“Donne Chiesa Mondo”, quel posto che chiede valore

03
Ott

Pubblichiamo l’articolo pubblicato su Vatican News il 28 settembre a firma di Marie-Lucile Kubacki (Giornalista, inviata speciale permanente per «La Vie» a Roma)

Sul numero di ottobre del mensile de L’Osservatore Romano, la canonista Myriam Wijlens, membro del Comitato consultivo del Sinodo, parla di responsabilità, funzioni e ruolo della donna nella Chiesa, la quale – dice – “deve occuparsene non per motivi sociologici, ma per la dignità che deriva dal Battesimo”

Myriam Wijlens, olandese, è professoressa ordinaria di diritto canonico presso l’Università di Erfurt, in Germania.

Come ha reagito quando è stata scelta a far parte del comitato consultivo del Sinodo?

Penso sia la prima volta nella storia che una donna faccia parte del comitato consultivo. È accaduto poco dopo che suor Nathalie Becquart è stata nominata sottosegretaria della Segreteria generale del Sinodo. Sono rimasta sorpresa perché io sono una canonista e generalmente noi canonisti non siamo invitati a partecipare sin dall’inizio. Ma immagino la mia nomina sia legata alla mia competenza. Nel 1984, mentre studiavo teologia, ho constatato come il Concilio Vaticano II aveva riscoperto il Battesimo, inserito consapevolmente un capitolo sul popolo di Dio prima della gerarchia nella Lumen gentium e sviluppato la dottrina della collegialità episcopale. Mi sono chiesta: come può una tale dottrina diventare una realtà vissuta? Il Codice di Diritto Canonico era stato appena promulgato e mi sono detta: come può la legge svolgere un ruolo in tutto ciò? Questa domanda mi ha affascinato sin dal tempo dei miei studi di diritto canonico e continua ad affascinarmi tuttora.

La questione del riconoscimento e della responsabilità delle donne è emersa in tutti i rapporti continentali che hanno contribuito alla redazione dell’Instrumentum laboris… Come va interpretato ciò? 

Colpisce che a chiedere una riflessione sul ruolo delle donne non siano solo le donne, ma anche molti giovani uomini. Trovano molto difficile appartenere a una Chiesa in cui le loro amiche donne non vengono valorizzate allo stesso modo e non hanno le stesse possibilità di partecipazione degli uomini. Le sintesi riferiscono che molte più donne che uomini s’impegnano attivamente nella vita della Chiesa, ma non si sentono riconosciute. Inoltre, le religiose non si sentono sufficientemente valorizzate: chiedono che la Chiesa consenta loro di vivere le potenzialità che Dio ha donato loro. Tutte le sintesi sottolineano che la Chiesa deve occuparsi di ciò non per motivi sociologici, ma per la dignità che deriva dal Battesimo. Inoltre, le sintesi rivelano che le donne in situazioni difficili – povertà, madri single, quelle che vivono rapporti poligamici – vogliono che la Chiesa stia al loro fianco e le sostenga.

Si dice spesso che la questione del “posto delle donne” nella Chiesa oggi si sovrappone a quella della vocazione battesimale e della corresponsabilità del laicato come insieme, includendo uomini e donne: condivide questo punto di vista? O ci sono questioni specifiche per le donne?

In linea generale, condivido questo punto di vista. Ma c’è qualcos’altro che vorrei condividere con i vostri lettori. Fino al 1971 i sacerdoti erano giudici nei tribunali matrimoniali, poi questi ultimi sono stati aperti ai laici. Il Codice di Diritto Canonico del 1983 ha consentito anche alle laiche di essere giudici, ma a condizione che il giudice laico (uomo o donna) operasse insieme a due chierici. Un chierico è un diacono, un sacerdote o un vescovo. Nel 2010 Papa Benedetto xvi ha introdotto un cambiamento molto importante nel diritto: ha chiarito che un sacerdote è ordinato in Persona Christi capitis, ma un diacono è ordinato per il ministero. Ne consegue che all’interno della nozione di chierico ci sono diverse tipologie. Il requisito nelle cause matrimoniali rimase ancora che un laico dovesse servire con due chierici, che potevano essere un sacerdote e un diacono, o due sacerdoti o due diaconi. Nel 2015 Papa Francesco ha deciso che il tribunale poteva essere composto da due laici e un chierico. Perciò provate a visualizzare il cambiamento in una foto di gruppo di giudici che dichiarano un matrimonio nullo: fino al 1971 ci sarebbero stati tre sacerdoti, ma oggi forse ci sarebbero due donne e un diacono sposato. Abbiamo una foto di gruppo completamente differente e la domanda è: che cosa è accaduto qui dal punto di vista teologico? I canonisti concordano: ognuno di loro esercita giurisdizione. La mia domanda è: quali potrebbero essere le implicazioni teologiche e canoniche di quel cambiamento per molti altri ambiti nella Chiesa?

