Corridoi umanitari prospettive e disegni dalle frontiere

19
Ott

È il 15 giugno: mentre noi diamo vita a questa conferenza particolare, promossa da CDS Presenza Donna, Migrantes, Chiesa Evangelico-Metodista, Centro Astalli di Vicenza, ottanta persone in Libano stanno salutando gli amici e i parenti del campo dei profughi siriani: c’è una festa della partenza, e Francesco Piobbichi ci mostra il video arrivato via wathsapp dei bambini che danno gli ultimi calci al pallone con gli amici che saluteranno di lì a poco. Commosso, ci dice che voleranno di notte e in mattinata saranno a Fiumicino, dove troveranno ad attenderli gli operatori del progetto Mediterranean Hope e altri rifugiati siriani, con dei messaggi di benvenuto. Welcome: benvenuto. Welcome: benvenuti. Welcome.

È il miracolo dei corridoi umanitari: si parte dopo un’attenta analisi fatta in loco dagli operatori del progetto, la selezione delle persone che sono maggiormente in situazione di fragilità (bambini malati, famiglie), l’inoltro delle richieste dei visti all’ambasciata, e quindi il viaggio: in sicurezza. Guardano il Mediterraneo dal finestrino dell’aereo, e sembra impossibile che quel mare sia così pericoloso.

Ma i corridoi umanitari sono davvero dei “miracoli”? O non sono invece una soluzione legale, intelligente, lungimirante rispetto al futuro dell’Europa, una soluzione legittima e rispettosa dei diritti umani e del diritto internazionale al problema dei profughi?

Per Francesco Piobbichi, operatore del progetto Mediterranean Hope, ideato dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese e Comunità di sant’Egidio, la risposta è semplice: i corridoi umanitari sono la possibilità della risposta civile e solidale alla problematica dei rifugiati. La quale caratterizza il nostro tempo, questo nostro periodo storico dominato dalla globalizzazione che, se da un lato annulla le distanze geografiche per le merci e il mercato, dall’altra le amplia e le rende insormontabili per le persone. È un fenomeno che coinvolge e coinvolgerà l’Europa anche nei prossimi anni, come coinvolge molti Paesi del sud del mondo, un fenomeno alquanto complesso, in cui la distinzione tra i migranti economici e i profughi che fuggono dalla guerra diventa sempre più difficile da individuare. Come dire che un profugo climatico, che deve scappare dalla povertà dovuta alla desertificazione del territorio o dall’inquinamento provocato dai rifiuti tossici, e un profugo per motivi economici intrecciati a quelli militari, hanno dei diritti diversi di cercare un luogo dove poter vivere dignitosamente e in pace?

Sono domande che attraversano anche il pubblico che partecipa alla conferenza, tra cui molti operatori che lavorano con i migranti e i profughi e che ascoltano con attenzione questa accorata comunicazione, come la definisce Andrea Frison, simpatico giornalista della Voce dei Berici e moderatore dell’incontro. Accorata e a tratti commovente nella sua lucidità di analisi e nel racconto di come si svolgono le procedure per assegnare alle persone uno dei 500 visti previsti dall’accordo con la Farnesina e il Viminale. Solo 500 visti… e 1.200.000 profughi siriani in Libano, accanto ai 500.000 profughi palestinesi. Su una popolazione di 4 milioni di abitanti, nel piccolo Libano ci sono 1.700.000 profughi. E sono 500 i visti che si possono assegnare con il progetto Mediterranean Hope. Quale senso può avere questa goccia di visti previsti per il corridoio umanitario nel mare dei milioni di profughi che stanno cercando di raggiungere terre sicure?

È ciò che si chiede il pubblico, è ciò che Francesco Piobbichi si chiede da quando ha iniziato questo lavoro alle dipendenze della FCEI, sempre in viaggio tra Lampedusa e il Libano, con il cuore stretto dalle centinaia di volti sofferenti che incontra, dai corpi dei senza vita che arrivano sui barconi a Lampedusa, dal senso di impotenza che attanaglia rispetto alle modalità di “accoglienza” che vengono messe in atto per chi arriva tra atroci sofferenze e si trova davanti al “palcoscenico dell’emergenza” fatta di tute bianche, mascherine anti contagio (presunto), ammassamenti sui moli, trasporti su pullman di notte, verso non si sa dove… NOT WELCOME, sembrano dire queste azioni che spesso sono volute da qualcuno per far crescere il senso dell’invasione, dell’emergenza ingestibile: per far costruire muri.

500 persone giungono in sicurezza: 500 visti. Altri 500 per l’anno prossimo. E poi il progetto si chiude. Ma è un segno: il segno che è possibile attivare i corridoi umanitari, è possibile far arrivare in sicurezza i profughi, è possibile debellare la tratta degli esseri umani, togliendo il denaro che muove i trafficanti di persone a inventare sempre nuove rotte di illegalità.

