Conversione pastorale, il sogno di papa Francesco

01
Ott

La riflessione di un vescovo… amazzonico

L’esperienza del sinodo per l’Amazzonia ha sicuramente fatto muovere alcuni “muscoli” che il corpo mistico di Cristo probabilmente non aveva mai usato e che, naturalmente, quando si cominciano a muovere, “squilibrano” lo stesso corpo. E quando si parla di equilibri, soprattutto nell’ambito dei rapporti tra Chiesa e società, è più facile cadere nella tentazione di pensare a “manovre” per ottenere un più vasto consenso senza deludere nessuno, piuttosto che ad un modo per dar spazio alla dimensione profetica che prepara all’autenticità. Non sono parole qualsiasi, soprattutto considerando che la preoccupazione di papa Francesco sembra essere quella di ridare un volto più umano alla Chiesa. Non sono poche le situazioni in cui essa, lungo i secoli, ha ceduto alle malie di una visione piuttosto mondana della sua missione, dimenticando il grido dei popoli oppressi. Possiamo chiederci allora: come la Chiesa potrà recuperare la sua essenza più autentica di annunciatrice e testimone della Parola che libera il mondo e l’umanità dal baratro dell’insignificanza e del vuoto di senso in cui sembrano essere caduti irrimediabilmente?

La drammaticità della pandemia del Covid-19 pone davanti a noi cristiani, discepoli e discepole del Risorto, una grande sfida e una missione ben precisa: metterci ai piedi di questa umanità ferita e stanca e ascoltare il suo cuore in silenzio e umiltà. Credo sia il presupposto fondamentale per imparare ad amarla come l’ama Dio stesso: si ama solo ciò che si conosce e per conoscere è necessario ascoltare.

Ci hanno impressionato molto le chiese vuote, l’impossibilità di incontrarci, la fatica di non poter accedere ai sacramenti, come pure vedere quanto siano cambiate le nostre agende personali e comunitarie. Ma in particolare una cosa ci ha lasciati senza parole: il virus ci ha ricordato che non siamo creatori, ma creature. Sento in questo molta sintonia con lo spirito del sinodo per l’Amazzonia, principalmente quando Francesco ci invita a coltivare senza sradicare, a prenderci cura delle radici. E per radici si intende la terra, i modi di vita, le culture, le lingue e la spiritualità. Sicuramente l’invito è rivolto a tutti, ma in particolare ai giovani, chiamati a bere alle fonti della tradizione, gli anziani, ascoltare per riconoscere la saggezza e i valori di cui sono portatori. La Chiesa vuole mettersi a servizio di questo recupero culturale per contribuire alla costruzione di una nuova umanità. Il rinnovamento, a cui l’esortazione ci invita, è un cammino spirituale. La Querida Amazônia parla dell’Amazzonia come di un luogo teologico dove Dio si manifesta ai suoi figli e figlie di diverse spiritualità (con i loro miti, riti, simboli ecc.) attraverso Cristo risuscitato, presente in ogni cosa. In comunione con tutti i popoli della terra accettiamo, dunque, l’appello che papa Francesco ci rivolge: imparare a contemplare l’Amazzonia, sentendoci uniti ad essa, amandola sino al dono totale di sé.

Tra le innumerevoli inquietudini, due in particolare diventano tema di un nuovo dibattito planetario: il binomio “economia-ecologia”, che riguarda il presente e il futuro del cammino e delle sorti della famiglia umana; e il tema della conversione/rinnovamento della pastorale alla luce del sinodo e della pandemia. In questo mi pare che ci sia la possibilità di riconoscere come la realtà amazzonica, con le sue ricchezze e le sue sfide, possa diventare motivo di una grande opportunità di conversione personale, sociale ed ecclesiale.

Se sappiamo riconoscere le grandi possibilità di imparare, di aprirsi al “nuovo”, attraverso le modalità con cui le persone si organizzano cercando un’economia sostenibile per la società in generale, è possibile difendere le nostre culture e tradizioni esprimendo il nostro credo e la nostra spiritualità.