Il che significa?

Che ci porta alla questione del ministero nella Chiesa. Fino a poco tempo fa, le donne potevano anche ricevere il ministero di catechista, lettore e accolito. Sono funzioni nel quadro del compito di insegnare e santificare della Chiesa e con i giudici vediamo che le donne possono impegnarsi anche nel governo. Non tutti i ministeri possibili sono vissuti attualmente in tutte le chiese locali e alcuni ministeri che esistevano nel passato oggi non esistono più (pensiamo ai cosiddetti ordini minori). Al momento alcune chiese locali hanno diaconi permanenti, altre no. Ho scoperto che il ministero di catechista è molto sviluppato in Africa e in America Latina, ma non in Europa. È un dato di fatto: le chiese locali hanno bisogni e possibilità diversi in momenti diversi. Con il documento Ministeriam quaedam del 1972 Papa Paolo vi aveva già incoraggiato i vescovi a sviluppare ministeri nelle loro Chiese locali. Perciò possiamo chiederci: quali bisogni hanno le diocesi e quali ministeri possono essere sviluppati anche a livello locale? Alcuni ministeri possono essere sviluppati per un contesto perché sono buoni lì, ma forse non lo sono necessariamente in un altro contesto.

L’attuale sinodo invita a riflettere su queste e su altre questioni in modo sinodale: il vescovo decide cosa è necessario e possibile nella sua diocesi dal punto di vista teologico e pratico dopo aver fatto discernimento insieme con il popolo di Dio.

Parlando di ministeri, affiora anche la questione del diaconato femminile. Come può affrontarla il sinodo?

Non spetta a me, ma al sinodo discernere come rispondere alla questione del diaconato femminile. La richiesta non viene solo dalle donne, ma dall’intera comunità. Dobbiamo però tener conto che il sinodo non è sulle donne e sul diaconato, ma su come la Chiesa s’impegna in questioni come questa, e in tante altre. Chi partecipa alla riflessione, e alla luce di quale tipo di responsabilità? Chi prenderà la decisione e per chi questa è vincolante? Qual è il livello appropriato per prendere decisioni? Quali temi devono essere decisi dalla Chiesa universale, e quali possono essere lasciati a una diocesi o, per esempio, a una conferenza episcopale? Questo è un altro dei temi del sinodo.

Come può la sinodalità essere d’aiuto sulla questione degli abusi nella Chiesa?

Sin dal 2002 ho ricevuto incarichi da vescovi e superiori maggiori di condurre indagini penali preliminari. Ho servito nella Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori dal 2018 al 2022. Una delle questioni più importanti in materia di abusi è quella del dover rendere conto delle proprie azioni. La questione non riguarda solo vescovi, ma anche superiori di istituti religiosi. Come, e dopo aver consultato chi, decidono quando le accuse sono da sottoporre alla loro attenzione? Come decidono di consentire a un giovane di essere ordinato o ammesso in un istituto? Nel mio lavoro molto raramente vedo casi in cui non ci siano già stati segnali di problemi prima dell’ordinazione. Ci sono vescovi che sono stati avvertiti di non ordinare quel candidato o di non accettare una persona da un’altra diocesi e quei moniti sono stati ignorati. Perciò noi non abbiamo bisogno solo di avere procedure per proteggere tutti: le vittime, la comunità, il sacerdote coinvolto e il vescovo stesso, ma abbiamo bisogno anche di modi per essere certi che tali procedure vengano messe in atto. Il dover rendere conto del proprio operato richiede di agire sinodalmente e una Chiesa sinodale deve rendere conto delle proprie azioni, perché il solo ascoltare non è sufficiente. Quindi abbiamo bisogno di un cambiamento di cultura. Non è solo una questione di procedure, è una questione di conversione.

