Al capitolo 13 del suo Vangelo, Matteo parlando del Regno di Dio e a che cosa assomigli, racconta tre parabole che riguardano tre possibili tentazioni per la comunità per la quale stava scrivendo, ma che sono sicuramente tali anche per le nostre comunità: la tentazione della “grandezza” per la quale Gesù fa riferimento al granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, che può però diventare un albero in grado di dare sostegno e sicurezza; la tentazione dello “scoraggiamento” con la narrazione della donna che, mescolando poco lievito a un’enorme quantità di farina, la fa tutta lievitare e la parabola del grano e della zizzania per far riflettere sulla tentazione di credersi comunità di “eletti”, di “buoni” che porta ad agire, di conseguenza, contro gli “altri”.
È proprio questa parabola che papa Francesco ha scelto di usare nell’Enciclica Evangelii Gaudium per descrivere il primo dei “quattro principi relazionati a tensioni bipolari propri di ogni realtà sociale”: il tempo è superiore allo spazio (225).
Nella parabola, il Regno di Dio è paragonato a “un uomo che ha seminato del buon grano nel suo campo” ed è quindi alle azioni, alle parole e alle scelte di quell’uomo che dobbiamo guardare e prestare attenzione, per cogliere un aspetto del Regno e del volto del Dio di Gesù.
Già l’inizio della parabola afferma qualcosa di importante e da non dimenticare: il mondo in cui viviamo è seminato “a buon grano”; Gesù lo dice con estrema semplicità e chiarezza, quasi a rammentarci che questo deve essere il punto di partenza per ogni nostra riflessione sul mondo e sulla storia in cui siamo inseriti.
A guardarci intorno, saremmo più propensi a credere che il male sovrasta il bene, ma forse non riusciamo a guardare con attenzione, a cogliere l’essenziale, a non fermarci all’apparenza. Ci riesce difficile cercare di guardare in profondità e credere con fiducia che, poiché il Signore ha seminato del “buon grano”, nel mondo il bene cresce! Certo questo non vuol dire dimenticare che cresce anche il frutto dell’opera del male che può rischiare, a volte, di soffocare il grano, il bene; però spesso, anche noi come quei servi, osiamo mettere in dubbio la “bontà” dell’azione di Dio: “Signore non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”.
Da dove viene il male che occupa “lo spazio” del bene? Questa domanda, che interpellava la prima comunità cristiana, di fronte all’odio e alle persecuzioni, è attuale anche oggi – e in ogni tempo – perché sempre, l’umanità e ogni essere umano, devono fare i conti con il male, l’odio e l’intolleranza che vediamo in tante parti del mondo (e dentro di noi) occupare lo spazio del bene e della vita, a volte anche in modo “fisico”, basta pensare a tutti i “muri” già esistenti nella nostra terra e al desiderio di costruirne di nuovi.
Se Dio è “buono”, da dove viene il male? Anche su questo la parabola è molto chiara: il male non viene da Dio, non fa mai parte dei suoi progetti. Spesso, prende lo spazio quando noi “dormiamo”, quando siamo disattenti o indifferenti. Quando pensiamo che non ci riguardi quello che accade, quando giriamo lo sguardo da un’altra parte e lasciamo che il male attecchisca nel “campo”.
Così il bene e il male crescono assieme e si fa fatica a distinguerli; ce ne accorgiamo quando la realtà si gonfia, si allarga, prende spazio… quando cresciamo. È necessario “crescere” per distinguere il grano dalla zizzania! E invece, dopo aver messo in dubbio la predominanza del bene, la tentazione è quella di “agire” tempestivamente per eliminare ed estirpare ciò che, per noi, è problema.
I servi, che sembrano voler insegnare al padrone cosa fare, sostituirsi a Dio, diventando dei “fustigatori”, volendo far “pulizia”, togliendo la “zizzania”, costi quel che costi, probabilmente accolgono con fastidio e poca comprensione il rifiuto del padrone all’azione “purificatrice”.
Penso questo sia uno dei grandi insegnamenti della parabola: “osare” un nuovo sguardo, lo sguardo del seminatore, di colui che è “immagine” del Regno. Egli guarda il campo e vede soprattutto il buon grano; non vuole correre il rischio che nemmeno un “filo” di quel bene vada “perduto” perché strappato per togliere la zizzania. Bene e male sono di fatto coesistenti e così intrecciati nel corso della storia umana e nella vita di ciascuno di noi, che quasi sempre è impossibile separarli nettamente.
Ciò che indica la parabola è “lo sguardo” del Signore, uno sguardo di pazienza, di tolleranza, di fiducia. Invece a noi l’attesa dà fastidio, pesa, disturba, è difficile da accettare; e proprio per questo ci interpella in prima persona nel riconoscere la nostra fatica di stare davanti all’odio e alla cattiveria, senza diventare cattivi.
“Lasciate che crescano insieme…”. Ci sembra quasi una “resa” al male e non ci accorgiamo che questa è invece, anche per noi, un’opportunità; è uno sguardo che è colmo di speranza, di fiducia: lasciate che crescano assieme, fuori, ma anche dentro di noi. Anche a noi il Signore chiede pazienza, chiede – come richiama la parola stessa – il patire, ma anche l’apertura dell’attesa. Pazientare è attendere, magari con fatica e sofferenza, ma osando credere che Dio interviene e il male avrà fine.
Dobbiamo conquistare lo sguardo di Dio anche verso noi stessi, per scoprire prima di tutto quello che dentro di noi è buon grano e, senza paura dello spazio che può avere la zizzania, ricordare che siamo “immagine di Dio”, che il tempo porta verso la nostra maturazione, che siamo “creati” per portare frutto.
“La parabola descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo” (Francesco).
“Il regno di Dio è simile ad un uomo”… alla sua azione e al suo sguardo, che sa guardare con infinita pazienza al mondo e al cuore di ciascuno di noi, vedendo e patendo sicuramente tutto il male e la sofferenza, ma fissando lo sguardo soprattutto sui semi di vita e di bene, attendendo con fiducia che essi maturino.
Donatella Mottin