“Guardatevi dagli scribi”. Commento al Vangelo del 10 novembre

09
Nov

Dal Vangelo di Marco 12,38-44

Diceva loro nel suo insegnamento: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa”. Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.

Commento

In questo testo emerge con forza la critica di Gesù contro gli scribi, i dottori della legge e ogni praticante zelante, ma superficiale. Infatti, più che una categoria di persone, ad essere colpite sono l’ostentazione, l’ambizione e l’avidità, perché ogni persona che ama essere notata, riverita e che si comporta in modo egoistico, si allontana dal tipo di sequela richiesta dal Signore. Anche noi, discepole/i di oggi corriamo il rischio di idolatrare il nostro metterci in mostra, piuttosto che preferire una sincera testimonianza cristiana. Tra l’altro, oggi, oltre alle piazze delle nostre città, attraversiamo piazze virtuali che invitano alla visibilità e alimentano la vanità, facendoci diventare persone che vivono dell’immagine che esibiscono agli altri, in continua ricerca di conferme (e di “like”). E ci ritroviamo fondate/i su qualcosa di effimero che manifesta il bisogno dell’approvazione altrui, per sapere di avere un valore. Occorre, quindi, vigilare per accorgerci quando inseguiamo la futilità di “lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti”. Vigilare per cambiare rotta, e andare verso ciò che alimenta il nostro desiderio di mettere in circolo il bene e dà respiro alla ricerca della gratuità della sequela, di cui è esempio la vedova povera. Non sfugge allo sguardo attento di Gesù in che modo la donna getta il suo poco nel tesoro del tempio, e “Gesù disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri»”. La donna getta “due monetine” che non fanno rumore, perché non c’è quel tintinnio metallico che si sente quando i ricchi versano le loro numerose monete. Getta veramente poco, ma che per lei rappresenta “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Gesù mette al centro della scena una vedova che non avrebbe mai potuto aspirare ai primi posti, essendo tra le persone che stavano nel posto più in basso della scala sociale del tempo, ma che con il suo gesto ribalta la gerarchia, facendo eco alla frase “molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi” (Mc 10,31). La donna dimostra come l’amore per Dio è da vivere senza trattenere niente per se stessi, offrendo tutto ciò che si ha. Anche se all’apparenza è poco. Gesù stesso presto offrirà la sua vita per amore. Emerge con forza il contrasto messo in luce dall’Evangelista: da un lato i grandi uomini della Legge e i ricchi diventano simbolo di vanità ed avidità, e dall’altro una povera vedova diviene esempio di generosità e modello di sequela. Qualcuno interpreta in un altro modo il gesto della vedova: più che un dono, viene considerato l’apice di un abuso spirituale, in quanto obbedisce a una legge che chiede ad ogni ebrea/o, anche ai più poveri, di versare una tassa al tempio. L’obolo della vedova può, quindi, essere considerato ingiusto, conseguenza dell’ammonizione fatta agli scribi “divorano le case delle vedove”. Gesù, però, parlando ai suoi non sottolinea questo, e fa del gesto della povera donna un atto esemplare. Ci mette alla scuola di questa vedova e del suo “dare tutto”, che ci insegna come amare. Amare, infatti, è offrire all’altra/o la propria povertà, nella verità, mettendosi a nudo. Ecco allora che in questo modo impariamo a costruire relazioni che non partono dall’apparenza (come per gli scribi) ma dalla profondità di noi stesse/i. Relazioni che non mettono al centro il proprio “io”, ma che cercano il “noi”, in una profonda relazione con il Signore.

Per riflettere

Alla luce di quanto emerso, posso chiedermi: quali passi sono chiamata/o a fare per trasformare la mia vita dal dominio dell’apparenza ad un’esistenza spesa nell’amore? E ancora: quale nome posso dara alle mie “due monetine” che all’apparenza non sono niente, ma che diventano il tutto di me quando le offro in dono? Alla scuola di Gesù, come posso convertire il mio sguardo e cogliere il bene in ogni persona e situazione? Accompagnate/i dal Vangelo di questa domenica preghiamo perché il Signore ci doni la Grazia di vivere il dono di noi stesse/i nella logica della gratuità e del “non trattenere” nulla.

  1. Elisa Panato, Il Messaggio del Cuore di Gesù, 11 (2024), 42-44.
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