Intervista a suor Svetlana, che insieme a suor Maria e a nove bambini e ragazzi ucraini è stata accolta a Villa Savardo
La comunità di Villa Savardo vive immersa nello splendido parco in cui alberi di diverse specie ricordano i tanti viaggi dai quali i conti Savardo hanno attinto l’interesse per le biodiversità, oltre che per le culture, le nuove costruzioni, i nuovi modi di viaggiare, dalle auto agli aerei. Oggi il parco è animato anche da tante diversità di persone che, accolte nella struttura socio-educativa, si rimettono in forze dopo esperienze di vita dolorose e vengono guidate ad un nuovo inserimento sociale ed educativo.
Oltre alla comunità Armonia per minori, ci sono donne con bambini, mamme con figli che in questo tempo abitano il parco, alla frescura degli antichi alberi e nella ricerca di una vita serena.
I bambini… corrono, come è proprio della loro età! Spesso si sente risuonare il grido “Mamma, mamma!”, a volte per una scoperta, a volte per una caduta che abbisogna di un piccolo soccorso, a volte per attirare lo sguardo di una mamma che sta parlando con altre e di altro, alla quale il bambino vuol dire: “Ci sei, vero? Io sono qui!”.
Sr. Svetlana e sr. Maria sono tra queste mamme: e nove bambini e ragazzi ucraini fanno riferimento a loro, chiamandole “mamma”. Incontriamo sr. Svetlana, che parla molto bene l’italiano e si fa voce anche di sr. Maria.
Due suore ucraine a Villa Savardo: a quale istituto appartenete? E come mai tu parli così bene l’italiano?
Siamo della congregazione francescana delle Figlie del Purissimo Cuore di Maria, fondata nel 1885 in Polonia dal frate cappuccino Onorato De Biala con l’aiuto di Paulina Anna Malecka per la cura e la formazione dei giovani. All’inizio avevamo grandi istituti per orfani, ora abbiamo piccole comunità, delle case famiglia, di cui cinque in Ucraina, due a Kiev, tre in altre città. Negli anni ’90 io ero venuta a Foligno per lavorare in una casa dei frati cappuccini e così mantenere gli orfanatrofi. L’Ucraina non aveva le risorse per sostenere queste opere, e allora noi andavamo fuori del Paese per lavorare. Dopo cinque anni sono rientrata nel mio Paese e ho cominciato a lavorare con la Caritas diocesana. Il vescovo ci ha chiesto di aprire una nuova opera a Kiev, e da undici anni sono la mamma di questa casa famiglia, lavorando sempre in contatto con i servizi sociali di tutela minori e con la Caritas.
Dove siete precisamente a Kiev e chi sono i vostri bambini?
Viviamo in un appartamento nella periferia di Kiev con nove bambini e ragazzi. Alcuni sono orfani, altri fanno parte di un’unica famiglia a cui è stata tolta la potestà genitoriale e sono stati affidati a noi.
Come hai conosciuto Breganze?
Dal 2005, come segretaria della Caritas di Kiev, organizzavo i soggiorni dei bambini ucraini in Italia e venivo come accompagnatrice qui a Breganze, dove ho conosciuto l’associazione Famiglie Insieme e Gian Benedetto, il responsabile dell’associazione, che ci ha poi anche aiutate per l’intervento cocleare bilaterale a Ilian, un nostro bambino sordomuto, che in Ucraina non poteva essere curato. Ed è stato proprio Gian Benedetto a chiamarci quando è iniziata la guerra in Ucraina, dicendoci che potevamo sempre contare su di lui e sull’Associazione.
Cosa è successo per voi dall’inizio della guerra?
Da quando la Russia nel 2014 ha annesso la Crimea e sono cominciati i combattimenti nel Donbass, nel mio Paese ci aspettavamo che prima o poi i russi di Putin ci avrebbero fatto guerra. Ma sinceramente speravamo che non avvenisse! Dal 24 febbraio 2022 sono scoppiate le bombe vicino a noi: l’esercito di Putin era vicino a Kiev, era già a Bucha. Abbiamo portato subito i bambini nei sotterranei che avevamo preparato: io e sr. Maria cercavamo di rassicurarli, che gli allarmi e le bombe sarebbero finite presto, ma davvero non sapevamo che cosa dire e soprattutto che cosa fare. Scappare? Dove, come? I servizi sociali ci chiamavano ogni giorno, per sapere come stavano i bambini e come stavamo noi: e dicevano che dovevamo scappare, al più presto, perché eravamo in grande pericolo.