Quello che più ci preoccupa è l’attaccamento esacerbato ai grandi progetti di sviluppo nazionali e internazionali che purtroppo hanno come unico obiettivo lo sfruttamento di questo grande bacino di risorse, per goderne della ricchezza privando spesso le popolazioni native della loro casa, del loro habitat originario. Queste grandi sfide sono molto forti e si rivelano in varie modalità. Tutta la Chiesa in Amazzonia, in Brasile, anzi, nel mondo intero, dovrebbe sentirsi interpellata a conoscere questa parte importante della nostra casa comune. Lo scopo è farla diventare un paradigma per la promozione di un’evangelizzazione che abbia a cuore il bene e lo sviluppo integrale di tutti i popoli, affinché tutti abbiano vita e vita piena. Questa è la sfida accolta dal sinodo dell’Amazzonia, dove la Chiesa ha compiuto un grande passo testimoniando la sua solidarietà con i popoli indigeni, riconoscendo in essi il volto di Gesù crocifisso, camminando con loro per poter costruire mezzi e modi per rialzarsi e proseguire la lotta per la vita di tutto il pianeta.

È chiaro che stiamo parlando di una sfida che interpella tutta la Chiesa. Ogni battezzato è chiamato secondo la sua identità specifica e il suo carisma a vivere nell’unità. Al momento attuale continuiamo a sentire come tutta l’azione pastorale della Chiesa di oggi sia incentrata soprattutto sulla propria “manutenzione” anziché sulla missione evangelica, la quale chiede invece alla Chiesa di uscire da se stessa per andare incontro al mondo ed esserne così “sale e lievito” della terra.

Per uscire da questa impasse papa Francesco rinnova la sua speranza perché si lavori sempre più alacremente per una Chiesa che ponga il cuore di tutto il suo rinnovamento nell’amore autentico e concreto verso tutti soprattutto verso i poveri, gli ultimi, i lontani; la comunità diventi “casa”, luogo teologico di relazioni autentiche trasformate alla luce di una relazione sempre più intima, profonda e matura con Gesù Cristo; la Chiesa non abbia i ritmi delle conquiste dei numeri, ma il ritmo dell’amore di chi semina, semina e sa aspettare con pazienza e misericordia. I ritmi della natura e dei popoli della foresta ci invitano all’ascolto, al recupero di dinamiche più autenticamente umane che allo stesso tempo sono anche divine. Il cuore della Madre Terra batte all’unisono col cuore di Dio! Tutta la vita della Chiesa dovrebbe essere scandita da questo ritmo. Che bello se nella nostra agenda pastorale potessimo ridurre concretamente la quantità di conferenze e incontri per dar spazio alle relazioni più vere e autentiche. Come sarebbe più fruttuoso investire su una iniziazione alla vita cristiana in cui si cerchi e si conosca Gesù Cristo più a partire dall’incontro con la sua Parola e con la vita delle persone concrete, i più impoveriti e dimenticati, che nell’aridità di tante ore di catechismo che istruiscono su Cristo, ma difficilmente portano all’incontro con lui.

Infine la questione di una Chiesa che abbia un cuore maschile e femminile. Certamente sull’inculturazione di una ministerialità che includa e valorizzi le differenze, in particolare quella di genere, papa Francesco in QA esige che siano fornite in merito risposte “specifiche e coraggiose”, perché alla donna sia riconosciuto il suo protagonismo di battezzata all’interno della comunità senza scadere in funzionalismi/clericalismi. In QA 92 così scrive: “C’è necessità di sacerdoti, ma ciò non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia –, le religiose e i laici stessi assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità e che maturino nell’esercizio di tali funzioni grazie ad un adeguato accompagnamento”. In quest’ottica si mette nuovamente in luce il ruolo della comunità, dal momento che ciascun battezzato/a assolve ad un ministero da e per una comunità che per sua natura non prevede discriminazioni di genere: “Non c’è qui né giudeo né greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Per questo, più avanti, in QA 103 papa Francesco seguendo la scia del Documento finale scrive: “In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio. È bene ricordare che tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo. Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile”.

Su questo scenario di speranza, aperto dal sinodo per l’Amazzonia, si stagliano davanti a noi le vette meravigliose dei processi che lo Spirito ha innescato e che, speriamo, non saranno lasciati cadere nell’oblio delle nostre paure. Per questo non possiamo smettere di lasciare risuonare dentro al nostro cuore le parole del nostro Maestro e Signore: “Coraggio! sono Io! Non abbiate paura!”.

 

Dom Mario Antonio da Silva, Vescovo di Roraima

 

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