Coronavirus in Brasile: notizie da Roraima

29
Lug

Il 2020 sembrerebbe essere l’anno del coronavirus: non c’è angolo del pianeta che non ne sia stato toccato. Alcuni paesi hanno scelto e confermato una politica opposta al confinamento, come sono stati i mesi da marzo a maggio in Italia. Tra questi stati, purtroppo, c’è anche il grandissimo e popoloso Brasile. Ripetuti interventi della Conferenza Episcopale Brasiliana non sono serviti, almeno per ora, a far cambiare idea all’attuale governo. Nonostante questo, 152 vescovi brasiliani hanno firmato una lettera rivolta al popolo di Dio e pubblicata domenica 26 luglio 2020 dal quotidiano A Folha de São Paulo. Qui l’articolo di Avvenire a firma di Lucia Capuzzi.

La congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria ha due comunità in Brasile, a Volta Redonda vicino a Rio de Janeiro e a Roraima, in Amazzonia.

Abbiamo chiesto alla comunità dell’Amazzonia di raccontare cosa stanno vedendo e come stanno cercando di affrontare la pandemia. (clicca qui per l’articolo in portoghese)

In questo tempo l’argomento principale in molti articoli e discorsi è il dilagare del coronavirus e le modalità di gestione più adeguate per arginare la presente pandemia. Anche il Brasile non è esente da questa calamità ed è sotto gli occhi di tutti che la situazione in questo paese è molto difficile. Noi, come comunità di suore Orsoline da alcuni anni, in collaborazione con la diocesi di Vicenza, siamo impegnate nella periferia di Boa Vista capitale dello stato di Roraima, a servizio di questa chiesa localizzata nella regione Amazzonica.

Per comprendere questa realtà geografica, dobbiamo sempre tener presenti le grandi distanze che si devono affrontare per ogni situazione di vita. Se in Europa è diverso vivere in città o nei paesi di montagna per la differenza di possibilità nell’accedere ai vari servizi sociali e sanitari, immaginate quali potrebbero essere le difficoltà in luoghi dove le distanze sono immense, e dove si devono percorrere 50-100 km per andare da un centro abitato all’altro. Questo crea grandi disagi relativamente all’educazione (accesso alla scuola), alla sanità (accesso ai servizi sanitari) e a tutte le attività sociali, culturali e politiche.

In questo tempo inoltre, con il diffondersi del contagio, qui in Brasile si è constatato con più forza la grande quantità di preoccupazioni che questo paese deve affrontare: problemi di gestione, problemi di strutture inadeguate, problemi di grande squilibrio economico-sociale. Il tutto aggravato per una non adeguata gestione sanitaria: infatti pur conoscendo la drammatica esperienza europea, non sono stati presi seri provvedimenti per affrontare la pandemia collocando, da parte del governo centrale, in primo piano gli interessi economici dello Stato e non il bene della popolazione. Il presidente ha tentato in tutti i modi per evitare che il Brasile fosse isolato asserendo la grave situazione economica che moltissima parte della popolazione avrebbe dovuto affrontare se si dichiarava il lockdown.

La sensazione comune che il popolo ha vissuto è stata di abbandono da parte delle autorità civili: un esempio chiarificatore, il fatto che in piena pandemia, in pochi mesi, il governo ha cambiato 3 o 4 volte il ministro della salute e l’attuale, un generale dell’esercito, che secondo l’opinione pubblica, non ha nessuna competenza in gestione sanitaria. Altro elemento importante la non chiarezza su quali siano le indicazioni adeguate per affrontare il contagio del coronavirus, il continuo cambiamento di indicazioni provenienti dal ministero della Salute, dalla presidenza del paese e dai vari sindaci delle capitali degli stati, spesso contraddittorie fra di loro. In questi giorni, nonostante l’aumentare del numero di casi e di decessi, i vari governi degli Stati che compongono il Brasile, fra cui Roraima, hanno deliberato di riaprire le attività commerciali per poter tornare alla così chiamata “nuova normalità apparente”. Il nostro stato risulta essere quello con minor numero di casi di contaminazione e di morti per Coronavirus, ma dobbiamo considerare il fatto che qui non ci sono test sufficienti per diagnosticare l’infezione e inoltre è stato comprovato che molti test presenti nel territorio risultano contenere reagenti alterati. Da tutto questo di deduce un desiderio di coprire o distorcere la realtà da parte delle autorità locali.

Le maggiori preoccupazioni sono vissute dai i popoli indigeni, dai riberinhos (pescatori) e dai camponeses (contadini) che vivono in zone isolate o semi isolate e che, per decreto presidenziale, attualmente non ricevevano aiuti sanitari e economici adeguati provocando così un grande rischio di mortalità fra quella popolazione, le quali a causa delle grandi distanze non possono accedere ai servizi sanitari presenti solamente nella capitale per abitare in comunità che possono essere raggiunte solamente con l’aereo o navigando con il barco per vari giorni lungo il fiume Rio Branco e affluenti.

Come abbiamo reagito come Chiesa di Roraima?