È stato difficile scappare dall’Ucraina in guerra?
Non posso dire che sia stato difficile, è che la paura di perdere i bambini era grande. I più piccoli erano spaventati, i più grandi, di 16, 17 anni, capivano molto bene quello che succedeva. Il 3 marzo ho sentito l’ufficio minori e abbiamo deciso velocemente di partire: bisognava mettere in salvo i bambini. Siamo saliti su un treno che è partito con il doppio di passeggeri rispetto alla sua capienza: c’erano bambini, anziani, disabili… Durante il viaggio verso la Polonia il treno si è fermato più volte, perché c’erano i bombardamenti: eravamo avvolti dal buio, non si potevano accendere le luci, usare i cellulari… quanta tensione! Ci siamo fatte coraggio con sr. Maria, avevamo tanta fiducia in Dio e nella forza che ci veniva da questi nostri figli.
Quale era la paura più grande che avevi?
Di perdere qualche bambino, che qualche ragazzo o ragazza potesse essere preso da persone cattive: dicevo loro di stare sempre vicini, ho messo un foglio con tutti i numeri di telefono nello zainetto dei bambini più piccoli, i più grandi ce li avevano già. Avevo sentito di bambini presi dai soldati di Putin, del male che facevano loro, come alle donne, di questo avevo tanta paura. Ma grazie a Dio siamo arrivati salvi in Polonia, e ho subito telefonato a Gian Benedetto dicendo che se avevano possibilità, noi andavamo in Italia. In Polonia volevano farci andare ai confini con la Repubblica Ceca, o in Austria o Germania, ma io non conoscevo la lingua, e ho detto che avevamo amici in Italia. Amici così buoni che sono venuti a prenderci: so che sono arrivati dieci pullman, e noi siamo saliti con tanta speranza. È stato il grande coraggio della solidarietà, dell’aprire il proprio Paese a chi viene dalla guerra.
Qual è la prima cosa che hai pensato quando siete arrivati a Villa Savardo?
Ho pensato che Dio era con noi! Era il 9 marzo, di sera, e siamo entrati con le nostre piccole valigie in questa villa, abbiamo conosciuto le suore che ci hanno accolti. Il giorno dopo ho visto in cappella che eravamo dalle suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria: anche noi, come congregazione, siamo dedicate al Cuor di Maria, e ho pensato: “è la Mamma del cielo che ha preparato un posto tranquillo per noi!”. Mi sento a casa qui, i miei bambini sono sereni, tranquilli”.
Come vi sentite ora che da qualche mese siete qui?
Ci sentiamo sicuri: non so quali saranno le conseguenze della guerra sui nostri bambini e ragazzi, dentro di loro hanno certamente un trauma grande. I primi giorni disegnavano il sole nero, il buio, volevano sempre stare vicini vicini… ora sono più tranquilli, ma pensano sempre all’Ucraina. I ragazzi di 17 e 18 anni si pongono tante domande: quale sarà il loro futuro? Dove? Una nostra giovane di 17 anni mi ha detto che si chiede qual è la volontà di Dio per lei, per noi: che non riesce a scorgerla in questo tempo, perché tutto è cambiato nell’arco di pochi giorni. La guerra è anche questo. Ci facciamo coraggio, preghiamo insieme, giorno dopo giorno affrontiamo la vita quotidiana e cerchiamo di progettare i prossimi mesi: qui a Villa Savardo le suore, le educatrici, le famiglie dell’associazione ci aiutano molto anche in questo. La nostra grande speranza è che questa guerra finisca, e possiamo tornare a casa. Ma anche qui è casa: un luogo sicuro, dove non c’è guerra e violenza, dove ci sono persone che vogliono il nostro bene e ci infondono fiducia e coraggio.
Sr. Letizia, responsabile della comunità, dice che la presenza di questa “grande famiglia” è una ricchezza: con le caratteristiche della loro vita essenziale e molto ordinata, regolata, condivisa, diventano uno stimolo e un confronto anche per le altre persone che vivono in questa grande casa che apre gli orizzonti del cuore. Tutti, figli e figlie dell’unico Dio.
sr. Federica Cacciavillani