Donne sorelle nei paesi arabo-musulmani

18
Feb

Dall’Iran al mondo, i movimenti e la lotta per i diritti civili e la libertà

In lingua araba esiste la parola Umma che significa non solo comunità ma nell’insieme anche coloro che si dirigono, coloro che seguono una certa direzione, è usata sia per definire le/i credenti che si riconoscono in una stessa confessione, sia per definire comunità simili. La solidarietà espressa con il termine “sorella” sia da donne che da uomini ha probabilmente la sua radice nel Corano, dove si parla di figli di Adamo intendendo con tale espressione l’intera umanità.

Nella sura VII Al-A?râf per ben cinque volte vengono citati, all’inizio dei discorsi, i Figli di Adamo (C VII, 26-27, 31,35,172). Lo stesso termine viene ripreso nella sura XVII al versetto 70 e ancora una volta nella sura XXXVI al versetto 60. Nella sura VII si trova anche il termine “hijab”, velo, che in genere è inteso come un limite o una barriera.

Come interpretare correttamente l’uso del velo? Questa penso sia la sfida che le donne-sorelle non solo iraniane, ma anche le “molte altre” che abitano il complesso mondo arabo-musulmano, vogliono lanciare. Le donne arabe hanno ancora una volta dimostrato come le donne giochino sempre un ruolo decisivo negli avvenimenti rivoluzionari. In questo senso possiamo capire meglio come mai, dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amin, avvenuta nel settembre scorso dopo l’arresto e le percosse subite dalla “polizia morale” per non aver indossato in modo appropriato l’hijab, da quel preciso istante in cui la notizia della sua morte ha raggiunto la Umma, migliaia di don-ne e di uomini siano scesi in strada per chiedere giustizia. Non è un cammino solitario, ma comunitario che vuole e chiede un cambiamento per “mia sorella, per tua sorella, per le nostre sorelle”, un cammino che la re-pressione e la censura del regime non è ancora riuscita a fermare e che di giorno in giorno assume forme nuove.

Così si è espresso l’Ayatollah Khamenei: “perché le donne scoprendosi distraggono gli uomini e li turbano…”, senza nemmeno rendersi conto che con questa sua dichiarazione ha affermato involontariamente la superiorità e il potere delle don-ne-sorelle che sono così forti e pericolose al punto da distrarre la mente degli uomini con una sola ciocca di capelli sulle spalle. Ciocca di capelli che ha poi spinto donne-sorelle di tutto il mondo a tagliarsela in un generoso gesto di solidarietà.

Non possiamo dimenticare che anche tanti uomini, soprattutto giovani, sono scesi in piazza insieme alle loro sorelle per chiedere che la primavera dell’Iran possa finalmente sbocciare. Ci sentiamo tutti fratelli e sorelle delle donne in Iran e ultima-mente anche di quelle Afgane perché con l’hijab ma a volto scoperto e senza il famoso burqa, loro imposto, chiedono di poter rientrare all’università dove vengono accolte dallo schioccare della frusta di un agitato uomo nerboruto che vuol far rispettare la “morale”. Ci riprovano, sfidando le scudi-sciate, e ripetendo slogan quali: “l’istruzione è un diritto” ma anche “donna, vita, libertà” che le avvicinano sempre più alle sorelle iraniane. Sono ancora tan-te le battaglie aperte per il rispetto e la tutela delle donne ma, malgrado le disuguaglianze, sono proprio le donne gli enzimi del cambiamento perché oltre a portare il peso delle disuguaglianze e della mancanza di libertà hanno una grandissima capacità di coesione collettiva. Anche papa Francesco ha più volte ripetuto: “Quante scelte di morte sarebbero evitate se proprio le donne fossero al centro delle decisioni”.

Il femminismo islamico sembra essere un ossimoro. Agli occhi di molti di noi il femminismo arabo musulmano è inesistente e tale giudizio è per loro avvalorato dal numero di donne che indossano il velo. In realtà, nel leggere le notizie su quanto avviene nei paesi arabi dove anche le donne sono impegnate e stanno dando un contributo specifico a queste manifestazioni abbiamo la prova del contrario.

Non solo si tolgono il velo ma le ragazze e i ragazzi, le sorelle e fratelli dell’Iran, fanno il “lancio del turbante” come altro gesto di protesta contro il regime teocratico dell’Ayatollah Khamenei.

Quando vedono un religioso camminare per strada, prendono la rincorsa e da dietro gli colpiscono il copricapo facendolo cadere e poi scappano. Quando riescono, riprendono la scena che, come si può ben immagina-re, una volta postata, diventa immediatamente virale sui social.

Anche se non sappiamo cosa succederà, quanto questa marcia verso la libertà riuscirà a proseguire e a resistere all’oppressione, le paure e i desideri delle sorelle di Iran e Afghanistan devono diventare anche le nostre paure e desideri e ci devono spronare a una visione comunitaria di sorellanza/fraternità sovranazionale.

Renata Bedendo