Pubblichiamo l’articolo pubblicato su Vatican News il 28 settembre a firma di Marie-Lucile Kubacki (Giornalista, inviata speciale permanente per «La Vie» a Roma)

Sul numero di ottobre del mensile de L’Osservatore Romano, la canonista Myriam Wijlens, membro del Comitato consultivo del Sinodo, parla di responsabilità, funzioni e ruolo della donna nella Chiesa, la quale – dice – “deve occuparsene non per motivi sociologici, ma per la dignità che deriva dal Battesimo”

Myriam Wijlens, olandese, è professoressa ordinaria di diritto canonico presso l’Università di Erfurt, in Germania.

Come ha reagito quando è stata scelta a far parte del comitato consultivo del Sinodo?

Penso sia la prima volta nella storia che una donna faccia parte del comitato consultivo. È accaduto poco dopo che suor Nathalie Becquart è stata nominata sottosegretaria della Segreteria generale del Sinodo. Sono rimasta sorpresa perché io sono una canonista e generalmente noi canonisti non siamo invitati a partecipare sin dall’inizio. Ma immagino la mia nomina sia legata alla mia competenza. Nel 1984, mentre studiavo teologia, ho constatato come il Concilio Vaticano II aveva riscoperto il Battesimo, inserito consapevolmente un capitolo sul popolo di Dio prima della gerarchia nella Lumen gentium e sviluppato la dottrina della collegialità episcopale. Mi sono chiesta: come può una tale dottrina diventare una realtà vissuta? Il Codice di Diritto Canonico era stato appena promulgato e mi sono detta: come può la legge svolgere un ruolo in tutto ciò? Questa domanda mi ha affascinato sin dal tempo dei miei studi di diritto canonico e continua ad affascinarmi tuttora.

La questione del riconoscimento e della responsabilità delle donne è emersa in tutti i rapporti continentali che hanno contribuito alla redazione dell’Instrumentum laboris… Come va interpretato ciò? 

Colpisce che a chiedere una riflessione sul ruolo delle donne non siano solo le donne, ma anche molti giovani uomini. Trovano molto difficile appartenere a una Chiesa in cui le loro amiche donne non vengono valorizzate allo stesso modo e non hanno le stesse possibilità di partecipazione degli uomini. Le sintesi riferiscono che molte più donne che uomini s’impegnano attivamente nella vita della Chiesa, ma non si sentono riconosciute. Inoltre, le religiose non si sentono sufficientemente valorizzate: chiedono che la Chiesa consenta loro di vivere le potenzialità che Dio ha donato loro. Tutte le sintesi sottolineano che la Chiesa deve occuparsi di ciò non per motivi sociologici, ma per la dignità che deriva dal Battesimo. Inoltre, le sintesi rivelano che le donne in situazioni difficili – povertà, madri single, quelle che vivono rapporti poligamici – vogliono che la Chiesa stia al loro fianco e le sostenga.

Si dice spesso che la questione del “posto delle donne” nella Chiesa oggi si sovrappone a quella della vocazione battesimale e della corresponsabilità del laicato come insieme, includendo uomini e donne: condivide questo punto di vista? O ci sono questioni specifiche per le donne?

In linea generale, condivido questo punto di vista. Ma c’è qualcos’altro che vorrei condividere con i vostri lettori. Fino al 1971 i sacerdoti erano giudici nei tribunali matrimoniali, poi questi ultimi sono stati aperti ai laici. Il Codice di Diritto Canonico del 1983 ha consentito anche alle laiche di essere giudici, ma a condizione che il giudice laico (uomo o donna) operasse insieme a due chierici. Un chierico è un diacono, un sacerdote o un vescovo. Nel 2010 Papa Benedetto xvi ha introdotto un cambiamento molto importante nel diritto: ha chiarito che un sacerdote è ordinato in Persona Christi capitis, ma un diacono è ordinato per il ministero. Ne consegue che all’interno della nozione di chierico ci sono diverse tipologie. Il requisito nelle cause matrimoniali rimase ancora che un laico dovesse servire con due chierici, che potevano essere un sacerdote e un diacono, o due sacerdoti o due diaconi. Nel 2015 Papa Francesco ha deciso che il tribunale poteva essere composto da due laici e un chierico. Perciò provate a visualizzare il cambiamento in una foto di gruppo di giudici che dichiarano un matrimonio nullo: fino al 1971 ci sarebbero stati tre sacerdoti, ma oggi forse ci sarebbero due donne e un diacono sposato. Abbiamo una foto di gruppo completamente differente e la domanda è: che cosa è accaduto qui dal punto di vista teologico? I canonisti concordano: ognuno di loro esercita giurisdizione. La mia domanda è: quali potrebbero essere le implicazioni teologiche e canoniche di quel cambiamento per molti altri ambiti nella Chiesa?