Il primo e importante passo è stato quello di coscentizzarci per aiutare la popolazione a coscientizzarsi adeguatamente, spiegando l’importanza di non sottovalutare la gravita della pandemia, nonostante l’atteggiamento indifferente e minimista assunto dal presidente il quale sottovalutava e sottovaluta la situazione esistente.

Per affrontare la pandemia molti governi statali, hanno decretato la chiusura delle attività scolastiche e di molte attività commerciali. Purtroppo questo ha avuto come conseguenza negativa una situazione di emergenza alimentare dovuta al fatto che molte famiglie, soprattutto le più indigenti, non avevano i mezzi per assicurarsi gli alimenti di prima necessità. Ricordiamo a questo proposito, che moltissimi cittadini vivono di piccoli espedienti o di lavori a breve termine. Come Chiesa diocesana si è provveduto a creare una rete di solidarietà fra le parrocchie del centro, le aree missionarie e la Caritas Nazionale per poter raccogliere alimenti e kit di igiene da offrire alle famiglie più povere. A questa azione di solidarietà hanno aderito molti donatori riuscendo così ad assicurare per qualche mese il sostentamento di molte famiglie povere e che vivono isolate nell’interno del territorio roraimense, o che sono migranti in Roraima come i numerosi venezuelani che stanno scappando dalla fame presente in Venezuela. Con una fitta rete di distribuzione, è stato possibile visitare e aiutare molti di questi nuclei famigliari in modo abbastanza sistematico.

Si è provveduto al confezionamento di mascherine lavabili da offrire alle famiglie e, nel consegnarle, insegnare le giuste misure precauzioni nelle relazioni interpersonali come il mantenere le distanze per evitare il diffondersi del contagio, evitare abbracci, baci, e cosa fare difronte ai primi sintomi dell’infezione.

Dal punto di vista sanitario tutti viviamo la precarietà e l’insicurezza dovuta alla mancanza di medicinali adeguati o di strutture sanitarie insufficienti presenti nel nostro territorio che può avvalersi di un unico ospedale attrezzato [nelle foto si vede quando si è allegato per le piogge], localizzato nella capitale Boa Vista, una unica maternità e un unico ospedale pediatrico. A questo si associano altri grandi problemi come il non aver assicurata l’acqua potabile (manca l’acqua molte volte e in molti bairro) per tutta la popolazione, e di consequenza non poter effettuare l’igiene base necessaria. Manca una adeguata la rete fognaria e questo crea non pochi problemi igienici.

Se corrisponde a verità il fatto che la situazione della risposta sanitaria è precaria in tutto il  livello nazionale,  nella zona amazzonica e in Roraima, la situazione peggiore a causa delle enormi distanze che esistono fra i posti medici e paesetti sparsi nel grande territorio del nostro stato. Un esempio: per andare a Mucajaí che è la il primo centro che si incontra lungo la strada statale dopo la capitale Boa Vista, si  devono percorrrere 50 km in mezzo al lavrado, senza case o centri abitat. Se una persona si ammala e non ha mezzi di conduzione (molti hanno appena una bicicletta) è difficile accedere all’ospedale centrale. Altro esempio: fra la cittadina di Caracarai, che dista 150 km dalla capitale, e l’ultima comunità della diocesi di Roraima sono necessari 6 o 7 giorni di navigazione sul fiume Rio Branco, e non ci sono strade che collegano questo posti abitati con i paesetti o con la capitale dove si incontra l’unico ospedale attrezzato di tutto lo stato.

Come Chiesa diocesana, oltre alla distribuzione di generi alimentari, prima doverosa attenzione per le famiglie più povere, si sono procurate altre modalità per essere accanto alla gente e rinnovare la fede e la speranza. Attraverso i mezzi di comunicazione si trasmettevano le celebrazioni eucaristiche celebrate dal vescovo o dai sacerdoti della diocesi, alle quali moltissimi fedeli si collegavano, sia nei giorni feriali sia domenicali o in occasione delle grandi feste liturgiche come la Pasqua, Pentecoste, o la festa del Corpus Domini.

Spontaneamente nelle varie comunità sono stati  realizzati di momenti di preghiera con la partecipazione via WhatsApp di piccoli gruppi di fedeli che si riunivano per la recita del rosario. La diocesi ha curato la preparazione di molti schemi di preghiera o di celebrazioni della Parola da celebrare in famiglia, per aiutare le famiglie a pregare insieme. Molti hanno e riscoperto la forza dell’unità famigliare e della preghiera, e vivendo concretamente la realtà di chiesa domestica come era testimoniata dai primi cristiani nel tempo delle origini.

Attualmente stiamo vivendo la fase del “ritorno alla nuova normalità”. Come Chiesa diocesana, continueremo con la prudenza di sempre, mantenendo le distanze e evitando inutili rischi per la popolazione. Siamo fiduciosi nella capacità di corresponsabilità del popolo, continuando a lavorare per il bene di tutti, in particolare dei più poveri e indifesi.

sr. Antonia Storti

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