Gli anziani faranno sogni, i figli avranno visioni

18
Set

La profezia dello Spirito annuncia un futuro già presente e… senza data di scadenza

“Dopo questo io effonderò

il mio spirito sopra ogni carne

e diverranno profeti i vostri figli

e le vostre figlie,

i vostri anziani faranno sogni,

i vostri giovani avranno visioni.

Anche sopra gli schiavi in quei giorni

effonderò il mio spirito”.

(Gioele 3,1-2)

Quando pronuncia questi versetti il profeta Gioele sta narrando la situazione di miseria e distruzione che stava vivendo il popolo di Israele, ma annuncia anche l’arrivo del “giorno del Signore” che tramite lo Spirito porta vita, speranza e futuro.

Sono proprio questi i versetti che Pietro sceglie di ripetere, nel giorno di Pentecoste, alla moltitudine di persone presenti a Gerusalemme e provenienti da vari paesi e città.

In quella lista di popoli, rappresentati da chi era a Gerusalemme, vi sono anche antichi nemici degli ebrei, eppure anche a loro sono rivolte le parole di Pietro.

Dopo un’esperienza personale, durante la vita di Gesù, che potremmo definire “fallimentare”,

Pietro, grazie al dono dello Spirito, ha finalmente qualcosa da dire. Per questo si alza in piedi e “a gran voce”, con l’atteggiamento di chi ha un’autorità, ripete l’annuncio profetico di Gioele. Le persone presenti sono meravigliate di poter ascoltare l’annuncio ognuno nella propria lingua e riuscire così a capire quanto viene detto.

Pietro, pur modificando le parole iniziali (non più “verranno giorni…” ma “negli ultimi giorni…”), sceglie il linguaggio profetico perché è quello che permette di vedere l’azione di Dio nella storia. Pietro parla di un futuro che è già presente, e che continuerà senza fine nel tempo se verrà accolto lo Spirito che è già nel mondo e che può trasformare ogni cosa.

L’“ascoltate bene” delle parole di Pietro suona in greco, in modo meno elegante ma sicuramente più incisivo: inorecchiate. Esprime, quasi in forma visiva, l’importanza di “mettere nell’orecchio” quel messaggio; quasi come un seme che un po’ alla volta, con il tempo necessario ad ognuno, potrà crescere e dare frutto.

Abbiamo dimenticato questa bellissima profezia pronunciata da Gioele prima e da Pietro poi, o forse l’ascoltiamo senza comprendere pienamente che è alla base dell’inizio della storia della prima chiesa, elemento fondante per le chiese di ogni tempo.

Queste parole hanno in sé una forza così dirompente che tendiamo – forse per paura – a neutralizzarne la novità. Frutto dello Spirito donato da Dio è che tutti, indistintamente, sono profeti, nessuno escluso: chiunque cerchi di capire la realtà guardandola con gli occhi con cui la guarda Dio, è profeta. Ogni “carne”: uomini e donne, giovani e vecchi, schiavi e schiave sono – con la peculiare fragilità e debolezza della carne di ciascuno e di ciascuna – profeti di Dio.

Per cui si capovolgono ruoli e capacità: i giovani – che spesso non riusciamo a capire e che non ascoltiamo considerandoli inesperti – sono coloro che hanno visioni del mondo nuovo trasformato dallo Spirito; i vecchi – che in una società che li considera ormai ai margini e inutili, sembrano destinati a guardare solo indietro, al passato – nell’ottica del dono dello Spirito e della profezia sono, invece, coloro che “fanno sogni”, che ancora sanno immaginare un futuro perché leggono l’opera di Dio nel presente.

E, finalmente, anche i più piccoli nel mondo: gli emarginati, gli esclusi, gli “scarti” (come dice papa Francesco), siano essi uomini o donne, tutti ricevono il dono dello Spirito e sono profeti.

In fondo l’annuncio di Gioele e di Pietro è il riecheggiare di una liberazione piena. Come nelle parole di Mosè che rispondendo a Giosuè, il quale si lamentava perché profetizzavano anche coloro che non erano “nel loro gruppo”, disse: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!” (Num 11,29).

A Pentecoste si realizza il sogno dell’anziano Mosè: nell’accogliere lo Spirito è possibile per ciascuno e ciascuna comprendere il messaggio di Dio negli avvenimenti, viverlo nella propria esperienza e imparare a comunicarlo, in ogni lingua, a tutte e a tutti.

