linguaggi e della cultura alla diversità delle fedi e dei modi di abitare la terra, l’autore o l’autrice del libro di Giuditta pone l’interrogativo, valido in ogni tempo, se sia possibile vivere l’autentica libertà della fede anche di fronte all’arroganza e alla violenza di un potere che vuole porsi come assoluto.

Mentre vari popoli soccombono, Israele temendo per Gerusalemme e per il tempio, si prepara a rendere difficile entrare nella sua terra, fortificando la città di Betulia che ne era una via di accesso. Oloferne e il suo esercito, infatti, si mossero verso la città ponendola sotto assedio.

Dopo trentaquattro giorni di assedio, in cui venne a mancare soprattutto l’acqua, gli abitanti ormai stremati si rivolsero a Ozia che governava Betulia e agli altri capi della città, per chiedere loro di arrendersi. Ozia propose di aspettare altri cinque giorni, ponendo un limite di tempo all’intervento di Dio. Il popolo aveva esaurito la fiducia, così come, a volte, sperimentiamo anche noi quando arriviamo a situazioni limite, in cui anche la speranza soccombe.

A questo punto del racconto interviene Giuditta, una vedova di Betulia, di cui gli abitanti della città riconoscevano la saggezza e il timore di Dio. Giuditta credeva fortemente che Dio opera sempre la salvezza, qualunque forma essa prenda. Anche papa Francesco, proprio commentando questo testo, affermava qualche tempo fa: “Noi chiediamo al Signore vita, salute, affetti, felicità; ed è giusto farlo, ma nella consapevolezza che Dio sa trarre vita anche dalla morte, che si può sperimentare la pace anche nella malattia, che ci può essere serenità anche nella solitudine e beatitudine anche nel pianto”.

Di fronte alla decisione dei capi del popolo di non fare nulla per affrontare la situazione, affidandosi solo a Dio perché fosse lui ad intervenire, Giuditta si indigna perché non si può “mettere alla prova Dio”. Ella, dopo aver pregato, assume la sua responsabilità personale ed escogita un piano per far fronte al pericolo che stava stremando la città.

Grazie alla sua bellezza e a un racconto ingannevole, riesce ad essere accolta nell’accampamento dei nemici, a carpire la fiducia di Oloferne e, in un incontro con lui, a ubriacarlo e a tagliargli la testa.

Con la testa di Oloferne come trofeo, Giuditta torna a Betulia e l’esercito ebreo può facilmente sconfiggere coloro che li assediavano e che erano sconvolti dall’uccisione del loro capitano.

Giuditta, che aveva tagliato la testa al potere, invita il popolo a riconoscere Dio come artefice della vittoria.

“Intonate un inno al mio Dio con i tamburelli, cantate al Signore con i cimbali componete per lui un salmo di lode” (16,1). L’inizio del canto riporta alla mente quello di Miriam, la sorella di Mosè, intonato dopo aver attraversato il mar Rosso: entrambi scaturiscono da una esperienza di liberazione e dalla capacità di rileggere la storia, che i loro corpi e la loro fede hanno contribuito a costruire, con lo sguardo di Dio.

La lode è per la fine della guerra: gli eventi, le scelte, la responsabilità personale hanno come scopo il porre fine alla violenza “Poiché il Signore è il Dio che stronca le guerre” (16,2).

Per questo il canto di Giuditta è un canto nuovo, perché pur in mezzo a violenze e dolori riesce a comprendere che il Dio in cui crede è contro ogni guerra e che questa consapevolezza va riaffermata nei secoli.

L’inno di Giuditta vuole lodare, con profonda gratitudine, anche il modo che ha portato alla fine della guerra: “Il Signore onnipotente li ha respinti con la mano di una donna! Allora i miei poveri alzarono il grido… i miei deboli gridarono forte… gettarono alte grida” (16,5.11).

Le azioni di Giuditta, come di tutti coloro che in ogni tempo, anche se considerati deboli, non intendono rassegnarsi alla violenza del potere, vogliono orientare altre sorelle e fratelli verso un atteggiamento di speranza che animi la possibilità di immaginare vie nuove, inedite, per uscire da situazioni di morte. Solo le donne, con i poveri e i deboli possono, insieme, porre fine alle ingiustizie che alimentano le guerre, tagliando la testa al potere.

Donatella Mottin