La storia del pastorato femminile ripercorsa nella testimonianza della pastora della chiesa valdese di Milano
Ho spesso pensato di poter esercitare con coraggio, nella chiesa valdese, il ministero pastorale anche grazie al legame, forte, indissolubile, simbolico, con le donne del movimento valdese che già intorno al 1170 avevano trovato la possibilità di dire Dio. Quelle donne che si spostavano, come libere signore, passando da un territorio ad un altro, valicando confini, donne che immagino si sentissero piene di quella forza che riconducevano alle parole di Gesù Cristo. Traevano la propria legittimazione direttamente da Dio, una legittimazione che permetteva loro di compiere cose coraggiose, inaudite e impensabili: insegnare e “offrire il corpo di Cristo” celebrando la divisione del pane e del vino o predicando, così come ci viene detto dagli atti dell’inquisizione di Carcassonne. Quelle donne, che in alcuni casi vivevano insieme, avevano accesso ai testi biblici nella lingua madre e contribuivano alla formazione dei barba, così chiamavano i pastori, e potevano spendere nella propria vita la passione per la teologia, sono le madri a cui riconduco quell’orizzonte di possibilità nel lavoro pastorale che è stato aperto per noi che siamo arrivate in seguito. Anche se la loro presenza riconosciuta è stata breve e il silenzio è presto calato sulle loro esistenze quando il movimento valdese si preparava a diventare chiesa organizzata, durante la riforma protestante del ‘500, senza quel seme lasciato a riposare nelle pieghe della storia con ogni probabilità la decisione sinodale del 1962 che apriva il pastorato alle donne sarebbe giunta ancora più tardi.
Le pastore hanno avuto bisogno di grandi narrazioni a cui rifarsi, narrazioni che potevano legittimare il loro modo di essere presenti nella chiesa, quando non volevano limitarsi a replicare il ruolo pastorale tradizionale; alla base di queste, differenziate, narrazioni sta il desiderio di rintracciare una genealogia femminile alla quale legarsi.
Per anni hanno rincorso le donne presenti nella bibbia, le prime predicatrici nelle chiese protestanti, le studiose della bibbia di fine ‘800 di Seneca Falls che hanno scritto The Woman’s Bible, La Bibbia delle donne, il primo commentario che prendeva in esame tutti i brani biblici nei quali comparivano le donne scoprendo che non era Dio che le aveva sottomesse piuttosto erano gli uomini e le culture da loro create ad averle emarginate. È stato importante anche l’incontro con le teologhe femministe del nord e del sud del mondo che hanno trasformato il linguaggio usato nelle chiese, aperto spazi anche creativi di ministeri basati sulla solidarietà e la fedeltà al Vangelo.
Le pastore, così come le prime valdesi, hanno aperto nuovi orizzonti simbolici per tutte le donne ma anche per gli uomini con i quali è stato possibile costruire una necessaria amicizia. “Quando gli esseri umani vanno verso l’altro o l’altra, intrecciando tra di loro relazioni basate non sulla prevaricazione bensì sul servizio, diventano immagine dell’agire di Dio nel mondo” ci dice la teologa Elizabeth Green. Questo è il compito di tutti e tutte le credenti in fondo, far vedere la trasformazione che la fede ha regalato alla nostra vita. Una fede che ci permette di vedere il mondo con coraggio e come un luogo accogliente anche in presenza della contraddizione della guerra; che ci permette di avere fiducia, infinita e incondizionata, con chi ha scelto il margine come luogo di azione guarendo la donna dal flusso di sangue o dicendo a Maria che lei, che aveva abbandonato gli stereotipi femminili, sedendosi per terra come gli aspiranti rabbini, aveva fatto la scelta giusta. La forza delle donne è tutta qui: nella consapevolezza di essere incarnazione di Dio; co-creatrici di un mondo da abitare con amore e forza, con passione e desiderio, con attenzione e giustizia, con creatività e immaginazione.
Il mondo è dunque creato anche dalle donne, che sono simili a Dio. Questa continua creazione si realizza in ogni momento in cui si sforzano di vivere cercando di incarnare quell’amore e quell’attenzione nella quale sono state a loro volta accolte.
Oggi la terra è piena di donne coraggiose pronte a salvare il mondo. Anzi, oggi le donne sono pronte a dire il loro punto di vista sul mondo, sulla politica, sulla teologia, sull’ecologia, sull’economia e lo dicono a partire da sé, ed è questo che fa la differenza con il pensiero maschile. Le donne rappresentano la parte profetica del mondo, perché là dove offrono parole e gesti di speranza nelle scuole, nelle fabbriche, negli uffici, nei tribunali, nelle chiese, nelle università, negli ospedali, il mondo si trasforma e le acque amare diventano dolci, e il deserto diventa prato, e la disperazione diventa orizzonte di possibilità, e la rivoluzione accade.
Ci vogliono la profezia e le visioni delle donne e soprattutto il loro legame con le donne venute al mondo anni e secoli fa, che hanno portato frammenti di libertà e coraggio senza mai piegarsi all’inquietudine dei risultati e rimanendo testimoni dei loro desideri.
Pastora Daniela Di Carlo