Per sei anni abbiamo condiviso un pezzo della nostra vita con le persone detenute della Casa Circondariale San Pio X di Vicenza. Una volta alla settimana ci incontravamo in gruppo per leggere e commentare la Parola di Dio. Abbiamo proposto la lettura popolare della Bibbia, sul modello latino-americano, che tenta di attualizzare il testo biblico, in modo che esso possa scavare a fondo dentro ciascuno e toccare corde personali, a volte anche molto dolorose. In questo modo la Parola diventa strumento di presa di coscienza e di cammino: i detenuti, colpiti dalla radicalità del messaggio – in particolare quello evangelico – sono stati in grado di compiere un processo di messa in discussione della propria vita, di crescita personale, o – se vogliamo usare un termine tipico dell’ordinamento penitenziario – di rieducazione.
Le due ore alla settimana in carcere hanno influenzato profondamente il nostro modo di leggere e interpretare la realtà, così che davvero l’incontro con le persone detenute ci ha aiutato ad incontrare anche tutti gli altri in maniera diversa: con uno sguardo accogliente, non giudicante, e, se vogliamo usare un termine “di moda” quest’anno, misericordioso.
Noi non abbiamo mai chiesto i reati per i quali questi uomini si trovavano nella casa circondariale. Dopo un po’, quando se la sentivano, erano essi stessi a raccontarci la loro storia. In quei momenti non è difficile accogliere anche storie dure, perché sei già oltre la paura e il pregiudizio: infatti hai di fronte una persona, tu la vedi e la riconosci come tale, e allora sei capace di accoglierla anche con tutte le sue zone grigie. Questo non vuol dire negare la responsabilità di quanto essa ha fatto, né tantomeno avere uno sguardo buonista nei suoi confronti: ci sono le conseguenze penali delle azioni compiute, e la macchina della giustizia deve assolutamente fare il suo corso. Ma noi entravamo in carcere con l’ottica di ascoltare, dialogare e accogliere. E allora se si ascolta, a volte veramente senza avere nulla da rispondere, senza offrire soluzioni, semplicemente facendo da raccoglitore dei racconti, delle sofferenze, spesso anche della rabbia, si può cercare insieme un nuovo senso alla propria vita: appunto perché questi incontri e questi dialoghi fanno emergere sì le differenze e le difficoltà, ma anche le molte cose che ci fanno uguali.
Non siamo così separati fra chi vive dentro e chi vive fuori: non crediamo che dentro ci siano i mostri e fuori i buoni. Dentro non abbiamo mai visto mostri. Abbiamo incontrato persone che hanno fatto molti sbagli e nelle quali c’è molto grigio: non il bianco e il nero, ma tanto grigio. Quando poi si fa un passo ulteriore e si arriva a capire che tutti abbiamo zone grigie, anche il nostro modo di guardare l’altro sarà inevitabilmente diverso. E se guardiamo l’altro come persona, pensando che noi non siamo immuni dall’errore, allora c’è una concreta possibilità di essere uomini e donne che cercano di vivere la misericordia.
Manuela Cicchelero, Alessandra Fontana e Simone Maculan