Con Maria, donne che invocano

22
Dic

Viaggio nell’iconografia mariana per riscoprire la vita e le invocazioni delle donne

Fanciulle, papi, vescovi, borghesi, re, regine, vedove: tutti uniti nell’invocazione, chi con le mani giunte, chi con le braccia aperte, chi con lo sguardo assorto, chi con gli occhi rivolti verso l’alto, chi in piedi e chi in ginocchio. Così il Beato Angelico rappresenta il mondo degli oranti: ognuno ha la sua supplica da rivolgere al cielo, e la preghiera, da personale si fa corale, quasi un unico grande fiume che dalla terra sale verso l’alto. Il linguaggio dell’arte va ben al di là del dell’aspetto estetico-decorativo; spesso, davanti alle meravigliose Madonne che tutti i maggiori artisti ci hanno donato, nella mia mente sono apparse, come in sogno, le centinaia, migliaia, milioni di donne che nel corso dei secoli, inginocchiate davanti all’immagine lì, sole, immerse nel silenzio e nella penombra delle prime ore del mattino, accendendo una candela, rivolgevano alla Vergine Maria la loro supplica. Un momento finalmente tutto per loro, dove ciascuna poteva davvero svuotare il cuore e la mente dalle pene più segrete, soprattutto quelle su cui gravava il silenzio delle donne, murate dentro perché ritenute tabù, indecorose e indicibili. Molte di queste immagini sono ora esposte nei musei, dove vengono meno la sacralità, la funzione stessa per cui esse sono nate: trasformate in preziose opere d’arte da contemplare e ammirare, non sono più la Madonna da supplicare, che, in quanto donna, ascolta, comprende, consola. La straordinaria produzione di arte sacra è però in grado di raccontarci quasi in filigrana, attraverso le differenti iconografie della Vergine, i bisogni nascosti delle donne. Soprattutto nel corso del Medioevo e fino a tutto il Quattrocento, la pittura italiana, a differenza della tradizione orientale, privilegia l’aspetto umano di Maria, raccontandoci con tenerezza e trepido realismo tutti i momenti della sua vita di donna e di madre. Ed è in questa umanità che si identificano le donne: nelle gioie, nelle attese, nel dolore di Lei, ciascuna riconosce le sue gioie, le sue attese, i suoi dolori. Quanta dolcezza nella tavola toscana del 1300 in cui viene rappresentata la Madonna del parto! Seduta su un cuscino al centro di un verde giardino con due vasi di candidi gigli, simbolo della sua verginità, monumentale nella sua semplicità, splende sullo sfondo dorato dove spiccano l’abito rosso e l’ampio ondulato manto azzurro. E quanta dolcezza nel viso giovanissimo dall’espressione di leggera apprensione incorniciato dai biondi capelli intrecciati! Ma soprattutto siamo colpiti dalla bianca mano posata sul ventre gonfio, in un dialogo muto fra il Bambino che tiene in grembo e le parole del libro sacro che sta leggendo! Nella trepida attesa di Maria le donne si rispecchiavano: ansia per la gravidanza da portare a termine, per il parto che era la principale causa della loro morte, ansia per il sesso del nascituro, visto che sempre si aspettava il maschio per la continuità della stirpe e la nascita di una bambina era vista come una disgrazia e un peso per la famiglia. Triste destino per questa iconografia tanto femminile: con la Controriforma verrà considerata offensiva, indecorosa nei riguardi di Maria, tanto che molti affreschi saranno cancellati e agli artisti sarà proibita la sua rappresentazione. Destino comune con l’iconografia della Madonna cosiddetta del latte, colta nel momento in cui sta allattando il Bambino, la preferita dalle giovani mamme e dalle tante balie che condividevano il loro latte con i bambini che a loro erano affidati, di cui diventavano non solo nutrici, ma vere e proprie “mamme di latte”. Rimaniamo affascinati davanti alla rappresentazione che ne dà Leonardo da Vinci. Maria ha l’inconfondibile sorriso di tutte le donne da lui dipinte, chissà, forse un ricordo del sorriso della mamma Caterina da cui è stato staccato in tenerissima età e che qui, nel quadro, è tutto rivolto al piccolo Gesù. Le luci e le ombre conferiscono alle figure un’infinita grazia: la grazia del paesaggio sfumato di un azzurro luminoso che dalle finestre si irradia in tutto l’ambiente, la grazia della Madre dal raffinato velo intrecciato sui capelli con il viso reso più radioso dal fondo scuro, la grazia tenerissima del Bambinello, dai deliziosi riccioli biondi e dal corpo paffutello, che sembra per un attimo rallentare la poppata per guardare lo spettatore. Uno sguardo malinconico, quasi presago della Passione, suggerita simbolicamente dal piccolo cardellino accovacciato sul suo ginocchio. Dopo l’allattamento iniziava un altro momento critico per i bambini dei secoli passati: lo svezzamento, che, a causa delle carenze igieniche e della malnutrizione, causava un numero altissimo di vittime e ancora una volta è alla Madonna che si rivolgono le invocazioni delle mamme. La “Madonna della pappa” del pittore fiammingo Gèrard David ci introduce nella concretezza dell’infanzia di Gesù e, attraverso lui, di tutti i bambini. Come non sorridere davanti al Bambinello che col cucchiaino di legno in mano vuole imitare il gesto della mamma che gli sta dando la pappa? Il piatto è posato su un tavolo dove la mela e il pane rimandano al mistero dell’Incarnazione: la mela del peccato originale e il pane eucaristico della Redenzione. Poi i figli crescono: ma quanti ne portano via la violenza, la guerra, l’odio degli uomini? E quanto dolore silenzioso, ignorato dalla storia, ha straziato e continua a straziare il cuore delle madri, così come straziato è stato il cuore di Maria davanti alla Passione e alla morte del Figlio? E quali invocazioni potevano e possono rivolgere a un Dio, qualunque egli sia, che possa accogliere i loro singhiozzi? Poche opere sanno esprimere la profondità dello strazio della Madre davanti al corpo martoriato del Figlio: l’audace scorcio prospettico di Andrea Mantegna mette in primo piano i piedi trafitti già resi lividi dal colore della morte, le mani contorte senza più una goccia di sangue, il lenzuolo macchiato dalle ferite, il torace sollevato nello spasimo dell’ultimo respiro e il capo dal viso segnato dalla sofferenza pietosamente posato su un cuscino. Forse era così il corpo di Giulio Regeni, torturato fino alla morte, quando sua madre ha potuto finalmente vederlo. E anche il suo è stato un dolore immenso ma dignitoso come quello di Maria, dal viso improvvisamente invecchiato, quasi incapace di trovare ancora lacrime da versare. E che dire della madre di Gaza nella foto intitolata non a caso La pietà oggi che stringe al petto il figlio già avvolto da un bianco lenzuolo, prima che la terra lo ricopra per sempre? Stessi colori, stesso dolore, dell’intensa Pietà che Vincent Van Gogh ha dipinto negli ultimi infelici mesi della sua breve esistenza, ritraendo il suo volto nel volto di Gesù. Stesso dolore delle madri israeliane, davanti ai ragazzi assassinati il 7 ottobre, lo stesso dolore delle madri ucraine e di quelle russe davanti a quel milione di morti giovani di cui nessuno parla, lo stesso dolore di Felicia Impastato davanti al corpo del suo Peppino ucciso dalla mafia. “In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza / in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”: l’ultima invocazione che Dante rivolge alla Vergine. E le prime parole sono “misericordia” e “pietate”: ciò di cui oggi il mondo ha tanto bisogno.

Chiara Magaraggia