La storia di una giovane inferma accolta da Madre Giovanna e dalla prima comunità orsolina
Quando Madre Giovanna rilegge la propria storia in chiave di fede, non teme di mettere in luce la condizione di fragilità che la caratterizza fin dalla nascita lontano da casa, al riparo di una stalla. Nel corso della narrazione, la povertà e la debolezza risultano ambito privilegiato dell’azione di Dio, oggetto del suo amore e della sua misericordia, cifra della sua tenerezza verso ogni creatura, tramite di salvezza. Giovanna e le Sorelle assumono lo sguardo divino, benevolo e partecipe delle vicende umane, traducendolo in vita, sentimenti, atteggiamenti e azioni.
Nell’ottobre 1908 la piccola comunità sorta a Breganze il 5 gennaio 1907 è costretta a vivere in sordina, per non alimentare le opposizioni di chi la giudicava un’opera priva di mezzi e di futuro. Una giovane inferma di 23 anni, Gemma Zago, già orfana di genitori, con la morte della nonna rimane sola. Giovanna, pur consapevole delle difficoltà e dei limiti abitativi (in sei condividevano quattro camere adibite a cucina, laboratorio e camere da letto), offre subito la disponibilità ad ospitare la giovane nella “Casetta del Signore”. Consultando le compagne, trova che anch’esse concordi, “d’un cuor solo e d’un solo volere”, esprimevano lo stesso desiderio. Il gesto di carità in sé colpisce, ma molto di più l’interiorità e i significati profondi che esso rivela. Scrive Giovanna: “Data questa unanimità di pensiero, si tenne per fermo essere volontà di Dio che ci prendessimo cura di questa infelice giovane, la quale benedicendo e lodando la divina Provvidenza fece il suo ingresso nella casetta del Signore il giorno 26 dello stesso mese, ricevuta e accompagnata dalle sue nuove sorelle, che giulive e festanti le davano il benvenuto”.
La volontà di Dio è proprio il suo amore sovrabbondante che crea accordo, che suscita la cura dei fragili, che dona gioia, che non teme il sacrificio. Per fare spazio a Gemma, due Sorelle si trasferiscono spontaneamente a dormire in soffitta. L’inattesa accoglienza viene vissuta come un dono divino sia dalle Sorelle che da Gemma stessa. La gente di Breganze rimaneva edificata e godeva di questa testimonianza evangelica, segno di carità sostenuto dall’amicizia e dal contributo concreto di molti. Anche il Vescovo Feruglio, venendo in visita, si compiaceva che nella loro povertà avessero accolto una giovane bisognosa di tutto.
Quando la comunità nel gennaio 1910 trasloca in una casa più grande, il trasferimento di Gemma – che doveva essere portata a braccia da quattro persone – diviene un evento condiviso e ricco di grazia. Le Sorelle chiedono di essere loro stesse a caricarsi il peso dell’inferma e il percorso si trasforma in un breve pellegrinaggio: fanno tappa anzitutto nell’oratorio privato del parroco, dove lui celebra la Messa per il singolare drappello. Poi si recano nella chiesa, volendo mostrare a Gemma i grandiosi lavori di rifacimento degli ultimi anni. Lungo la strada molti salutano la ragazza e si crea una specie di corteo fino al duomo, dove le vengono fatti ammirare l’oratorio delle Figlie di Maria rifatto, la chiesa ampliata e, sostando a ogni altare laterale, le nuove immagini sacre. Mentre si trovano in raccoglimento davanti all’altare maggiore, si sentono echeggiare le note armoniose dell’organo e intonare dall’alto della tribuna la soave canzone della Vergine di Lourdes; altre voci si uniscono in coro e la commozione è tale che poche ciglia rimangono asciutte. Al termine riprendono il cammino ed entrano finalmente nella nuova casa. Lì Gemma ha una gradita sorpresa: nella cameretta che le hanno assegnato – bella, spaziosa e vicina alla portineria per meglio ricevere visite – le sue amiche ed altre buone persone le hanno preparato, oltre al letto, un cassettone, quattro sedie nuove, un lavandino con catino e brocca, due quadri e le tendine bianche alle tre finestre. Giovanna considerava quel giorno uno dei migliori della sua vita.
Gemma lodava Dio e ringraziava tutti; sopportava serenamente la sua malattia, era una ragazza dolce e amante della compagnia. Pur non avendo scelto la comunità, vi si era inserita perfettamente contribuendo alla fraternità con il suo buon carattere, con il suo spirito di preghiera, con il suo canto, con le poesie e gli inni che componeva.
La grave malattia che l’aveva resa inabile, lentamente progrediva. Nel 1911 veniva ricoverata in ospedale per difficoltà respiratorie, ma essendo prossima la sua fine, le Orsoline la riportavano in comunità, dove spirava amorevolmente assistita nel gennaio 1912, a 27 anni. La presenza di Gemma fu una benedizione per le Sorelle e per tutta la parrocchia, che con gioia ne ricordarono sempre l’esempio luminoso di santità fino alla morte. La fragilità amata – la mia, la tua, la nostra – è una “gemma” bella e preziosa: fiorisce e riluce di gioia.
sr Maria Coccia