“E se ce la fanno quattro italiani – dice Francesco – volete che non sia possibile farlo per i governi europei? È possibilissimo. Il nostro progetto prevede lo stanziamento di 2,5 milioni di euro: per tutto il lavoro di selezione delle persone, il viaggio, il percorso di integrazione di sei mesi, accompagnati da operatori e volontari. Sapete quale contributo ha dato l’Unione Europea alla Turchia di Erdogan per fermare il flusso dei migranti? 6 miliardi di euro. Con questi fondi si potrebbero far arrivare in sicurezza, sia per i migranti che per i paesi europei di accoglienza, 3 milioni di profughi. La forza del nostro progetto è l’esempio: la società civile apre una via che può essere fatta propria dai governi”.

Proporre conferenze, riflessioni, la conoscenza di questi progetti in occasione della giornata mondiale del rifugiato o in altre occasioni significa proporre ai governi degli Stati e delle città che la solidarietà è più lungimirante della chiusura e della paura, che la solidarietà nella legalità permette un futuro migliore a tutti i cittadini. Monica Mazzucato, della Comunità di sant’Egidio di Padova, ribadisce e sostiene il pensiero di Piobbichi, in una sinergia che Andrea Frison collega e amplifica ricordando come da quindici anni sia proposta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite la giornata mondiale del rifugiato, ma come sia soltanto negli ultimi cinque anni che essa interroga così da vicino l’Europa e l’Italia, tanto da dar vita a numerosi appuntamenti in tutto il territorio nazionale e provinciale, oltre che in diverse parti della diocesi di Vicenza, soprattutto dove è stato accolto l’appello di papa Francesco, mediato dal vescovo Beniamino, di accogliere i rifugiati in strutture delle parrocchie.

Certamente il progetto dei corridoi umanitari nasce anche dall’ascolto delle storie e delle vite dei rifugiati, afferma la rappresentante di sant’Egidio, quell’ascolto che papa Francesco ha messo in atto nella sua visita a Lesbo il 16 aprile insieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e all’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos. Insieme, hanno firmato nel campo profughi di Moria una dichiarazione congiunta: “la tragedia della migrazione e del dislocamento forzati” richiede “una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse. Da Lesbo facciamo appello alla comunità internazionale perché risponda con coraggio, affrontando questa enorme crisi umanitaria” e le sue cause con “iniziative diplomatiche, politiche e caritative e attraverso sforzi congiunti, sia in Medio Oriente sia in Europa”.

E tornando da Lesbo Papa Francesco ha portato nello Stato del Vaticano dodici profughi di religione islamica, attraverso il corridoio umanitario: un progetto che, sostiene Mazzucato, può diventare di esempio per altri Stati e altri Paesi: creando sinergie tra società civile e istituzioni, unendo solidarietà e sicurezza, operando per la vera integrazione reciproca, senza bisogno di legislazioni di emergenza ma facendo riferimento a normative vigenti.

I corridoi umanitari sono una concreta risposta al tema dei rifugiati, per la linearità dei percorsi che permettono di attuare, per la vera prospettiva di futuro che delineano, disegnando dalle frontiere un possibile nuovo mondo: di pace, di giustizia, di uguaglianza.

Seguendo la mostra dei disegni di Francesco Piobbichi che viene inaugurata alla fine della conferenza, attraversiamo anche noi il mare monstrum, ci fermiamo dietro ai muri dell’indifferenza, ci sentiamo sollevare sulla barca da quelle mani forti dell’unico Dio che ci guida a disegnare sul mare strade di vita.

Sr. Federica Cacciavillani

 

DISEGNI DALLA FRONTIERA

 

“La frontiera è un luogo che, a lungo andare, ti toglie la sensibilità: i disegni mi permettono di raccontare le storie, di non perdere la mia umanità, di non assuefarmi alla tragedia, al dolore degli altri. Uno dei primi disegni che ho fatto è il “Cimitero dell’indifferenza”. In questo disegno ci sono due movimenti: uno è quello della perdita di colore delle barche, perché sott’acqua i colori si perdono, tutto diventa blu, e la perdita di colore delle barche è la perdita delle storie delle persone che non ce l’hanno fatta a raggiungere la terraferma. Il secondo movimento è quello del non vedere ciò che c’è sotto la superficie del mare, quell’enormità di barche e di vite perdute, più di 30 mila persone fino ad oggi sono morte in mare, nel deserto dell’umanità”.

“Racconto la frontiera con tante storie, perché vorrei restituire a queste persone la dignità: a Lampedusa si possono percepire le storie e le vite di dignità da restituire, rispetto alla narrazione tossica che sentiamo in TV su quest’isola! Sono disegni che mi permettono di continuare a fare questo lavoro, e questa mostra è una parte di me, che mi dà la possibilità di comunicare a tutti voi la frontiera”.

Dalla presentazione della mostra “Disegni dalla frontiera” di Francesco Piobbichi

 

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