Il che significa?

Che ci porta alla questione del ministero nella Chiesa. Fino a poco tempo fa, le donne potevano anche ricevere il ministero di catechista, lettore e accolito. Sono funzioni nel quadro del compito di insegnare e santificare della Chiesa e con i giudici vediamo che le donne possono impegnarsi anche nel governo. Non tutti i ministeri possibili sono vissuti attualmente in tutte le chiese locali e alcuni ministeri che esistevano nel passato oggi non esistono più (pensiamo ai cosiddetti ordini minori). Al momento alcune chiese locali hanno diaconi permanenti, altre no. Ho scoperto che il ministero di catechista è molto sviluppato in Africa e in America Latina, ma non in Europa. È un dato di fatto: le chiese locali hanno bisogni e possibilità diversi in momenti diversi. Con il documento Ministeriam quaedam del 1972 Papa Paolo vi aveva già incoraggiato i vescovi a sviluppare ministeri nelle loro Chiese locali. Perciò possiamo chiederci: quali bisogni hanno le diocesi e quali ministeri possono essere sviluppati anche a livello locale? Alcuni ministeri possono essere sviluppati per un contesto perché sono buoni lì, ma forse non lo sono necessariamente in un altro contesto.

L’attuale sinodo invita a riflettere su queste e su altre questioni in modo sinodale: il vescovo decide cosa è necessario e possibile nella sua diocesi dal punto di vista teologico e pratico dopo aver fatto discernimento insieme con il popolo di Dio.

Parlando di ministeri, affiora anche la questione del diaconato femminile. Come può affrontarla il sinodo?

Non spetta a me, ma al sinodo discernere come rispondere alla questione del diaconato femminile. La richiesta non viene solo dalle donne, ma dall’intera comunità. Dobbiamo però tener conto che il sinodo non è sulle donne e sul diaconato, ma su come la Chiesa s’impegna in questioni come questa, e in tante altre. Chi partecipa alla riflessione, e alla luce di quale tipo di responsabilità? Chi prenderà la decisione e per chi questa è vincolante? Qual è il livello appropriato per prendere decisioni? Quali temi devono essere decisi dalla Chiesa universale, e quali possono essere lasciati a una diocesi o, per esempio, a una conferenza episcopale? Questo è un altro dei temi del sinodo.

Come può la sinodalità essere d’aiuto sulla questione degli abusi nella Chiesa?

Sin dal 2002 ho ricevuto incarichi da vescovi e superiori maggiori di condurre indagini penali preliminari. Ho servito nella Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori dal 2018 al 2022. Una delle questioni più importanti in materia di abusi è quella del dover rendere conto delle proprie azioni. La questione non riguarda solo vescovi, ma anche superiori di istituti religiosi. Come, e dopo aver consultato chi, decidono quando le accuse sono da sottoporre alla loro attenzione? Come decidono di consentire a un giovane di essere ordinato o ammesso in un istituto? Nel mio lavoro molto raramente vedo casi in cui non ci siano già stati segnali di problemi prima dell’ordinazione. Ci sono vescovi che sono stati avvertiti di non ordinare quel candidato o di non accettare una persona da un’altra diocesi e quei moniti sono stati ignorati. Perciò noi non abbiamo bisogno solo di avere procedure per proteggere tutti: le vittime, la comunità, il sacerdote coinvolto e il vescovo stesso, ma abbiamo bisogno anche di modi per essere certi che tali procedure vengano messe in atto. Il dover rendere conto del proprio operato richiede di agire sinodalmente e una Chiesa sinodale deve rendere conto delle proprie azioni, perché il solo ascoltare non è sufficiente. Quindi abbiamo bisogno di un cambiamento di cultura. Non è solo una questione di procedure, è una questione di conversione.

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