Donatella Mottin

Illustrazione di Chiara Peruffo

La profezia dello Spirito annuncia un futuro già presente e… senza data di scadenza

“Dopo questo io effonderò

il mio spirito sopra ogni carne

e diverranno profeti i vostri figli

e le vostre figlie,

i vostri anziani faranno sogni,

i vostri giovani avranno visioni.

Anche sopra gli schiavi in quei giorni

effonderò il mio spirito”.

(Gioele 3,1-2)

Quando pronuncia questi versetti il profeta Gioele sta narrando la situazione di miseria e distruzione che stava vivendo il popolo di Israele, ma annuncia anche l’arrivo del “giorno del Signore” che tramite lo Spirito porta vita, speranza e futuro.

Sono proprio questi i versetti che Pietro sceglie di ripetere, nel giorno di Pentecoste, alla moltitudine di persone presenti a Gerusalemme e provenienti da vari paesi e città.

In quella lista di popoli, rappresentati da chi era a Gerusalemme, vi sono anche antichi nemici degli ebrei, eppure anche a loro sono rivolte le parole di Pietro.

Dopo un’esperienza personale, durante la vita di Gesù, che potremmo definire “fallimentare”,

Pietro, grazie al dono dello Spirito, ha finalmente qualcosa da dire. Per questo si alza in piedi e “a gran voce”, con l’atteggiamento di chi ha un’autorità, ripete l’annuncio profetico di Gioele. Le persone presenti sono meravigliate di poter ascoltare l’annuncio ognuno nella propria lingua e riuscire così a capire quanto viene detto.

Pietro, pur modificando le parole iniziali (non più “verranno giorni…” ma “negli ultimi giorni…”), sceglie il linguaggio profetico perché è quello che permette di vedere l’azione di Dio nella storia. Pietro parla di un futuro che è già presente, e che continuerà senza fine nel tempo se verrà accolto lo Spirito che è già nel mondo e che può trasformare ogni cosa.

L’“ascoltate bene” delle parole di Pietro suona in greco, in modo meno elegante ma sicuramente più incisivo: inorecchiate. Esprime, quasi in forma visiva, l’importanza di “mettere nell’orecchio” quel messaggio; quasi come un seme che un po’ alla volta, con il tempo necessario ad ognuno, potrà crescere e dare frutto.

Abbiamo dimenticato questa bellissima profezia pronunciata da Gioele prima e da Pietro poi, o forse l’ascoltiamo senza comprendere pienamente che è alla base dell’inizio della storia della prima chiesa, elemento fondante per le chiese di ogni tempo.

Queste parole hanno in sé una forza così dirompente che tendiamo – forse per paura – a neutralizzarne la novità. Frutto dello Spirito donato da Dio è che tutti, indistintamente, sono profeti, nessuno escluso: chiunque cerchi di capire la realtà guardandola con gli occhi con cui la guarda Dio, è profeta. Ogni “carne”: uomini e donne, giovani e vecchi, schiavi e schiave sono – con la peculiare fragilità e debolezza della carne di ciascuno e di ciascuna – profeti di Dio.

Per cui si capovolgono ruoli e capacità: i giovani – che spesso non riusciamo a capire e che non ascoltiamo considerandoli inesperti – sono coloro che hanno visioni del mondo nuovo trasformato dallo Spirito; i vecchi – che in una società che li considera ormai ai margini e inutili, sembrano destinati a guardare solo indietro, al passato – nell’ottica del dono dello Spirito e della profezia sono, invece, coloro che “fanno sogni”, che ancora sanno immaginare un futuro perché leggono l’opera di Dio nel presente.

E, finalmente, anche i più piccoli nel mondo: gli emarginati, gli esclusi, gli “scarti” (come dice papa Francesco), siano essi uomini o donne, tutti ricevono il dono dello Spirito e sono profeti.

In fondo l’annuncio di Gioele e di Pietro è il riecheggiare di una liberazione piena. Come nelle parole di Mosè che rispondendo a Giosuè, il quale si lamentava perché profetizzavano anche coloro che non erano “nel loro gruppo”, disse: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!” (Num 11,29).

A Pentecoste si realizza il sogno dell’anziano Mosè: nell’accogliere lo Spirito è possibile per ciascuno e ciascuna comprendere il messaggio di Dio negli avvenimenti, viverlo nella propria esperienza e imparare a comunicarlo, in ogni lingua, a tutte e a tutti.

Donatella Mottin

Illustrazione di Chiara Peruffo